Di Ginevra Lestingi
La minuscola repubblica di San Marino ha votato a stragrande maggioranza a favore della legalizzazione dell’aborto in un referendum, ribaltando una legge risalente al 1865.
Circa il 77,30% dei votanti ha appoggiato la proposta di consentire l’aborto fino alla 12° settimana di gravidanza e successivamente solo in caso di pericolo di vita della madre o di grave malformazione del feto.
L’affluenza alle urne è stata bassa, con solo il 41% degli aventi diritto a votare.
Il voto nell’enclave del nord Italia di 33.000 persone arriva mentre le autorità di paesi come la Polonia e lo stato americano del Texas hanno inasprito le leggi sull’aborto. All’inizio di questo mese, la Corte Suprema del Messico ha stabilito che punire l’aborto è incostituzionale.
Finora a San Marino le donne che hanno interrotto la gravidanza hanno rischiato tre anni di reclusione. Il termine è doppio per chiunque abortisca.
Le donne sammarinesi che volevano abortire normalmente si recavano in Italia, dove potevano ottenerne solo uno privatamente, al costo di circa 1.500 euro.
Altrove in Europa, l’isola mediterranea di Malta e i micro-stati di Andorra e Città del Vaticano vietano ancora l’aborto.
Nell’ultimo referendum europeo sull’aborto, il Territorio britannico d’oltremare di Gibilterra ha votato a giugno per allentare quelli che rimangono limiti estremamente severi. L’Irlanda ha legalizzato l’aborto in un referendum di alto profilo nel 2018. Il progresso sociale tende a essere lento a San Marino.
Le donne non hanno ottenuto il diritto di voto fino al 1960 e sono state autorizzate a ricoprire cariche politiche solo dal 1974. Il divorzio è stato legalizzato nel 1986, circa 16 anni dopo l’Italia.