La notte di Sigonella è una delle pagine più significative della nostra storia recente che, a distanza di trentacinque anni, fa ancora discutere. L’episodio rappresentò l’orgogliosa rivendicazione della sovranità nazionale nei confronti degli Stati Uniti. Tra il 10 e l’11 ottobre del 1985, l’Italia si oppose agli americani che intendevano arrestare e portare negli Usa i dirottatori dell’Achille Lauro, nave da crociera su cui fu ucciso dai terroristi palestinesi un cittadino americano paralitico. La vicenda si concluse con la liberazione della nave e con l’aereo Boeing egiziano che trasportava alcuni terroristi dell’Olp che poi venne fatto atterrare dagli F 14 americani nella Base Militare di Sigonella. Una volta giunti nella pista il velivolo viene circondato da un nucleo di carabinieri che a loro volta furono accerchiati dai militari della Delta Force. Giungono poi altri carabinieri e si aprono ore frenetiche e drammatiche che aprono un clamoroso conflitto tra l’Italia e gli Stati Uniti. Bettino Craxi fu il principale protagonista di questa vicenda sulla scena mondiale sostenendo in modo più che legittimo che il sequestro e l’uccisione era avvenuta sul territorio italiano e che, quindi, spettasse alla giustizia italiana processare i rapitori e i mediatori. Il presidente Ronald Reagan irritato e furioso non voleva riconoscere questo diritto dell’Italia ma alla fine è stato costretto a cedere.
Salvo Andò, in quel momento, ricopriva la carica di membro dell’esecutivo nazionale socialista nonché era responsabile dei Problemi dello Stato del Psi, e ci è sembrato assolutamente interessante sentire la sua testimonianza importante per capire meglio l’evoluzione di questi fatti e quali sono stati gli strascichi e gli effetti nella politica estera Italiana.
Sigonella è stata per l’Italia la rivendicazione della sovranità di uno Stato che non si inchina alla prepotenza alleata ed è un fatto che pose Bettino Craxi nell’olimpo degli statisti più famosi al mondo.
I fatti di Sigonella si riconnettono allo scenario assai complesso dei rapporti internazionali e anche delle divisioni delle fazioni arabo-palestinesi. L’Italia uscì più forte ed autorevole e con Bettino Craxi, Presidente del Consiglio, al massimo della sua popolarità, riuscì a frenare l’impeto arrogante di Reagan che dovette riconoscere le buone ragioni del leader socialista.
La vicenda di sicuro conferma la grande visione di Craxi in politica estera e ne fa un protagonista di primo piano nello scenario internazionale del dopoguerra. Bettino riteneva che l’Italia dovesse avere un ruolo regionale nel mediterraneo che esaltasse le diverse propensioni del nostro sistema paese in direzione di una coraggiosa e attiva politica estera sulla scena internazionale.
Secondo Craxi l’Italia non poteva non avere un grande ruolo nel Mediterraneo per i suoi interessi economici, per la sua storia, per la sua posizione geografica in una regione così ricca di conflitti soprattutto negli anni della guerra fredda. Bisogna ricordare che il contesto del sequestro dell’Achille Lauro rappresentò non solo un atto di terrorismo ma fu senz’altro una provocazione che mirava a far fallire un processo politico portato avanti da Craxi e Andreotti per agevolare una soluzione negoziale della vicenda palestinese. Ci furono, infatti, due incontri, prima dell’attentato, di Craxi e Andreotti con i vertici dell’Olp guidati da Arafat. Naturalmente i due uomini di governo italiani si mossero in modo sinergico con l’Unione Europea. Prima ancora fu organizzato un incontro segreto con Arafat per fare in modo che il leader palestinese riconoscesse lo Stato di Israele naturalmente attraverso iniziative da attuare con un certo gradualismo e che lo stesso aderisse all’idea di una federazione palestinese-giordana. Craxi incontrò poi a casa sua in Tunisia Arafat e comprese che vi erano forti divisioni nel mondo palestinese su queste ipotesi.
Qualcuno affermò che Arafat sapesse preventivamente dell’azione terrorista del commando che condusse il blitz sull’Achille Lauro.
Questo aspetto non è stato mai chiarito anche se Arafat disse che non ne sapeva nulla. Però era avvenuto che gli israeliani avevano bombardato la sede dell’Olp a Tunisi provocando un centinaio di morti. Le motivazioni di quest’azione militare furono sin toppo evidenti ed intesero colpire ogni possibilità di trattativa per giungere ad una soluzione della causa palestinese e in ogni caso ad impedire il dialogo. In tal senso dal fronte opposto l’azione terroristica sull’Achille Lauro servì ai nemici interni di Arafat per impedire questo dialogo e per rispondere all’attacco ingiustificato degli israeliani sul quartier generale dell’OLP in Tunisia. Sempre a proposito dei rapporti con Arafat, infatti, Craxi ha sempre svolto un ruolo di mediazione importante, che era diretto a spingere l’organizzazione di liberazione della Palestina a prendere le distanze dal terrorismo, ad accettare assetto federale attraverso un’intesa federativa con re Hussein di Giordania.
In sostanza, senza Craxi probabilmente non si sarebbe avviata una trattativa per affrontare in modo realista la questione arabo palestinese la madre di tutte le crisi che destabilizzano l’area mediterranea. Craxi era amico degli israeliani, aveva un eccellente rapporto con Shimon Peres, il leader socialista israeliano. Far sedere Arafat al tavolo della trattativa sarebbe stato un successo storico certo sgradito ai falchi israeliani e a certi ambienti della comunità ebraica americana.
Si trattava insomma di aprire una trattativa tra Israele e palestinesi convincendo Arafat a ritirare le pregiudiziali che poneva e di sedersi al tavolo del negoziato con l’intenzione di chiuderlo anche correndo seri rischi con alcuni estremisti dell’Olp. Sulla fine di Arafat infatti non si sono ancora chiariti molti misteri. Si trattava di un politico avveduto e non di un personaggio determinato a compiere azioni terroristiche fini a se stesse. Nel discorso storico fatto alla camera il 17 ottobre Craxi spiego che la lotta, anche armata, per liberare il proprio paese non è terrorismo. Craxi condannava l’uso della violenza in tutte le forme. Polemizzò ai tempi delle contestazioni studentesche con certe frange violente del movimento che, spiegava, non promettevano nulla di buono. Era in politica estera fermo difensore del negoziato, ma rifiutava la potenza dei forti contro i paesi deboli. Perciò godeva presso i paesi in via di sviluppo di una vasta popolarità.
La situazione sull’Achille Lauro fu risolta grazie a diverse mediazioni oltre alla linea del governo italiano che intesseva buoni rapporti in Medio Oriente e con i paesi del bacino del Mediterraneo.
Innanzitutto si impegnò Arafat e poi anche Mubarak fece la sua parte per fare desistere i terroristi portando in breve tempo alla fine del sequestro della nave. Quando tutto sembrava volgere al meglio ci fu l’uccisione di un cittadino americano che era sulla nave che venne poi gettato in mare. Sembrava che tutto si potesse risolvere con la liberazione degli ostaggi imbarcati su un aereo diretto in Tunisia e la riconsegna della nave ma, nel momento in cui si scopriva l’omicidio, la trattativa torno in alto mare. Gli americani volevano arrestare e processare i sequestratori negli Usa e l’aereo su cui viaggiavano i palestinesi che dovevano rifugiarsi in Tunisia. L’aereo con i terroristi venne affiancato da due caccia americani in cui vi erano 50 soldati della Delta Force. Furono momenti concitati, drammatici perché Tunisi rifiutò di fare atterrare e i due caccia Usa costrinsero l’aereo ad atterrare nell’aeroporto militare di Sigonella. Poi avvenne una cosa che era inimmaginabile sino ad allora e, cioè, che militari italiani e americani si fronteggiarono, pronti allo scontro, perché Craxi rifiutò di consegnare i componenti del commando terrorista a Reagan. Sigonella era territorio italiano e gli Usa non potevano decidere sull’uso dell’aeroporto per finalità diverse da quelle proprie di una base militare. Sembrava una grave frattura poiché il Presidente americano immediatamente si infuriò, mentre poi tutto si aggiustò con l’accettazione delle nostre ragioni, e addirittura con l’invito a Craxi di andare in America dieci giorni dopo, dove fu ricevuto da Reagan con grandi onori. Com’è noto Reagan scrisse la famosa lettera di invito, esordendo con “Dear Bettino”. Ed il rapporto tra i due è poi stato sempre molto cordiale.
Le ripercussioni in Italia furono di vario tipo e naturalmente Craxi divenne popolare sia in Italia che all’Estero anche se vi furono critiche dure per il fatto che Abu Abbas sfuggì all’arresto.
Craxi raccolse nel paese un consenso ampio, straordinario e la vicenda fu seguita da tutti i giornali del mondo. In Italia ci fu solo una presa di posizione di Giovanni Spadolini che ricopriva la carica di Ministro della Difesa e che minacciò la crisi di governo mentre la Dc con De Mita non voleva la crisi. Spadolini rimase isolato a sbraitare pensando così di guadagnarsi il favore degli israeliani. Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini approvò incondizionatamente la linea tenuta da Craxi. Mentre i quattro terroristi furono arrestati e processati in Italia. In relazione alla vicenda di Abu Abbas non esistevano prove di un suo coinvolgimento diretto e lo stesso Craxi affermò che eventuali responsabilità del collaboratore di Arafat andavano accertate e ciò non dipendeva da lui ma dalla magistratura italiana. Anche l’ambasciatore americano si recò da Mino Martinazzoli per chiedere l’estradizione di Abbas ma ricevette la stessa risposta che diede Bettino Craxi: in Italia i magistrati agiscono autonomamente e non ricevono direttive dal governo. A proposito di questa vicenda ricorderò sempre l’ammirazione con cui parlava di Craxi l’ammiraglio Martini, il capo del Sismi il nostro servizio militare, forse la più prestigiosa personalità che abbiamo avuto in questo campo.
Martini mi spiegò che rimase impressionato dalla sicurezza con cui Craxi gestì la situazione decidendo subito di non consegnare agli americani gli uomini dell’Olp che poi saranno fatti viaggiare verso un’altra destinazione. Di fronte alla determinazione delle teste di cuoio mandate dagli Stati Uniti per prendersi in territorio italiano soprattutto Abu Abbas ,che non era il “numero due” come tanti spiegavano dell’Olp ma, comunque, era un personaggio di primo piano. Craxi scelse subito la linea dura dicendo a Martini: noi siamo alleati degli Usa ma non i loro servi. Per Martini, infatti, Craxi non ebbe dubbi sul da farsi nel caso in cui gli americani avessero usato la forza, bisognava resistere con la stessa forza. E di fronte a tanta determinazione gli americani fecero un passo indietro. Martini mi spiegò che non gli era mai capitato nella sua storia di servitore dello Stato che un leader politico decidesse con tanta chiarezza assumendosi le proprie responsabilità senza delegarle all’apparato militare.
Si disse che Bettino fosse pervaso da una linea ostile ad Israele e che propendesse eccessivamente per la causa della creazione di uno stato Palestinese.
Non corrisponde a verità questa affermazione poiché Craxi fu sempre un amico di Israele. Bettino fu sempre un difensore dell’esistenza dello Stato di Israele ma non tollerava la politica israeliana basata sulla negazione dei diritti del popolo palestinese. Da ciò le posizioni che ha assunto nella vicenda della liberazione degli ostaggi. Era convinto della possibile coesistenza pacifica tra arabi e israeliani ma spiegava in ogni occasione che non tollerava gli attentati terroristici perché portavano all’isolamento internazionale dei palestinesi.
Il successo dell’operazione Sigonella diede ulteriore prestigio a Craxi e ne ha fatto un gigante in politica estera. Già era molto conosciuto a livello mondiale per il ruolo che aveva nell’Internazionale socialista. Manifestava grande interesse verso la politica estera, verso la tutela dei diritti umani, e un odio convinto verso i dittatori di tutti i colori.
Una questione che affiora di sovente è il fatto che spesso si è parlato delle pressioni americane che avrebbero contribuito o concorso alla caduta di Bettino Craxi, grande capro espiatorio nella stagione di mani pulite.
Dopo i fatti di Sigonella non ci furono particolari ripercussioni e gli americani sembrarono aver superato la “sconfitta” subita. Bisogna anche dire che l’atteggiamento dell’apparato militare americano fu sempre ambivalente. Da un lato c’era il riconoscimento del ruolo fondamentale giocato da Craxi ai tempi dell’installazione dei missili a Comiso e dall’altro però non è stato mai digerito lo smacco subito a Sigonella in cui difese la sovranità nazionale. Tuttavia occorre ricordare il ruolo che Bettino Craxi svolse nell’altra vicenda assai delicata della Libia quando fu decisivo nell’impedire il golpe deciso dagli americani per abbattere Gheddafi. I socialisti europei hanno sempre diffidato gli americani di non ingerirsi nella vicenda libica poiché si sarebbe creato una situazione caotica nel Mediterraneo. In quell’occasione Craxi e Andreotti avvertirono Gheddafi di allontanarsi da Tripoli con la famiglia e cosi gli salvarono la vita.
Si è discettato a lungo sulla congiura internazionale nei confronti di Craxi e Andreotti per la gestione della politica estera di quegli anni che non piacque molto agli americani.
A proposito della congiura internazionale per far pagare a Craxi questa autonomia in politica estera ma anche per le altre iniziative assunte con o senza il consenso di Andreotti, per esempio nella situazione libica si è detto tanto. Tutto ciò ancora non è molto chiaro. Si è spiegato che, prove alla mano, il giudice Di Pietro si offriva al console generale americano di Milano per passare notizie sul lavoro della procura, comunicandogli tempestivamente che aveva in mano una grande inchiesta e che essa o poteva portare alla liquidazione di Craxi perché il primo passo era quello di arrestare Chiesa ma che via via ciò avrebbe dato sostanza alle indagini che avrebbero portato al leader socialista. E sempre le stesse fonti americane parlano di un certo attivismo del cardinale Martini che, comunque, sapeva bene cosa si preparava a Milano. E questo risulta anche a me.
Sembra comunque che Reagan e Craxi si riconciliarono dopo i fatti di Sigonella.
Indubbiamente Craxi per la sua politica estera aveva amici e nemici nell’establishment americano e però tra questi ultimi non può essere annoverato il presidente Reagan che, tutto sommato, aveva simpatia per Craxi nonostante lo sgarbo di Sigonella. Questo risulta anche dalle cose che ha avuto modo di dichiarare Michael Ledeen, un personaggio ambiguo, che intratteneva rapporti con collaboratori della C.I.A. e che aveva delle notizie che metteva a frutto a proprio vantaggio, ma spesso bluffava. Fu estremamente importante la posizione assunta dall’Italia sulla vicenda degli euromissili e Craxi fu un convinto sostenitore dello schieramento dei missili che avrebbero dovuto dissuadere l’Urss, al contrario dei socialdemocratici tedeschi che furono esitanti, poiché ancora fedeli al dialogo con l’Urss voluto da Brandt. Però una volta che l’Italia decise in senso favorevole per merito di Craxi, il cancelliere Schmidt non poteva che fare un passo indietro. Ecco su questo punto fondamentale gli americani furono riconoscenti a Craxi per l’opera svolta a favore dello schieramento missilistico con fini dissuasivi. L’ambasciatore americano Gardner faceva ovunque pubblici elogi del leader socialista che aveva fatto un passo che avviava verso la fine della guerra fredda.
Si è sempre parlato del ruolo che Di Pietro ebbe nella vicenda di mani pulite e anche in ordine alle relazioni che intrattenne con la diplomazia americana a Milano.
L’incaricato d’affari Daniel Serwer in un rapporto trasmesso nel febbraio 1993 al Dipartimento di Stato Washington parla di informazioni ricevute dai suoi colleghi di Milano. Spiegava che Antonio Di Pietro, protagonista dell’inchiesta, forse era un pupazzo manovrato anche da ambienti americani. Può darsi che gli americani si siano preoccupati di quanto stava accadendo in Italia. Per gli Usa l’Italia era un alleato importante e le autorità americane erano molto interessati alla stabilità politica del nostro paese in Italia poichè un golpe giudiziario poteva avere, com’è poi accaduto, esiti imprevedibili.
Non si può dire però che mani pulite sia stata un’inchiesta manovrata dagli americani o dagli israeliani. Gli uni e gli altri certamente avevano del risentimento nei confronti di Craxi per la vicenda di Sigonella, ma, tuttavia, man mano che cadevano le teste di politici di prima fila, Craxi, Martelli, Andreotti, tutti considerati amici degli Stati Uniti, una certa preoccupazione all’interno dell’amministrazione americana sicuramente c’era.
In sostanza, ci sono due linee americane che si confrontano e tutto ciò lo spiega molto bene Marcello Sorgi nel suo libro su Craxi. La prima sarebbe quella più interventista del consolato di Milano guidato da Peter Semler e la seconda quella dell’ambasciatore in Italia Bartholomew che rappresenta il punto di vista ufficiale dell’amministrazione americana.
Le voci di un’interferenza Usa nelle vicende italiane resta e permane l’idea di un processo di condizionamento nel passaggio tra la prima e la seconda Repubblica.
Certo è singolare quello che viene fuori dalle informazioni che sono veicolate dal consolato americano di Milano secondo cui dopo l’avviso di garanzia del 10 febbraio 1993. Di Pietro si dà un gran da fare per stabilire contatti assidui con il console generale e via via ragguaglia i diplomatici americani su tutto ciò che sta facendo la procura. Andava al consolato tutte le volte che veniva richiesto ma spesso andava di sua iniziativa per dare informazioni utili. Insomma voleva dimostrarsi un collaboratore diligente.
Il console Semler, attraverso Di Pietro, riesce ad avere contatti e appuntamenti con altri magistrati di Milano che gli forniscono le notizie da passare poi all’ambasciata romana, ma utilizza anche Michael Ledeen che svolgeva non meglio precisati compiti di collegamento tra i servizi segreti americani e quelli italiani, che organizza insieme al console generale di Milano un viaggio di Di Pietro negli Stati Uniti. A tal proposito non si capisce bene se si trattò di un viaggio premio per i servizi resi o di un viaggio attraverso cui il magistrato veniva in contatto con ambienti interessati ad interferire nelle vicende di casa nostra.
In casa socialista qual’era l’idea su questa vicenda drammatica di mani pulite che coincise con la scomparsa del Psi e la lacerante diaspora socialista.
Anche in casa socialista si riteneva che un’influenza americana in tutta la gestione dell’inchiesta di mani pulite vi sia stata. Era questa l’opinione di Gianni De Michelis, il quale spesso spiegava che gli americani avrebbero avuto una grande influenza nella gestione dell’inchiesta di mani pulite e che il riavvicinamento personale tra Reagan e Craxi non cancellava del tutto lo strappo di Sigonella. Dopo l’invito di Reagan con la lettera affettuosa al“dear Bettino” ad andare negli USA residuava pur sempre un qualche sospetto verso Craxi troppo indipendente e mediterraneo per la cultura di certi apparati dell’amministrazione americana che condizionano anche le scelte del Presidente.
Gianni De Michelis riteneva che la vicenda Sigonella avesse lasciato strascichi insanabili, era un brutto precedente per le stesse buone relazioni atlantiche. E ricorda di avere in quelle ore drammatiche sentito Craxi gridare: se pensano di ricattarmi o destabilizzarmi gli spezzerò le ossa, perché l’Italia deve essere autonoma. Per Gianni quello era stato un’azzardo necessario che avrebbe prodotto delle vendette, magari tardive, da parte degli Usa.
In buona sostanza è difficile accertare fatti di questo tipo, resta il fatto della grande considerazione che Craxi ebbe in America e al tempo stesso rimase una dose di risentimento per la sua eccessiva indipendenza del suo governo.
Probabilmente la verità sta a metà strada. La politica estera portata avanti da Craxi aveva ricucito i rapporti con il Presidente Reagan ma larghi settori dell’amministrazione americana erano convinti anche per le pressioni esercitate dalla comunità ebraica americana. I terroristi avevano ucciso sulla nave Klinghoffer, un passeggero ebreo americano, ed erano convinti che la politica estera di Craxi fosse stata pregiudizievole per gli interessi degli Stati Uniti. Craxi si batteva per promuovere uno stabile processo di pacificazione della regione mediterranea ma ciò inevitabilmente creava un rapporto altalenante con gli Usa. Si allontanava e si avvicinava agli Stati Uniti a seconda di come stessero andando le cose nelle diverse situazioni di crisi rifiutando i condizionamenti esercitati dalle multinazionali americane.
Egli si è avvantaggiato nello scenario Mediterraneo per il fatto d’avere tenuto testa gli Stati Uniti difendendo orgogliosamente la sovranità italiana durante l’episodio di Sigonella per affermare il principio sacrosanto che le basi Nato devono essere utilizzate esclusivamente per scopi interni alla Nato. Gli americani, però, non tolleravano che Craxi ripetesse che Dio ha fatto l’Italia euro-mediterranea.