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Salvo Andò: “L’uso degli esperti e il mito dei pieni poteri”

by Rosario Sorace

Comincia ad essere evidente il dibattito acceso che si concentra sui poteri di Conte a causa della proposta nomina di centinaia di consulenze e di esperti che dovrebbero favorire l’azione di governo, quando in realtà l’appesantiscono esautorando il potere politico e la struttura burocratica dello Stato. Tutto ciò è un motivo di contrasto non solo con l’opposizione ma persino all’interno della maggioranza. Ci sono appuntamenti importanti da rispettare su cui l’Italia non può fallire e la classe dirigente italiana sembra inadeguata, in difficoltà nell’affrontare la ricostruzione. Adesso ritorna nuovamente la polemica sui “pieni poteri” affidati al Governo e al Premier. Ecco le idee dell’ex Ministro Salvo Andò.

Di fronte alla straordinarietà degli eventi che stiamo vivendo, c’è ancora nel mondo politico chi ritiene di dover ragionare su come fronteggiare una drammatica emergenza che dura da quasi un’anno e che certamente non si risolve tout court con il vaccino. Non è solo con le misure straordinarie che si rimette in piedi il Paese. Occorrono riforme serie da sempre rinviate. Il Paese non ha bisogno di un ritorno ad una normalità fatta di sprechi e di ritardi. Quella normalità è bene che non torni più. E invece si affronta la pandemia come una parentesi e non come un’emergenza che ha fatto crollare un mondo con gravissime conseguenze anche per il nostro Paese. Lo ha spiegato molto bene Draghi e l’hanno capito ovunque tranne che in Italia. Gli Stati Uniti cambieranno molte cose del loro modello di sviluppo e lo stesso rapporto con il mondo. I nostri statisti ,invece, litigano su come spartirsi le risorse in vista della prossima campagna elettorale. Si tratta di un errore che compie sia l’opposizione che la maggioranza. L’opposizione cerca di utilizzare ogni errore del governo, ogni incidente di percorso per invocare le elezioni subito. E’ l’unica opposizione al mondo a comportarsi in questo modo. Il governo, invece, invoca l’emergenza per trovare una legittimazione in casa e in Europa e spiegare alla gente che un vuoto di potere sarebbe mortale per il futuro del paese. Il che è vero, a condizione che non si usi l’emergenza per un esercizio di fatto di pieni poteri. C’è poi un aspetto della gestione delle emergenze che è comune a tutti gli attori politici, o quasi. Essi chiedono più risorse per ristorare i danni prodotti dalla pandemia senza però avere le mani legate da gerarchie tra i diversi interessi incisi dalla pandemia, senza valutare i danni reali da ristorare, magari ignorando di proposito che c’è chi con l’emergenza ci ha guadagnato e chi invece deve essere messo nelle condizioni di ripartire per non perdere definitivamente la propria azienda. La parola d’ordine pare essere: ”indebitarsi senza se e senza ma”, insomma senza spiegare ciò che serve per rimettere il paese in piedi e ciò che invece è ingiustificato elargire nel contesto di interventi a pioggia.

Non ti pare che sia nella maggioranza che nell’opposizione ci sia uno spaventoso vuoto di idee e che si faccia ricorso solo ad una politica della spesa finanziata dal debito?

Credo che Salvini e i pentastellati sono siano l’avamposto di questo fronte dell’indebitamento a tutta forza. La loro ricetta è semplice: portiamo il paese alla bancarotta e poi bussiamo in Europa e se non saremmo accontentati c’è sempre a portata di mano la soluzione dell’italexit. Speriamo che la gente cominci ad avere paura di una classe dirigente così irresponsabile che confisca il futuro delle giovani generazioni e di quelli che verranno con sorprendente disinvoltura. Tanto a pagare sarà chi verrà! Ma c’è un errore imperdonabile che emerge dalla gestione delle emergenza. Anche in frangenti così drammatici c’è chi pensa di avere un futuro politico affidandosi a pratiche clientelari o, peggio, a pratiche corruttive. E su questo terreno il governo non è immune da colpe, allorché, individua uomini della provvidenza a cui affidare troppi poteri (o in qualche modo le stesse tendenze dei governi berlusconiani che vedevano in Bertolaso l’uomo adatto alla gestione di tutte le emergenze).

Troppi esperti o presunti tali sono stati reclutati per dare man forte al governo, oppure per deresponsabilizzarlo nel momento in cui per fronteggiare gli stati di necessità che si sono avuti in questi mesi. Si spiegava che bisognava agire con prontezza che spesso non c’è stata, sacrificando ogni esigenza di trasparenza che certo era difficile tutelare nel disordine provocato dal dilagare dell’epidemia, dai decessi, dalla insufficienza del personale sanitario da inviare nelle realtà più critiche per garantire le cure indispensabili. Ma tanti ci hanno marciato. Non c’è da sorprendersi se nel nostro Paese ogni emergenza ha un’immancabile coda giudiziaria. In questo senso non proteggono nessuno dei tecnici esterni. La loro eventuale incapacità viene caricata sui loro protettori.

Secondo te Conte sta esagerando nell’accentrare i poteri su di sé e sui suoi esperti?

Il premier spesso ha dato l’impressione di essere un buon notaio che registra pareri e decisioni altrui, anziché essere il garante dell’unità dell’indirizzo politico. E però gli esperti possono decidere il come fare le cose ma non se farle o no, perché non rispondono politicamente di nulla e non possono essere legittimati per delega del potere politico a compiere scelte politiche. Non sono politicamente responsabili. Il premier polemizzando con chi gli ha consigliato di rafforzare la struttura di governo cambiando qualche ministro spiega che non c’è nessun esigenza di fare ciò, visto che ha ministri di prim’ordine, che il governo da questo punto di vista è autosufficiente, che non ha bisogno in sostanza di acquisire nuove competenze rispetto a quelle validissime di cui già dispone. E’ però contemporaneamente recluta centinaia di esperti chiamati a decidere in ordine agli interventi necessari per la ripresa. Non si sa se questa sia la linea adottata dai suoi colleghi europei, ma non pare proprio. Da queste esperienze il Paese esce ancora più fragile in ordine alla capacità del governo di essere autorevole interprete dei bisogni della gente e decisore credibile. Questa è l’impressione che sta dando il premier Conte in questo frangente, a meno che ciò non sia soltanto uno stratagemma per riportare tutte le decisioni a Palazzo Chigi riconoscendo ai ministri solo il ruolo di assistenti del Capo del governo, che hanno il solo diritto di essere informati.

Se di ciò si tratta il suo è un comportamento ingenuo che rivela debolezza e non forza nella capacità di guida del governo. Non è così che si stabilizza l’esecutivo, ma anzi lo si indebolisce creando rancori e voglia di rivincita nella coalizione.

Si avverte oggi più che ma l’esigenza di una grande riorganizzazione della Pubblica Amministrazione ?

Viene fuori ancora una volta in questo frangente che questa è l’Italia dello spoils system all’italiana, perché realizzato nella sua versione più clientelare.

A che serve una burocrazia reclutata sulla base di una decisione della maggioranza politica di scegliersi uomini di fiducia se poi di fronte a una emergenza così complessa bisogna aggirarla perché incapace di attuare le scelte che il governo dovrebbe compiere?

Si cerca di riorganizzare lo Stato con riforme da sempre annunciate che possano risolvere una volta per tutte l’emergenza burocratica. Ma non si sa da dove cominciare anche perché nel nostro paese non ci sono scuole che producono tecnici di alto livello da destinare ai rami alti della pubblica amministrazione sulla falsa riga della famosa Ecole Nationale d’Administration francese che è frequentata da allievi destinati a fare i ministri, i gran commis. Ma il problema di fondo è quello di mettere ordine nelle funzioni e poi di procedere all’organizzazione. In questa ottica bisogna procedere finalmente ad un grande progetto di selezione e formazione del nuovo personale. Se solo dall’esterno si può attingere per avere le necessarie competenze a che servono le centinaia di esperti strapagati a regime dai ministri (vero onorevole di Maio che ritiene che gli esperti utili sono soltanto quelle nati nella sua città, Pomigliano d’Arco?). Sarebbe un segnale importante se una parte dei 200.000.000.000 del Recovery venisse impegnata per riportare nelle amministrazioni pubbliche tecnici capaci di progettare, di appaltare, controllare e non famigli di questo o di quel ministro.

Il premier sembra impotente e complice di questo sistema che si sta degradando in una bieca logica di nominati vicini ai politici.

Il presidente del consiglio lascerebbe una traccia davvero indelebile del suo passaggio a Palazzo Chigi se non continua ad appaltare all’esterno decisioni che dovrebbero venire dall’interno della pubblica amministrazione. Si dice che attraverso l’esperienza del coronavirus si è riabilitato il pubblico, ma la prima rivalutazione del pubblico si avrebbe se si consentisse agli apparati dello stato di disporre di forze che sappiano attuare bene le scelte politiche. A poco vale passare dal privato al pubblico se il pubblico non è in grado di disporre delle risorse umane necessarie per realizzare la buona politica decisa dagli uomini di governo.

La verità è che nei piani alti dell’amministrazione pubblica italiana si è avuta una grande fuga dei tecnici prodotta dalla regionalizzazione e dalle privatizzazioni. La politica non ha fatto nulla per chiudere questa falla. Si riteneva soprattutto da parte di coloro che hanno coltivato il mito neoliberista che un sistema amministrativo moderno anziché dotarsi di proprie capacità tecniche doveva comprarle sul mercato di volta in volta. In sostanza la classe politica doveva rivolgersi per rinnovare l’apparato burocratico a degli esterni, sulla falsariga di uno stato maggiore che per avere dei buoni soldati deve rivolgersi a dei mercenari.

La crisi attuale sta facendo emergere limiti e lacune nella P.A. e si pensa a richiedere sempre competenze esterne per favorire la struttura amministrativa. Come si esce da questa condizione?

Proprio la vicenda del coronavirus ha dimostrato quanto fosse miope questa scelta. Lo Stato può assolvere al ruolo di indirizzo e di regolazione se poi a valle esiste un’apparato amministrativo che sia nelle condizioni di attuare queste direttive. Quest’esperienza ci consegna un governo rassegnato che accetta come inevitabile la scadente qualità di una burocrazia con cui dovremo fare i conti chissà ancora per quanto tempo. Nella migliore delle ipotesi lo stato dispone di un corpo di funzionari che segue direttive politiche ma non è in grado di declinarle e non produce manager nonostante lo spoils system, che ha comportato maggiori costi ma non più elevata qualità delle risorse umane.

Si pagano i dirigenti come se fossero dei grandi manager, come se avessero un reale mercato nel campo delle grandi professionalità, competenze già verificate altrove, ma per i criteri di selezione usati finora dalla classe politica pare che i reclutati in questo modo non sono paragonabili per capacità amministrativa alla vecchia burocrazia ministeriale ma sono pagati il doppio o il triplo di quella. È chiaro che una dirigenza siffatta che non ha consapevolezza del proprio ruolo non può essere destinataria di compiti straordinari quali quelli a cui bisogna assolvere per fronteggiare le emergenze. Pensare di modernizzare la pubblica amministrazione senza la modernizzazione dei cervelli è impossibile.

Nella maggioranza qualcuno solleva gli eccessi di nomine di task force che ingrossano prebende verso gli amici ma che non producono effetti benefici sulla risoluzione dei problemi.

Su questo tema Renzi ha ragione quando attacca il governo polemizzando con le inutili task force che sembra preferire il presidente del consiglio. A che serve creare sovrastrutture con centinaia di consulenti che stanno al recovery fund come i navigator stanno al reddito di cittadinanza?

A meno che non si voglia decidere tutto nelle segrete stanze di Palazzo Chigi. L’Italia ha già decine di migliaia di funzionari pubblici, di dirigenti nei ministeri; il problema non è di assumere altra gente ma capire quale funzione va assegnata a costoro nei prossimi anni tenuto conto degli indirizzi del governo e della capacità della pubblica amministrazione di sapere interpretare le scelte compiute dalla politica con onore e fedeltà. Creare task force, con centinaia di consulenti per spendere le risorse dateci dall’Europa è assolutamente incongruo. A meno che non si voglia esternalizzare per centralizzare, cioè in sostanza disporre di collaboratori esterni che non rispondono a nessuno tranne che al presidente del consiglio. Conte soffre la sindrome dell’accerchiamento e pensa di poter aggirare l’accerchiamento attraverso persone che non siano raggiungibili se non da lui stesso, da ciò deriva la scelta della task force dei tecnici che dicono ciò che fa comodo al premier.

Conte spiega che questo governo ha le risorse per durare in eterno. È bene che su questo punto si spieghi meglio. Su una cosa però cade in contraddizione con sé stesso. Da un lato mira ad accentrare i poteri su Palazzo Chigi, dall’altro ingaggia centinaia di esperti per assumere le decisioni che dovrebbero spettare ai ministri competenti. Ciò e possibile oggi perché dietro ai ministri non ci sono partiti, comunità politiche vitali, ma c’è il nulla.

Tra l’affermazione di avere i ministri migliori del mondo e la necessità di reclutare centinaia di tecnici per gestire soldi europei c’è una palese contraddizione. Se su questo non fa chiarezza, è inevitabile che opposizione e anche settori della maggioranza lo accerchino. Il sospetto è che voglia esercitare in questa fase approfittando dell’emergenza quei pieni poteri che sono stati negati a Salvini.

La verità è che nel nostro Paese ormai sono in tanti a ritenere che con i pieni poteri, cioè, decidendo senza dare conto a nessuno, parlamento compreso, si possa fare una politica più efficace con riferimento ai bisogni della gente. La gente in una democrazia matura deve capire e condividere ciò che fa il Governo. In una democrazia parlamentare il cittadino non è un suddito che deve obbedire tacendo.



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