Sotto gli occhi di tutti vi sono le drammatiche immagini dell’assalto dei sostenitori di Trump al congresso per impedire la proclamazione di Biden e certamente è stata inferta una ferita alla democrazia americana che si dovrà rimarginare negli anni. Su questa vicenda gravissima ecco il giudizio di Salvo Andò.
L’assalto da parte dei seguaci di Trump al Congresso nel tentativo di impedire che il Senato potesse ratificare l’elezione di Biden, vincitore delle elezioni del 3 novembre, è stato vissuto ovunque come uno dei momenti più bui della storia americana. La folla è stata incitata a attaccare il Congresso, l’istituzione simbolo della democrazia americana, la più antica dell’età moderna, da un Presidente indotto a compiere questo gesto disperato quando si è trovato ormai isolato anche dai suoi nella crociata volta a dimostrare, in contrasto con tutte le verifiche, una manipolazione del risultato elettorale che gli avrebbe negato la vittoria.
Si è trattato di un tentativo di golpe compiuto per tenere insieme il suo popolo, per potere avere un futuro politico, per garantirsi il controllo del partito repubblicano, e magari per negoziare in prospettiva un’immunità penale che lo metta al riparo dalle molte inchieste che lo coinvolgono (alcune, però, riguardano reati finanziari che non sono ”perdonabili”).
L’evento, senza precedenti nella storia americana, ha rappresentato il punto più alto di un’opera di delegittimazione delle istituzioni rappresentative del popolo americano svolta da Trump nel corso della sua presidenza. Si imputa al Presidente anche la tardiva e svogliata reazione della polizia di fronte all’assedio del parlamento.
Le immagini dell’attacco al Congresso da parte di una folla inferocita che distrugge suppellettili e documenti, dei parlamentari evacuati sotto la protezione della polizia che li difende con le pistole in pugno, dei supporter di Trump in armi che occupano l’aula del senato e aggrediscono le forze dell’ordine, dei morti e feriti prodotti dagli scontri rimarrà per sempre impressa nella memoria del popolo americano. E tutto ciò è avvenuto a causa della irresponsabilità da parte del Presidente che aveva giurato fedeltà alla Costituzione e che avrebbe dovuto proteggere il popolo americano.
Il sistema democratico americano possiede gli anticorpi per neutralizzare il trumpismo?
La democrazia americana ha dimostrato, tuttavia, la propria forza nel momento in cui una larga maggioranza di membri del Congresso, e non solo i parlamentari del partito democratico, hanno difeso con fermezza la costituzione e il risultato elettorale non facendosi intimidire dalle esibizioni di forza della piazza trumpiana.
Trump è stato sconfessato dei vertici del suo partito, i quali hanno preso le distanze dal Presidente uscente. Essi sono adesso alla ricerca di un nuovo leader per ricostruire il partito repubblicano nel rispetto delle tradizioni del migliore conservatorismo americano.
Ma è stato sconfessato anche dagli elettori del partito repubblicano che votando, a distanza di poche settimane dalle presidenziali, in Georgia per i due senatori spettanti allo stato – che da sempre ha espresso un consenso largamente maggioritario verso i repubblicani – hanno bocciato i candidati sostenuti da Trump. Gli elettori hanno voluto cosi manifestare tutta la propria indignazione nei confronti di un Presidente sconfitto che ha dato vita a un tumultuoso dopo elezioni, calpestando, ancora una volta, principi e tradizioni costituzionali che rappresentano per il popolo americano la garanzia imprescindibile di una società ben ordinata.
La vicenda del tentato golpe dimostra quanto sia sottile il confine esistente tra una antipolitica aggressiva che mette costantemente in discussione le stesse garanzie costituzionali e la tentazione della svolta autoritaria di fronte alle resistenze che vengono opposte da uomini delle istituzioni e società civile ad ogni forma di abuso del potere.
La lezione che viene dagli Stati Uniti dovrebbe essere ben meditata dai leader populisti europei che nei mesi della campagna elettorale americana hanno inneggiato a Trump, nonostante le sue scomposte invettive contro la democrazia ritenuta il governo delle nazioni deboli e contro la cultura del potere limitato, dei diritti umani, dell’eguaglianza tra tutti gli individui a prescindere dalla loro religione, dalla loro provenienza etnica, dalla loro fede politica. Ha cercato di impiantare negli USA un presidenzialismo di tipo sudamericano ignorando la forza che nei momenti difficili può esprimere una opinione pubblica in grado di usare efficaci contropoteri, grazie anche alla libera informazione che Trump detesta.
Che compito spetta adesso al nuovo presidente Biden?
Ciò che è accaduto nei giorni scorsi costituisce l’epilogo inevitabile dell’azione svolta per 4 anni da un presidente che riteneva i principi per tradizione costituzionale non adeguate a consentire il primato americano nel mondo.
Spetta adesso al nuovo presidente rimuovere le macerie prodotte dal trumpismo, dimostrando che il conservatorismo illiberale e violento va combattuto, ma solo facendo ricorso agli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento giuridico.
Biden dovrà intraprendere una difficile opera di pacificazione nazionale sia ripristinando il rispetto di regole che sono state disinvoltamente violate dal suo predecessore, sia rilanciando lo stato sociale per includere chi in questi anni è stato ingiustamente penalizzato dal ritorno di un capitalismo dal volto ferino.
La democrazia, infatti, non può essere tenuta sotto stress in modo permanente senza subire fratture sociali che potrebbero poi essere irreversibili. I conflitti sociali possono degenerare in forme di contestazione politica anche molto dure nei confronti di chi esercita il potere. E ciò che è accaduto in Francia, con le proteste dei gilet gialli. Non si può però tollerare che, in un paese dove i principi della liberaldemocrazia hanno origini antiche, alla testa della contestazione verso le assemblee rappresentative, verso principi e autorità che garantiscono la legalità si pongano uomini delle istituzioni o addirittura, come è avvenuto in questi giorni negli Stati Uniti, lo stesso presidente della Repubblica, cioè chi dovrebbe garantire la pace sociale e l’ordine pubblico.
Trump ha cercato di consolidare il proprio potere creando profonde divisioni nel corpo sociale, incitando all’odio verso i nemici politici. Lo ha fatto perseguendo un disegno eversivo. Ed è proprio per sanzionare la gravità del comportamento del presidente uscente che ha scatenato il suo popolo contro il congresso che numerosi parlamentari democratici ritengono giusto avviare una procedura con l’accusa di incitamento all’insurrezione.
Considerato che i reati commessi dal presidente costituiscono un vero e proprio assalto al processo costituzionale del trasferimento di potere. Può darsi però che Biden riesca a fermare questa iniziativa per non spaccare il paese, dimostrando così di essere in grado di pacificarlo isolando i seguaci irriducibili di Trump che pensano di organizzarsi per promuovere la rivincita che dovrebbe avvenire anche attraverso il ricorso alla violenza.
Hanno fatto bene i leader di alcuni partiti di centro destra europei come il premier inglese Johnson e la cancelleria tedesca Merkel ad assumere da subito posizioni dure nei confronti di un Presidente che istigava il suo popolo alla rivolta contro la più antica democrazia del mondo.
Quale lezione dovrebbero trarne i sovranisti di casa nostra dopo l’azione eversiva istigata dal loro alfiere americano?
Di ciò dovrebbero tenere conto i leader della destra sovranista italiana che disinvoltamente nei mesi scorsi inneggiavano a Trump, assunto come punto di riferimento della loro battaglia politica. La notte di Capitol Hill creerà dei problemi all’estrema destra italiana essendo emerso con chiarezza che i conservatori non attaccano le istituzioni ma propongono un governo di esse basato su valori alternativi a quelli coltivati dai progressisti.
E’ legittimo chiedere ai leader dell’estrema destra come si comporterebbero nel caso di insuccesso elettorale visto che anche in questa circostanza hanno manifestato comprensione e solidarietà verso il Presidente Trump. La verità è che in molti paesi si manifesta disaffezione verso la democrazia, e soprattutto verso le garanzie costituzionali. Si spiega che le democrazie paiono deboli, inadeguate a risolvere i problemi che travagliano le società complesse. Da ciò l’inevitabile ascesa di un estremismo della destra nazional-populista che vuole fare a meno dello stato di diritto, per insediare una democrazia dei pieni poteri da riconoscere ad un capo carismatico, anche a costo di compromettere l’esercizio dei diritti fondamentali.
Si va affermando, anche in alcuni paesi europei, l’idea che il governo basato sulla rule of law appartenga al passato e che esso vada rimpiazzato da forme di comando comunque esercitato invocando le emergenze. Si tratterebbe di sostituire alle democrazie le democrature, cioè le democrazie a bassa intensità, in cui si tengono le elezioni, ma il governo può ridisegnare a proprio piacimento il regime delle libertà.
Si vuole la democrazia senza stato di diritto. E’ però se è vero che la democrazia si risolve in una legittimazione del potere in termini di forza maggiore posseduto da una parte rispetto ad un’altra, è anche vero che solo attraverso lo Stato di diritto, che pone dei limiti alla forza della maggioranza, si possono tutelare i diritti della minoranza, e quindi garantire società pacificate.
Biden parlando alla nazione a caldo, mentre l’aggressione al Congresso si compiva, ha spiegato che la più grande democrazia del mondo non potrà mai divenire una democratura. Si tratta di parole rassicuranti, anche per il futuro della democrazia in Europa.