Gaetano Salvemini era un meridionalista rigoroso e documentato che odiava la diffusa e torrentizia retorica, non solo liberale. Contestava le confuse frasi dei tribuni del popolo, privi di conoscenze amministrative.
Il professore di Molfetta denunciava e dava prova sempre di competenza su molte questioni, non solo delle regioni meridionali. L’Unità era il periodico che aveva fondato a Firenze nel 1911. Essendo direttore, ospitava le migliori collaborazioni giornalistiche e non dava tregua ai rappresentanti delle illegalità e delle manipolazioni municipali.
Nel numero di settembre del 1919 ritenne che il Mezzogiorno fosse ancora terra di soprusi e di negazione della legalità e scrisse un importante articolo, “I fatti di Turi”, una cronaca demolitrice dell’operato del commissario prefettizio Giuseppe Piciocchi il quale, nelle giornate dell’otto, nove e dieci agosto di quell’anno non fu in grado di fronteggiare l’esasperazione popolare.
Privo di generi alimentari per sfamarsi il popolo turese, principalmente i reduci e le donne, capeggiò una sommossa. Furono impegnate duramente le forze militari di sicurezza. Poco mancò allo stato d’assedio. Piciocchi dovette ritornare nell’ufficio che occupava in prefettura. Così Salvemini, generalmente ironico contro i rappresentanti governativi (Giovanni Giolitti era l’uomo di governo contro il quale polemizzava con inoppugnabili critiche), sfoderò una durezza senza limiti contro l’on. Vito Luciani di Acquaviva delle Fonti, deputato giolittiano, avverso al sindaco dimissionato Raffaele Orlandi.
La prosa salveminiana almeno nei paragrafi principali deve essere conosciuta dal lettore: ”Finalmente fu mandato a Turi un commissario prefettizio, una delle tante canaglie, che vivono a spese dei comuni pugliesi, facendo inchieste ammaestrate, il quale compie un simulacro di inchiesta, vero monumento di malafede, di falsità e di menzogne. E così la prefettura ebbe finalmente un pretesto per sciogliere quell’amministrazione, che non era riuscita a far cadere per stanchezza. Fra i motivi dello scioglimento vi era anche che l’amministrazione fosse invisa alla generalità della popolazione. Ebbene, la popolazione, per dimostrare i suoi veri sentimenti, appena arrivò al Comune il regio commissario cavalier Piciocchi, persona grata al deputato, come lo definiva la stessa prefettura, iniziò subito una lotta ad oltranza contro questo regio emissario elettorale. Finché, dopo aver sopportato per mesi i soprusi e le vessazioni, il giorno 8 agosto, riunitasi in pubblica piazza a grandioso comizio, decretava la decadenza del commissario e ne intimava l’immediato allontanamento dal paese. La prefettura prima reagì, inviando sul luogo delegati, carabinieri e guardie: ma vista impossibile la repressione e trovatasi il 10 agosto di fronte alla minaccia di un moto generale di solidarietà di tutte le sezioni combattenti della provincia, dovette cedere. E il regio commissario, date le dimissioni, partiva dal paese. Tali i fatti. Essi assumono un significato altissimo, quando si pensi che si sono svolti in una cittadina, che fino a ieri era un feudo governativo, in cui non si concepiva neanche lontanamente la possibilità di una rivolta come quella dell’8, 9 e 10 agosto. Questa rivolta ha del meraviglioso, e fa benedire la guerra che ha addirittura rivoluzionate le masse rurali. È una nuova coscienza politica che si è formata nei contadini, fino a ieri schiavi e incapaci di una volontà politica che non fosse quella ordinatagli dai ‘galantuomini’. È un nuovo senso di dignità, che fa guardare come ad un’offesa l’ingerenza prepotente ed ingiustificata del governo per sciogliere, a solo scopo elettorale, un’amministrazione comunale liberamente eletta. È la solidarietà, che a mezzo dei combattenti si è manifestata prontamente in tutta la provincia a favore di questa popolazione, così violentemente sopraffatta dall’arbitrio governativo. Anche in Puglia, dunque, qualcosa comincia a muoversi sotto la paglia. E noi auguriamo che l’esempio di Turi sia presto imitato in tutti i comuni del Mezzogiorno. È necessario che i commissari regi mandati dalle prefetture nelle amministrazioni locali si sentano continuamente minacciati nella vita delle popolazioni stanche di essere taglieggiate. Quando i prefetti non troveranno più carogne disposte ad andare a rischiare la pelle per fare i servitori dei deputati, allora il Mezzogiorno d’Italia avrà conquistato con le sue forze l’autonomia comunale”.