All’indomani dell’abbandono di Palazzo Chigi, Enrico Letta, aveva compiuto un gesto insolito per la politica italiana abbandonando la politica con le dimissioni da parlamentare e una nuova vita.
Una vita fatta di un buon ritiro parigino, dove si era dedicato all’insegnamento, accompagnato da prestigiosi incarichi: insomma il percorso tipico di un ex leader di qualsiasi democrazia occidentale, che consente di “ monetizzare” la propria esperienza.
Dalle interviste, appariva effettivamente l’inizio di una nuova vita e la politica appariva come un ricordo, tanto che il nipotino di Gianni Letta era considerato come un ex, ormai, fuori dal giro.
Tutto bene insomma, se non fosse che un bel giorno, all’indomani delle dimissioni di Nicola Zingaretti, il suo nome improvvisamente torna al centro della discussione come possibile nuovo segretario del PD.
Sembrava impossibile solo a pensarlo qualche tempo prima, ma in breve tempo come un novello Cincinnato, Enrico Letta veniva già acclamato, di ritorno dall’esilio (dorato) parigino, come nuovo segretario del partito.
Ultima carta per rilanciare un partito in piena crisi, esperienza che l’ex premier affronta a viso aperto, spendendosi appieno, tanto è vero che rientra anche in Parlamento approfittando delle suppletive per il collegio uninominale di Siena.
Purtroppo in quasi due anni la situazione non migliora e così inesorabilmente i dem vanno incontro ad una sonora sconfitta alle politiche del 2023 e tanto per non smentirsi, il buon Enrico si dimette.
Dimissioni che danno la cifra del personaggio, al netto di ogni facile umorismo, pronto alle dimissioni; fosse il Parlamento o la Segreteria del partito. Intendiamoci, si tratta di una dote di buon senso che in tanti dovrebbero seguire in politica, perché è giusto che lo sconfitto lasci la sua leadership in mancanza di condizioni positive.
Sarebbe fin troppo facile dire che si trattava di un finale già scritto, perché parliamo non tanto di un “ trascinatore politico” quanto piuttosto di una sorta di “civil servant” di un servitore delle istituzioni, pronto a svolgere il compito che gli viene affidato.
Ecco, questo va detto, perché, diciamo la verità, era chiaro sin dal principio che non era il prospetto giusto per avviare il rilancio del partito democratico, oltretutto in una fase delicata come questa.
Non è una bocciatura ma la constatazione che Letta dovesse essere speso in altri ambiti, forse governativi.
Per dire anche le sorti del governo Draghi, sarebbero state migliori se l’ex BCE si fosse potuto avvalere dei suoi servigi; come uomo di governo ha uno spessore differente con un autorevolezza internazionale.
Del resto la storia politica italiana è piena di esempi di questo genere, soprattutto se guardiamo alla famiglia politica originaria del buon Enrico, la democrazia cristiana, in cui un Cavallo di razza come Andreotti a livello di partito è stato sostanzialmente un mezzo flop (mai al vertice).
O ancora lo stesso Romano Prodi, non è che abbia avuto tutto questo successo come leader dell’ulivo, laddove ha svolto tutto sommato bene il suo ruolo di premier e poi di Presidente della Commissione Europea.
Ora che destino attende Letta? Anche tenuto conto della (lunga) traversata del deserto che attende il partito democratico, il rischio dell’oblio, stavolta definitivo, è tutt’altro che latente.
Certo sarebbe preferibile, come in passato, che fosse lui stesso a farsi da parte, ma sarebbe un peccato perché il suo contributo a livello parlamentare, in un periodo di vuoto come questo, è sempre importante.
Senza contare, che tolto il solito Draghi, forse più icona che altro, non è che vi siano molti profili da spendere a livello internazionale o perché no in prospettiva come Presidente della Repubblica.
Qualcuno può osservare che già in passato Enrico Letta ha abbandonato la vita politica, ma stavolta è differente, perché in primo luogo è il destino dello stesso PD ad essere a rischio e poi non dimentichiamo una cosa.
Le condizioni che l’hanno portato alla segreteria sono irripetibili, e appare impossibile che tra qualche anno si ripensi di nuovo a lui come leader.
Ecco perché il soldato Letta va salvato, poiché, usarlo come capro espiatorio per ripulire tutte le colpe del Pd non sarebbe corretto, soprattutto se i responsabili di questa crisi fossero anche altri.
Ma alla fine della fiera previsioni e congetture lasciano il tempo che trovano e, come sempre, sarà la politica a fare il suo corso.