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Pietro Scaglione: il giudice che sacrificò la sua vita nella lotta alla mafia

by Rosario Sorace

Pietro Scaglione fu un valoroso magistrato che venne ucciso dalla mafia il 5 maggio del 1971 a Palermo, e, soltanto, nel 1991 con Decreto del Ministero della Giustizia, previo parere favorevole del Consiglio Superiore della Magistratura, fu riconosciuto “magistrato caduto vittima del dovere e della mafia”.

Una storia di un fedele servitore dello Stato che difendeva la legalità a viso aperto e senza timore, anche se per decenni è stato vittima di calunnie, di accuse e di maldicenze che ne hanno infangato la memoria.

Scaglione si distinse nel dopoguerra per le inchieste sulla banda Giuliano e sulle requisitorie che fece nei confronti degli assassini del sindacalista socialista Salvatore Carnevale, eliminato dai campieri mafiosi che difendevano i privilegi del latifondismo e che volevano evitare la redistribuzione delle terre. L’ironia della sorte volle che la parte civile della famiglia Carnevale fu rappresentata dal futuro presidente della Repubblica, il socialista Sandro Pertini, e da altri due avvocati anche loro socialisti.

Mentre a difendere i campieri della famiglia dei Notarbartolo fu un’altro Presidente della Repubblica Giovanni Leone. I campieri della principessa Notarbartolo furono condannati all’ergastolo, dopo un lungo iter giudiziario, accogliendo le ipotesi giudiziarie di Scaglione.

Il magistrato non esito mai ad inquisire personaggi ritenuti intoccabili, come Salvo Lima, Vito Ciancimino, altri politici locali e nazionali. Mario Francese, giornalista ucciso sempre dai mafiosi nel 1979, disse che Scaglione “fu convinto assertore che la mafia aveva origini politiche e che i mafiosi di maggior rilievo bisognava snidarli nelle pubbliche amministrazioni”.

Pietro Scaglione, fu impegnato anche nel volontariato e divenne Presidente del Consiglio di Patronato per l’assistenza alle famiglie dei carcerati e degli ex detenuti.

La mattina del 5 maggio 1971 Scaglione fu ucciso barbaramente insieme all’agente di custodia Antonino Lo Russo. Per anni si è brancolato nel buio e le indagini sulla sua uccisione non giunsero mai a definitiva conclusione, come, purtroppo da triste copione per gli omicidi eccellenti. Anzi dopo qualche anno, in una relazione di minoranza della Commissione Parlamentare Antimafia, redatta nel 1976 dal deputato del Movimento Sociale Italiano Giorgio Pisano, si sostenne che, sia il procuratore Scaglione che il presidente del tribunale Nicola La Ferlita, erano responsabili di avere favorito la fuga del boss mafioso Luciano Leggio nel 1969.

Tuttavia sia il Csm che la magistratura accertò, invece, che Scaglione assunse sempre «numerose e rigorose iniziative giudiziarie» a carico di Luciano Liggio.

Bisogna attendere il 1984, quando il collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta, disse al giudice Giovanni Falcone che Scaglione era “un magistrato integerrimo e spietato persecutore della mafia” e che il suo omicidio era stato organizzato ed eseguito da Luciano Leggio e dal suo vice Salvatore Riina e dal cassiere della mafia, Pippo Calò.

Ma ancora più esplosive e clamorose furono le deposizioni nel 1987, del collaboratore Antonino Calderone, il quale dichiarò che l’omicidio di Scaglione rientrava in una serie di azioni criminali ed eversive eseguite da esponenti mafiosi dopo il Golpe Borghese. In quest’ambito anche il rapimento e la sparizione del giornalista Mauro De Mauro , di cui non di è saputo più nulla, erano ricollegabili.

Nel 1992 davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia, Buscetta confermò le dichiarazioni di Calderone ed affermò che “Luciano Liggio stabilì di sua volontà di creare un clima di tensione nell’ambiente politico per preparare il colpo di Stato (il Golpe Borghese). Ognuno prese le sue mosse su quale fosse il politico da colpire […] L’obiettivo di Luciano Liggio fu il procuratore Scaglione”.

La motivazione è stata anche quella che il giorno dopo l’omicidio il giudice Scaglione era atteso in tribunale a Milano per testimoniare sulla telefonata compromettente di Antonino Buttafuoco, deputato MSI, all’avvocato Vito Guarrasi, figura in odore di mafia, poco dopo il rapimento di Mauro De Mauro, telefonata che avrebbe incastrato l’avvocato consulente in Sicilia del potentissimo presidente dell’ENI, Eugenio Cefis.

Tutto questo torbido e inquietante groviglio, come spesso é accaduto su tanti omicidi, finì in un bolla di sapone e nel 1991 il giudice istruttore di Genova Dino Di Mattei, che si occupava delle indagini, dichiarò di non doversi procedere nei confronti dei presunti responsabili. I fatti hanno sempre dimostrato, comunque, che Scaglione tenne sempre un atteggiamento coerente, rigoroso e intransigente nei confronti della criminalità mafiosa. Iniziò con tale omicidio eccellente la stagione stragista dei corleonesi che cominciarono ad eliminare tutti coloro che si opponevano al potere mafioso e che ostacolavono il pactum sceleris di collusioni e complicità che Cosa Nostra stabiliva.

Nonostante tutto ciò non si è mai riusciti a risalire agli esecutori materiali del delitto anche se questo truce omicidio è ascrivibile alla volontà mafiosa.

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