Di Manuel De Maria
A fine febbraio la base progressista del Partito Democratico ha scelto la sua nuova segretaria: Elly Schlein, ex vice governatrice dell’Emilia Romagna guidata dallo sfidante, Stefano Bonaccini, e attuale deputata alla Camera, nonché prima segretaria donna del maggior partito di centro sinistra del nostro Paese.
Si tratta di una grande rivoluzione per il nostro Stato: il Primo Ministro e il segretario del primo partito d’opposizione sono entrambe donne e su questo dualismo si giocheranno le sfide del futuro.
Un risultato che ribalta i pronostici
L’apertura a tutti i maggiori di 16 anni ha destato non qualche polemica: per votare il nuovo segretario, infatti, il Partito Democratico ha deciso di aprire i seggi a tutti, iscritti e non. Proprio questo fattore ha giocato un ruolo determinante, sconvolgendo i risultati provenienti dai circoli delle singole città che davano ampio margine a Stefano Bonaccini e che facevano presupporre una vittoria schiacciante (si trattava di un 52%-34% a favore del governatore).
Il risultato del 26 febbraio ha però cambiato le carte in tavola, vedendo oltre più di mezzo milione di elettori esprimersi a favore della deputata Schlein. E dal 27 febbraio è cambiato tutto.
Dove va il PD?
Il risultato del congresso del Partito Democratico non era scontato, anzi. Faremmo bene a contestualizzare quanto successo, inserendo l’elezione della nuova segretaria all’interno di una più grande finestra temporale che inizia tanti anni fa, precisamente sotto la segreteria Renzi, nel 2015.
In quel momento Elly Schlein decise di lasciare il partito insieme a Giuseppe Civati (oggi in Possibile) per lo scontro di vedute con l’ex Presidente del Consiglio accusato di non aver cambiato nulla, non aver portato il Partito all’altezza della sua base e di aver attuato riforme dall’alto.
Quella che sarà la più grande frattura del Partito Democratico finisce per essere determinante: il blocco renziano, riformista, e quello della base progressista, rappresentata nel 2017 da Orlando (oggi sostenitore della mozione Schlein).
Da quel momento le strade tra il Partito e la neo segretaria sono state separate fino all’inizio di quest’anno. Nel frattempo, il tempo trascorso in mezzo ha portato ben 4 segretari, diverse compagini di Governo e diverse sconfitte di carattere elettorale.
La più forte, forse, è proprio l’ultima, quella del 25 settembre, in cui il Partito Democratico ha visto la conferma del trend negativo nelle ultime grandi elezioni a partire dalle europee del 2014. Tutto questo mentre Elly Schlein non pensava neanche di rientrare, forse.
Dal 26 settembre tutto è cambiato. La base del Partito ha chiesto una svolta repentina, un deciso cambio di passo che riguardasse non solo la figura del segretario, spesso vittima sacrificale del Partito, ma tutta la classe dirigente che aveva amministrato fino a quel momento.
La rivoluzione arriva nel momento in cui la figura di Stefano Bonaccini è stata vista come quella dell’amministratore, del reggente, dell’abile segretario pragmatico ma molto freddo e poco carismatico che in quel momento non serviva tra le fila dei progressisti.
Dopo una parentesi di circa 10 anni in cui il PD è stato il c.d. Partito di Governo, ci si è ritrovati a dover fare politica nei banchi dell’opposizione dove, lo sa bene l’attuale Presidente del Consiglio, l’approccio emotivo e comunicativo è decisamente diverso rispetto a quello che riguarda gli ambiti governativi.
Inoltre, il continuo non detto del PD l’ha posto in una condizione di assoluta neutralità nei confronti di una politica che si sta sempre più tri-polarizzando, in uno scenario costituzionale dove i conservatori moderati quasi non esistono più, gli estremisti di destra dilagano e la sinistra arranca in maniera frammentata e poco convincente, sguazzando tra populismo (un fenomeno dilagante che abbraccia tutti i colori politici) e centrismo di stampo ex DC.
Questa in-decisione di non schierarsi mai, davvero, ha portato gli elettori e i simpatizzanti del PD a cercare di riscrivere la storia e dare quella svolta a sinistra che manca da ormai veramente tanto tempo.
D’altronde, l’Italia per tradizione è un paese a trazione conservatrice con una matrice cattolico-democratica dominante che mai ha permesso, davvero, alla sinistra di farsi spazio nei posti che contano davvero e l’insofferenza degli elettori sta tutta qui: in un mondo che guarda al futuro, al progresso e che dovrebbe fare dell’innovazione il cavallo di battaglia, il Partito Democratico non può restare ancorato a logiche proprie della Prima Repubblica che dominano la scena politica odierna. La scelta di cambiare strada e di non seguire la via di un segretario renziano segna quindi la prima vera svolta da alcuni anni a questa parte.
Una sfida al femminile
Per la prima volta, sia il Primo Ministro che il capo del principale partito d’opposizione sono entrambe donne. Le due figure femminili oggi si fanno spazio fra due ideologie completamente opposte fra loro: una conservatrice, tradizionalista, cristiana, l’altra progressista, omosessuale e laica.
Chi è andato a votare nei gazebo in giro per l’Italia sapeva che la sua scelta sarebbe stata determinante anche per richiamare all’attenzione il primo Capo di Governo donna del nostro paese.
Un chiaro messaggio, forte, che rimanda alla sfida tra maggioranza e opposizione che stavolta sono guidate da due leader carismatiche a loro modo e capaci di intendere la politica in maniera diversa, rappresentando diverse anime e diversi animi. Non è un caso, forse, che colei che dovrebbe essere più “preoccupata” (o motivata) dall’elezione di Elly Schlein è proprio Giorgia Meloni.
Si tratta di un testa a testa identitario, una sfida politica oltre il genere che ha il merito di dare voce a milioni di elettrici ed elettori che hanno posto la propria fiducia in coloro che sono simboli di ideologie differenti e di vedute contrapposte che per certi versi rappresentano anche due anime diverse del mondo femminile.
Per la nuova segretaria del Partito Democratico la prima vera sfida a Giorgia Meloni saranno le elezioni europee che si svolgeranno l’anno prossimo in un’Europa che vira sempre di più verso destra.