Ripensiamo tutti con un’acuta dose di nostalgia al tempo in cui l’Italia era pervasa e pullulava di fermenti culturali e tensioni ideali. Era un’epoca in cui la cultura veniva personificata da figure emblematiche e carismatiche che divenivano molto spesso mentori dei progetti di trasformazione della vita nazionale.
Proprio trent’anni fa moriva lo scrittore Leonardo Sciascia, figura indimenticabile di intellettuale illuminista che esprimeva in tutte le sue opere un anticonformismo preveggente che sfidava le verità consolidate e che, pur essendo un uomo appartato, non lesinava l’impegno civile e politico nelle circostanze in cui la ragione lo richiedeva. Bisogna anche dire che sin dal dopoguerra le formazioni politiche si nutrivano e si sostenevano di elaborazioni di scuole, centri di formazione, club di intellettuali che arricchivano di contenuti le proposte e i programmi politici. C’era una dimensione della vita intellettuale che non si sottraeva al dibattito pubblico e che esternava con un vigoroso coraggio il proprio punto di vista sui grandi temi della società avvertendo forte l’esigenza di modernizzare l’Italia fondandola sull’estensione delle libertà, sulla crescita democratica e sulla ricerca della giustizia sociale. Abbiamo vissuto una fase in cui per citare Pier Paolo Pasolini una parte rilevante del mondo della cultura si assegnò il compito di coniugare il poderoso sviluppo economico con il necessario progresso sociale.
Nel coro della dialettica tra intellettuali organici ai partiti e quelli disorganici dal potere nasceva un fiume carsico che poi si dirigeva verso la politica che quando non censurava queste istanze almeno cercava, anche se spesso confusamente, di sintetizzare queste domande in modo intellegibile e compiuto. Cosicché fuori dall’accademia gli intellettuali non erano chierici solitari ma rappresentavano una valida minoranza che scriveva la storia e che sapeva essere indipendente e autorevole nella relazione tra elitè e popolo ed in mezzo a forti conflitti sociali di un humus che subiva i retaggi e i cascami di valori conservatori, arretrati se non reazionari.
Oggi invece al contrario denoto che i pochi intellettuali rimasti si ritraggono ripiegandosi sulla dimensione esistenziale o antropologica e quando scendono in campo sui temi sociali o politici assumono anch’essi come la classe dirigente politica un’immagine a volte macchiettistica o marginale a prescindere dallo loro stessa volontà. Per lo più vengono utilizzati in modo mercenario dalle strutture mediatiche ed editoriali soltanto per abbellire la scena televisiva, per esprimere qualche pensiero aulico o per dare dignità al vuoto politico assoluto. Non dico che le personalità culturali del passato non cercavano prebende o non servivano qualche padrone o non erano al centro di aspre polemiche ma riuscivano meglio a respingere e a reagire a tutti gli apparati e i gruppi di potere che li combattevano come eretici quando non si allineavano ed erano capaci di mettere in campo la qualità della conoscenza e una maggiore solidità delle convinzioni.
Oggi ogni pensiero espresso sembra sortire in un’evanescente bolla di superficialità, in una battuta fugace e uno scettico motto di spirito e dove tutto appare sospinto dalla necessità dell’ esposizione perenne e dell’ apparenza permanente. Cosicché con un ceto politico fragile e incolto che non fa mistero di esprimere indifferenza, dileggio e sarcasmo verso chi si dedica alla cultura politica e che invece di libri sul comodino da leggere i capi per lo più si dedicano ad osservare in modo permanente lo smarphone o il tablet per tenersi collegati con la rete ed eccitare su ogni tema e in ogni circostanza gli attivisti e i simpatizzanti al fine di mantenere il proprio consenso. Non esistono più i grandi laboratori politici che hanno animato la vita associata in cui con il duro lavoro e de visu si costruivano le idee.
A tale proposito ripenso allo straordinario Progetto socialista del 1978 che impegnò il fior fiore dell’intellighentia italiana e che è stato una pietra miliare, una fucina di idee che, nonostante il duro ostracismo, ha animato e rinnovato la sinistra democratica in Italia. Per dirla con il maestro di Regalpetra ritengo che la memoria possa avere un futuro per tentare di dare una prospettiva nel difficile e complicato cammino del tempo che viene.