Se avessero voluto ricordare il cambiamento climatico ai leader del G7 bastava alzare lo sguardo.
Sopra l’opulento Schloss Elmau, la località in cui i leader delle più potenti democrazie del mondo hanno discusso ridendo e scherzando negli ultimi tre giorni, il ghiacciaio più grande – che presto sarà l’ultimo – della Germania si trova su una sella al cima del monte Zugspitze di 2.962 metri.
Il ghiacciaio si sta sciogliendo e sta perdendo 250 litri d’acqua ogni 30 secondi. Un’indagine scientifica dell’anno scorso ha rilevato che sarebbe probabilmente scomparsa entro il prossimo decennio. In ogni caso, dicono gli scienziati, il ghiacciaio si sta sciogliendo e non può essere salvato.
Il cambiamento climatico, che sta piano piano rimodellando il pianeta e sta sconvolgendo le nostre vite, è da anni una delle massime priorità del G7. Almeno su carta.
Ma con la guerra in Ucraina e la forte voglia di giocare a Risiko, condita dall’inflazione, dalla scarsità alimentare globale e dall’aumento dei costi energetici, i leader delle più grandi democrazie industrializzate si sono dimostrati ancora una volta incapaci e distratti da imperativi più superficiali.
I fallimenti dei leader del G7 sono sotto gli occhi di tutti. Incapaci di fermare la guerra e avendo impoverito l’industria e l’economia con le sanzioni, i leader hanno lasciato che i prezzi e il mercato andassero fuori controllo dando vita alla più grande inflazione dal dopo guerra. Mossa che ha agevolato l’alta finanza che sta continuando a speculare sulle materie prime.
Se a tutto questo disastro si aggiunge anche la crisi alimentare, dovuta al blocco di milioni di tonnellate di grano ucraino indispensabili per nutrire il mondo in via di sviluppo, il piatto è servito.
Sebbene il messaggio sia quello di uno scopo condiviso non comune e senza precedenti nell’affrontare tutte queste sfide, alla fine chi decide sono sempre gli Usa.
Le soluzioni messe in pratica sono state controproducenti e contraddittorie, come quando si è cercato di abbassare i prezzi del petrolio e del gas riaffermando contemporaneamente i loro obiettivi per porre fine all’uso di combustibili fossili.
Vogliono porre fine alla guerra ma non combatterla. Vogliono promuovere il capitalismo basato sulle regole, mentre impongono controlli sui prezzi dell’energia.
“Le decisioni ora prese non affrontano la questione della guerra in modo tempestivo e aggravano le sfide della crisi climatica”, ha affermato David King, presidente del Climate Crisis Advisory Group ed ex consigliere scientifico capo del Regno Unito, come la riunione si è conclusa.
Le circostanze incredibilmente difficili e le scelte strazianti che devono affrontare i leader hanno sottolineato la contraddizione intrinseca tra i loro stessi imperativi elettorali a breve termine, guidati da elettori impazienti che chiedono costantemente di vedere risultati immediati, e dall’obbligo morale a lungo termine di fare il bene per i loro pronipoti non ancora nati si sono già messi in una posizione scomoda.
Quando i leader del G7 si sono riuniti l’anno scorso a Carbis Bay, in Inghilterra, non avrebbero potuto prevedere che le discussioni al loro prossimo vertice sarebbero state dominate dal ritorno di una guerra su larga scala in Europa ma fare tutto il contrario di ciò che si era detto non fa riporre fiducia e sicurezza nel loro operato.
L’attenzione si è quindi concentrata sulle ricadute della pandemia di COVID e, più in generale, sul cambiamento climatico e sulla chiara e crescente minaccia della Cina. Ma niente di nuovo dal vertice, le chiacchiere rilanciate dai leader per i titoli di giornale si sciolgono al sole proprio come il ghiacciaio di Zugspitze.