Costantino Lazzari, nacque nel 1857 a Cremona, fu un artigiano di umili origini che si iscrisse giovanissimo alle associazioni operaie milanesi create dai radicali. Fu allevato dai nonni materni, si trasferì con essi a Milano, dove ebbe modo di frequentare la scuola tecnica, quindi, una scuola serale di lingue, nella quale apprese il francese, un po’ d’inglese e di tedesco, e, infine, frequentò per circa tre anni l’Accademia di Brera.
Fu assunto come garzone di magazzino e vi fece una rapida carriera, che si interruppe nel dicembre 1882, quando subì un arresto, per aver partecipato a Milano a una manifestazione di protesta per l’impiccagione di Guglielmo Oberdan. Condusse lotte in favore della classe operaia e i ceti meno abbienti con l’amico Giuseppe Croce e con intellettuali Enrico Bignami ed Osvaldo Gnocchi-Viani per poi fondare nel 1882 il Partito Operaio Italiano. Convintosi della necessità di dar vita a un’organizzazione operaia autonoma che fosse intrisa di ideali socialisti prese lentamente le distanze dalle correnti moderate democratico-radicali lombarde. Così, nel luglio 1883, fu tra i fondatori del periodico Il Fascio operaio, che si stampò a Milano in una piccola tipografia di sua proprietà fino al 1890. Sempre nel 1886, in conseguenza del decreto prefettizio di scioglimento del POI, fu arrestato insieme con gli altri dirigenti del partito e condannato a tre mesi di prigione.
Nel 1887, Lazzari partecipò al congresso di Pavia che segnò il suo rinnovato impegno nel Partito Operaio Italiano e in questa occasione si pose fine all’esclusivismo operaista, di cui fu un fervente sostenitore, ammettendo l’iscrizione al partito anche di lavoratori indipendenti e non manuali. Si approvò anche una rapporto per il congresso di Buffalo del Partito socialista operaio americano, che fu redatto da Lazzari e in cui si stabilì per la prima volta un contatto con le correnti internazionali del socialismo. Nel quarto congresso del POI che si tenne a Bologna nel 1888 egli fu delegato a rappresentare il partito al congresso internazionale delle trade unions di Londra del novembre successivo, dove conobbe F. Engels. Dopo un nuovo arresto che avvenne nel 1889, si fece promotore al congresso del POI dell’anno successivo di una proposta che stabilì “la necessità di organizzare il partito sulla base unica della resistenza” e di escludere pertanto le società di mutuo soccorso. Nel 1889 fu artefice insieme con Filippo Turati della nascita della Lega socialista milanese e condivise con lui la costruzione del Partito dei lavoratori italiani, che conobbe una tappa significativa nel congresso operaio di Milano dell’agosto 1891.
Fu fautore della costituzione delle Camere del lavoro e nel 1891 fu tra i fondatori di quella di Milano, nella quale entrò come rappresentante della categoria degli impiegati privati. Strinse proprio in questi anni, quindi, un proficuo legame di amicizia appunto con Filippo Turati e Anna Kuliscioff. Con loro, nell’agosto 1892 a Genova, fece confluire il POI nel nuovo Partito dei Lavoratori Italiani, che a Reggio Emilia nel 1893 ed Imola 1894 diventò Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, e nel 1895 a Parma il Partito Socialista Italiano.
Si schierò sempre su posizioni antimilitariste che reputò come “la applicazione della forza e della violenza alla difesa e alla conservazione delle classi e delle istituzioni privilegiate”. Rimase su queste posizioni che influenzarono sempre il suo pensiero e la sua azione politica. Nel congresso di Genova del 1892, dopo qualche iniziale opposizione alla linea turatiana, dichiarò di “accettare intero e francamente il programma votato”.
Nel 1893 partecipò al secondo congresso del partito, a Reggio Emilia, e divenne amministratore del giornale La Lotta di classe. Dovette abbandonare questo incarico nel 1896 perché fu ritenuto responsabile di un ammanco di 500 lire. Svolse un’intensa attività in favore del movimento dei Fasci siciliani e promosse la nascita a Milano della Lega per la libertà. Fu arrestato e fu condannato a tre mesi di reclusione con cinque mesi di confino a Borgo Taro. Poté partecipare al congresso di Parma del 1895, dove presentò la proposta di introdurre il sistema delle adesioni individuali al partito, che assunse contestualmente la nuova denominazione di Partito socialista italiano (PSI). Dopo il confino, partecipò al congresso nazionale del PSI di Firenze del luglio 1896 e si impegnò come segretario della Camera del lavoro di Monza. Lavorò con un impiego come commesso viaggiatore e ciò gli consentì di percorrere l’Italia svolgendo nel contempo una fervida attività di propaganda e intessendo relazioni con numerosi esponenti socialisti.
Fu arrestato nuovamente 1898 mentre si trovava a Camerino poiché fu ritenuto istigatore delle agitazioni popolari di Milano e subì una condanna che scontò nel penitenziario di Finalborgo. Dopo la sua liberazione sostenne l’alleanza con i partiti democratici affini alle elezioni amministrative di Milano del 1899 e nelle elezioni politiche del 1900 si candidò nei collegi di Voghera e Varallo Sesia. Non risultò eletto e si dimise dalla commissione esecutiva della federazione socialista milanese. Cominciò in questo periodo la sua polemica con Turati e criticò il gradualismo riformista che reputò lento e inadeguato schierandosi, altresì, contro, sia il connesso pericolo del ministerialismo, sia opponendosi ai “colpi di testa del rivoluzionarismo empirico”. Si avvicinò ,quindi, alle posizioni di Artuto Labriola e Walter Mocchi, collaborando al giornale Avanguardia socialista in cui espresse queste posizioni sin dal 1902, e in seguito diventò amministratore dello stesso giornale.
Coerente con le posizioni antimilitariste fu contrario alla guerra di Libia e si scontrò duramente con l’ala riformista del PSI, che si consumò al XIII congresso nazionale di Reggio Emilia del 1912. La nuova direzione lo nominò segretario del partito, carica fino al 1919, assumendo in prima persona l’onere delle scelte più significative del partito. Fu Lazzari che indicò Mussolini come direttore dell’Avanti! ,e poi, nel novembre 1914 fu sempre lui che stese l’atto d’accusa contro il futuro duce per decretarne l’espulsione dal partito.
Fu eletto finalmente deputato nel 1919 nei collegi di Milano e Cremona e fu confermato nelle elezioni del 1921 e del 1924 mentre nel 1920 fu eletto consigliere comunale di Roma. Dopo la prima guerra mondiale rimase fedele ai suoi convincimenti politici e le sue posizioni furono sempre quelle del massimalismo che propugnò l’attesa messianica della rivoluzione anche se ebbe sempre dubbi e timori sull’uso della violenza come metodo di lotta. Messo in minoranza dal Congresso di Bologna che si svolse nell’ottobre 1919 poiché si affermò la corrente massimalista dei comunisti unitari di Giacinto Menotti Serrati. Diventò segretario del partito Nicola Bombacci che lo sostituì.
Caldeggiò, comunque, l’adesione alla III Internazionale e si recò a Mosca nel 1921 incontrando Lenin. Si rifiutò, però , alle tendenze all’annessione del Psi per arrivare ad una fusione col Partito comunista d’Italia (PCdI). Al Congresso di Livorno del 1921 capeggiò una mozione nella quale confluirono i riformisti e nel XIX Congresso del PSI del 1922 votò per l’espulsione degli stessi riformisti dal partito, rimanendo un massimalista, terzinternazionalista, assertore, cioè, dell’ingresso del PSI nella Internazionale Comunista. Ma rimase nel Partito socialista anche quando i ‘terzini’ confluirono nel PCdI. Fu aggredito ripetutamente dai fascisti e nel 1927 subì persino un’offerta di reclutamento da parte della polizia politica come spia del regime. Lazzari non cedette sottraendosi all’incarico. Morì a Roma alla fine del 1927 in condizioni di estrema povertà.