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Lo storico che ha paura della Storia

by Bobo Craxi

La proposta di istituire una commissione di inchiesta sulla stagione giudiziaria che rovesciò il sistema politico italiano facendo sparire cinque partiti democratici, che sciolse il Parlamento e aprì la strada allo strapotere giudiziario che è durato per trent’anni non poteva che incontrare resistenze, dubbi legittimi ma anche clamorosi e sospetti mal di pancia.

Miquel Gotor é uno storico serio, a lui si devono pregevoli saggi sull’Italia del novecento, su Aldo Moro, sulla storia di santi e beati; milita in un partito (art.1) oggi sottoposto al tirassegno per via dell’imbarazzante scandalo europeo, ha il privilegio di ricoprire la prestigiosa carica di Assessore alla Cultura nella Capitale d’Italia con zero voti all’attivo elettorale.

Richiesto un suo parere da Repubblica sull’iniziativa del parlamentare Battilocchio e del gruppo di Forza Italia é intervenuto a piedi uniti per ricacciare l’ipotesi dell’istituzione di un’inchiesta parlamentare ritenendola oramai superata nel tempo dai fatti ed essendosi sedimentata una tesi di fondo in parte accettabile ovvero che quel sistema politico era attraversato dalle illecità del suo finanziamento a lungo tollerato in tempo di guerra fredda e non più sopportabile alla fine di quel periodo.

Che chi muove obiezioni circa il conclamato abuso di potere della Magistratura in quel periodo si lagna, in parte giustamente, ma non giustifica il ricorso ad una commissione che in qualche modo riapra ferite e tensioni in un Paese che, a dire dello storico, ha superato quel trauma ed ha saputo ritrovare la via retta della virtuosità politica e della legalità diffusa.

Naturalmente é una tesi confutabile e rispettabile che tuttavia non tiene conto di rilievi storici e politici emersi in questi trent’anni anni che rendono le tesi, anche contrapposte, di comodo possibilmente superate da nuovi fatti e da nuove interpretazioni.

I tribunali hanno fatto e scritto la storia, le storiografie coerenti e diversamente orientate hanno cercato di mantenere viva la riflessione sui fatti, ma la politica ufficiale non ha mai avuto modo di esprimersi su ciò che accadde all’epoca.

Sulla più grande e poderosa inchiesta giudiziaria del dopoguerra sul finanziamento illegale alla politica, che ha prodotto condanne ed arresti molti dei quali prolungati ed illegali, che ha visto cittadini suicidi in carcere e fuori dal carcere, le cui conseguenze hanno inchiodato la vita politica e sociale del paese per anni e sulla quale non si sono scritte grandi parole di verità ma si è preferito guardare avanti per evitare imbarazzate letture retroattive.

La verità é che la lettura facile che l’inchiesta avesse scoperchiato un sistema deprecabile che fino al 1992 l’aveva fatta franca non poteva reggere molto a lungo.

Vi è stata una spallata decisiva e contemporanea che non mise in ginocchio solo l’Italia ma che simmetricamente cercó di incunearsi in tutte le democrazie europee che conobbero all’epoca le proprie versioni di “Tangentopoli”
Crisi endogene e influenze esterne trovarono un punto di convergenza, e le incursioni nelle vicende interne ai singoli paesi furono successivamente accertate.

Stupisce come uno storico come Gotor non sia interessato ad approfondire quanto emerge dai documenti oramai secretati del Dipartimento di Stato Americani circa l’interesse esplicito e l’impegno costante degli apparati della sicurezza ed il loro rapporto stretto con gli inquirenti che indagavano su uomini politici e forze politiche democratiche italiane.

Sorprende che si pensi di poter derubricare a nostalgia la doverosa richiesta di verità, e di riservare il giudizio politico solo ad una indagine storiografica che non si avvalga dell’ufficialità di un indagine parlamentare ma che si limiti a ratificare il verdetto dei vincitori.

Le cose potrebbero stare così in regimi a bassa intensità democratica, in sistemi chiusi dove vige la regola del “segreto di Stato” per non scuotere e disorientare il credo popolare o per non smentire le dottrine ufficiali dello Stato.

Gotor che è uomo che ha scavato nei meandri dell “affaire Moro” sa che molti inquietanti interrogativi continuano ad albergare attorno al rapimento ed uccisione dell’eminente Statista, stupisce che non senta il dovere ma il bisogno storico di capire e comprendere che non ce la si cava a poco prezzo derubricando l’inchiesta Mani Pulite come un’ordinaria storia di malaffare politico.

Per intenderci non bisogna confondere la corruzione di un gruppo di europarlamentari da parte di un paese straniero le cui conseguenze non saranno la fine dell’Europa con l’inchiesta che in Italia fece sciogliere un Parlamento e che cancelló dalla faccia della terra cinque partiti democratici.

Forse a trent’anni di distanza, senza alcun revanscismo, sarebbe necessario spiegare ai posteri come e perché accadde tutto ciò.

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