É passato quasi un anno é mezzo dal conflitto ucraino, dall’invasione dell’armata russa dei suoi confini, dalle devastazioni, le deportazioni, dalle conseguenze tragiche di questa situazione che ridisegna i poteri e gli ordini globali, che scuotono i popoli oltre la singola appartenenza ai propri Stati-Nazione.
Il costo economico della guerra va supportato, si dice, perché in gioco vi sono l’insieme di valori e di principi che fanno delle società democratiche solidali tra loro nella sicurezza e nella pace la conquista più importante che i popoli sono riusciti ad ottenere all’indomani del conflitto mondiale.
Ed é indubbio che i focolai sanguinosi che sono sorti anche all’indomani del secondo conflitto mondiale hanno avuto, dopo una lunga parentesi sanguinosa, un esito; una via d’uscita, tranne per quei conflitti regionali che si sono cronicizzati, come quello che oppone Israele alla vocazione di autonomia e di autodeterminazione del popolo palestinese, o altri conflitti aperti considerati minori.
Oggi che la situazione militare sul terreno é da considerarsi di fatto uno stallo nulla é più di interesse per l’Europa di spingere per una fuoriuscita da questo conflitto, pena la sua cronicizzazione permanente che può essere pericolosa e, addirittura, può rappresentare un rischio facendo riaffiorare un nazionalismo che intrinsecamente é nemico della costruzione europea.
Non si adontino i sostenitori della causa nobile della difesa dei confini ucraini e della legittima aspirazione di vivere in pace entro i confini riconosciuti dal diritto internazionale; però esiste un punto entro il quale la politica ha bisogno di non smarrire la propria capacità di interpretazione anche dei conflitti; la loro trasformazione graduale del loro significato, il giudizio che non può soffermarsi sulla ragione che li ha scatenati.
Oggi c’è un problema che nasce dal fatto che il protrarsi del conflitto non rafforza il processo di integrazione dei popoli ma ne accentua il loro distacco.
Non determina la creazione di un nuovo Ordine basato sulla capacità di governance globale fondato sul multilateralismo ma riproduce drammaticamente la divisione del mondo per blocchi e per nazioni; ed il nazionalismo non é solo “un rifugio dei vigliacchi” ma è la negazione delle ragioni per le quali si è sostenuta e si sostiene la causa della resistenza Ucraina che sta via via assumendo significati e ruoli diversi da quelli che hanno condotto l’Europa ad un sostegno senza equivoci.
Ma oggi é la Pace il bisogno primario se si vuole difendere l’integrità del progetto europeo; la pace politica da ottenersi con sforzo diplomatico rafforzato ed incalzante.
Nulla a che vedere con il richiamo all’aumento della potenza militare e tecnologica che tiene in vita le ragioni de conflitto senza che si produca un significativo passo in avanti.
La Pace possibile e “perpetua” certamente ha bisogno di un compromesso che, per quanto ipocrita, risvegli dal sonno della ragione le coscienze che sono ferme al Febbraio del 2022; che non indugi nella paura del rischio di scambiare il dialogo e la ricerca della pace come una diserzione.
L’Europa ha bisogno della pace perché la minaccia della sua disintegrazione nazionalista non deriva dall’offensiva russa quanto dal prosieguo di un conflitto senza sbocchi che ha già assunto significati e valori che vanno al di là della nobile
causa della difesa della integrità dei confini dell’Ucraina.
1 comment
Leggo con interesse questo intervento di Bobo che apprezzo….pur ricordando altre sue affermazioni mesi fa in controtendenza a queste,forse con la speranza che la guerra fosse breve.
Non lo è e,non lo sarà finché noi occidente ne saremo pienamente coinvolti attivamente.
Lo dico dai primi momenti,la UE ha perso un motivo per crescere,facendosi ammaliare da USA e NATO ma per la UE era doveroso essere arma di dialogo e,non di morte.
Ne pagheremo le conseguenze, inutile dire che non sarà così….inutile