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Le utopie realizzate

by Freelance

di Marco Palmieri

Il termine “Utopia”- come è noto – fu coniato da Thomas More, che nel 1516 ne fece il titolo della sua opera ispirata alla Repubblica di Platone. Egli immaginava un viaggio in un altrettanto immaginaria isola abitata da una società ideale.

L’organizzazione sociale per More si basa sul concetto di uguaglianza – vicino alla futura idea di socialismo – ed abolisce la proprietà privata, quale causa di ogni male. Tutto è distribuito secondo la logica platonica della spartizione dei beni ed ogni religione ha pari dignità e spazio.

Così come nella città del sole di Campanella, che tuttavia intuisce il bisogno di un comando unitario per un’organizzazione ideale. Ed immagina quindi a capo della società un governo teocratico controllato spiritualmente e temporalmente da un sommo sacerdote chiamato Sole. Questi è colui che ha conquistato il potere non con le armi o con la forza, ma perché in tutto eccelle e gliene è reso merito.

Utopia è un termine che ha origine dal greco, formato dalla negazione ou e dal sostantivo topos . Vale a dire “ non luogo” , ovvero un luogo che non esiste (e non può esistere). Ed è per questa sua propria ed effettiva insussistenza, che l’utopia non ha mai trovato realizzazione pratica.

Ai giorni nostri sembra quasi si stia facendo largo una nuova ed improbabile utopia, quella del “distanziamento sociale”. Quella che imporrebbe di svolgere le normali attività di vita mantenendo la distanza di almeno un metro e mezzo dal prossimo. Progetto quantomeno irrealizzabile, o meglio: utopistico. Che settori come il turismo, la ristorazione, il trasporto pubblico – o luoghi come il tribunale e il parlamento possano funzionare in queste condizioni è assolutamente impensabile.

Consideriamo, ad esempio, il settore del turismo, che da solo produce qualcosa come il 13 % del PIL italiano: lo Stato richiederebbe che le attività turistiche si svolgessero garantendo il distanziamento sociale, l’utilizzo da parte di tutti di mezzi di protezione adeguati, lo stesso livello occupazionale e il mantenimento delle medesime spese fisse (leggi affitti, utenze, ecc.).

Ora, per dimostrare l’impraticabilità del mantenere gli stessi standard con una riduzione di almeno due terzi della clientela (in una sala ristorante è stato calcolato che questa potrebbe essere una verosimile riduzione della capienza dovuta al distanziamento sociale) non credo ci voglia un economista.

Per quanto riguarda il resto, immaginate un ristorante in cui mangiare indossando una mascherina sulla bocca e ad almeno un metro e mezzo dal vostro commensale! Ma gli esempi potrebbero farsi in merito a qualsiasi altro genere di attività, e porterebbero a risultati non tanto ridicoli quanto tragici.

Immaginate di andare in spiaggia con guanti e mascherine. E al mare? E in piscina?​Immaginate di prendere un aereo. Quanto tempo dovrebbe volerci per fare tutti i controlli sanitari prima della partenza? Come dovrebbero essere distribuiti i posti a bordo? Quanti posti in meno dovrebbero calcolarsi? Che costo dovrebbero avere i biglietti, e quanti li acquisterebbero? Converrebbe ancora, a queste condizioni, per le compagnie aeree operare i voli? Immaginate poi di dovervi sposare. Come sistemereste gli ospiti? Come vi fareste le foto? Immaginate il Parlamento.

In attesa della riduzione del numero dei parlamentari li facciamo lavorare a ranghi ridotti? Un giorno la maggioranza, un giorno l’opposizione? E’ evidente che proporre il distanziamento sociale in questi termini è un’utopia. Dopo i primi giorni nessuno rispetterebbe più queste regole. A meno…di non voler giustificare un controllo pressante, continuo e pervasivo dell’autorità statale, come in ogni utopia realizzata che si rispetti. E allora dovremo anche credere che sulle spiagge, invece dei vu’ cumprà, quest’estate gireranno i carabinieri che, al pari di solerti guardiani della rivoluzione, imporranno ai bagnanti il velo.

Dovremo abituarci all’idea che, al nostro matrimonio, mentre tagliamo la torta, arrivi a sirene spiegate la polizia per verificare che le distanze di sicurezza siano state mantenute. Dovremo ragionevolmente credere che al tavolo del ristorante ciascuno mangi (se può, con la mascherina) guardando di sottecchi il vicino, nel terrore che questi riprenda con lo smartphone un qualche comportamento scorretto, magari una carezza sulla mano della fidanzata, e lo denunci.

Non sono uno scienziato. Non sono un medico. Non ho risposte per la cura dell’epidemia. Ma prima di imbarcarci nella nuova utopia, riflettiamo un secondo. Siamo davvero sicuri di volere tutto questo?

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