La questione politica catalana è ancora viva, ma anche quella della giustizia italiana
Redatto da Huffingtonpost
L’ex presidente Puigdemont auto esiliatosi all’estero da più di tre anni ed inseguito dalle autorità spagnole per aver organizzato il Referendum per la secessione è stato arrestato nel lembo italiano dove si parla ancora catalano, ad Alghero, appendice della repubblica immaginata dai secessionisti e testimonianza della suggestiva storia del nostro Mediterraneo.
I giudici italiani avvezzi al protagonismo trovano il modo di ficcare anche il nostro Paese dentro la diatriba complessa che da anni oppone una parte della Catalogna Repubblicana al Regno Spagnolo, hanno eseguito un ordine di cattura nei confronti dell’eurodeputato al quale il 30 luglio di quest’anno erano state revocate le immunità fatto salvo però la pendenza di una sospensiva che avrebbe richiesto un nuovo ordine di cattura da parte delle autorità spagnole che ne avevano di fronte al tribunale dichiarato l’inesistenza.
Un rompicapo giuridico che stamane la corte d’appello di Sassari, dove Puigdemont è detenuto dovrebbe dipanare a favore di quest’ultimo come auspica il suo avvocato Gonzalo Boyé che si è dichiarato tranquillo dell’esito.
Sullo sfondo delle intricate vicende giudiziarie tuttavia restano le questioni politiche ancora sospese e questo arresto improvviso non potrà che rinfocolare le polemiche e le divisioni.
Se prima dell’estate il governo spagnolo di Sanchez aveva varato un provvedimento di indulto nei confronti di un pezzo consistente dei leader indipendentisti catalani riavviando un processo di pacificazione e dialogo fra Madrid e Barcellona, restava ancora in un limbo la posizione di Puigdemont che guida l’anima più intransigente e radicale del centrodestra separatista, infatti quest’ultimo con il suo partito, secondo partner di governo in Catalogna, aveva ingaggiato un vero corpo a corpo con l’altra ala dell’indipendentismo, quella di sinistra repubblicana (erc) di Junqueras e Aragones votata a un atteggiamento più dialogante con il governo centrale.
La detenzione di Puigdemont in Italia, e la possibile estradizione dello stesso, getterebbe nuovamente nel caos la Catalogna e coinvolgerebbe l’Italia in questa controversia storico-politico-territoriale nel cuore del Mediterraneo, e anche un’eventuale sospensione di fatto del provvedimento cosa più probabile per evitare che un’eventuale disobbedienza italiana e spagnola al Tribunale Supremo di Giustizia Europea, autorità prevalente, produca un danno non solo di immagine ma anche pecuniario che può arrivare sino alla sospensione dei contributi dell’Unione.
Un rompicapo politico, diplomatico, giudiziario che sembra confermare il carattere surreale della vicenda catalana, d’altronde noi ricordiamo spesso che è la patria del surrealismo.
Qualcuno ha fatto balenare l’idea che sia stato il machiavellismo dell’indomito ex presidente irredentista a produrre questo giallo politico e giudiziario; finito in un angolo, privato dell’immunità Puigdemont potrebbe trovare vantaggio dal nuovo caos che andrebbe a determinarsi in una sorta di “tanto peggio, tanto meglio”.
Sono portato a credere piuttosto che vi sia una parte consistente dell’apparato statale spagnolo, ancora di ispirazione e derivazione franchista, non abbia affatto digerito il perdonismo dei governo socialista nei confronti dei separatisti e che l’occasione di poterlo arrestare fuori dai confini belgi e francesi (dove la sentenza del Tribunale Europeo esplicita che egli poteva continuare a soggiornare in virtù della funzione di europarlamentare) non poteva sfuggire di mano.
È accaduto in Italia, dove purtroppo l’occasione di un nuovo protagonismo giudiziario poteva essere propizia essendoci una certa abitudine nel perseguire ed arrestare uomini politici.
Questa volta è accaduto con un parlamentare europeo in carica, ed è la prima volta che accade. Il Caso Puigdemont non è chiuso, la questione politica catalana è ancora viva, ma anche quella della giustizia italiana.