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La scuola degli affaristi

by Rosario Sorace

Da decenni molte delle nostre opere pubbliche (strutture e infrastrutture) anche indispensabili stentano ad essere completate. Ci sono sempre intoppi di tutti i tipi che impediscono la consegna dei lavori nei tempi previsti e in piena efficienza oltre che funzionalità.

Da un lato, ad esempio, c’è l’annoso fine lavori del Mose a Venezia e dall’altro il nefasto malaffare di tante città, anche piccole, che simboleggiano la stasi delle opere e nel contempo rappresentano lo sperpero del danaro pubblico che alimenta la corruttela.

Ecco che in periodi storici diversi e con legislazioni di quadro differenti si osserva come ha (dis)funzionato questo comparto nel nostro paese e cosa hanno significato le “mangiatoie” che divoravano risorse ingenti a cui hanno attinto senza il rispetto degli interessi pubblici sia politici, sia tecnici e sia di imprese e chissà di chi altro.

Le opere pubbliche sono inficiate non solo dalla corruzione ma, quando non si completano, mostrano la lentezza burocratica che produce un danno persino peggiore dell’arricchimento personale nel labile confine tra il lecito e l’illecito. Infatti a Venezia abbiamo constatato l’incredibile e disastrosa situazione che si è venuta a creare a seguito dell’innalzamento del livello dell’acqua nella laguna. Tutto ciò ha determinato soltanto sconcerto e malessere sociale per la negligenza, l’inefficienza del sistema affidato, per quanto concerne il controllo di legalità, alla magistratura ordinaria. Alla fine una differenza abbastanza evidente tra i due esempi è il fatto che il Consorzio che gestiva la costruzione del Mose è stato chiamato in causa da un’inchiesta in cui è stato scoperchiato il malaffare e sono state comminate condanne per tangenti per decine di milioni a fronte di circa sei miliardi di lavori di euro già spesi. Nonostante ciò, tutto è ancora in alto mare. Mentre in tanti Comuni vi sono opere incompiute perché nonostante i finanziamenti originari, ulteriori erogazioni di somme e le numerose perizie, non vi sono stati controlli di nessun tipo e la vicenda, seppur segnalata a più riprese dagli organi d’informazione, da inchiesta giornalistiche e dall’opinione pubblica non è stato mai esercitato realmente un controllo dall’autorità giudiziaria e il tutto è stato relegato a un problema di dilapidazione di risorse pubbliche senza individuazioni di alcun responsabile.

Quel che appare sin troppo ovvio è il fatto che una volta le inchieste giudiziarie non si facevano affatto e gli organi contabili come la Corte dei Conti avevano poteri meno pervasivi sull’uso della spesa per investimenti di commesse pubbliche che come sappiamo è lievitata all’infinito non perché necessaria e indispensabile ma solamente per “oliare” un sistema che serviva alla elargizione di mazzette utilizzate anche per finanziare la mafia.

Ad esempio, in Sicilia Rino Nicolosi a suo tempo aprì uno squarcio di verità sul funzionamento degli equilibri tangentizi dopo le rivelazioni del pentito Angelo Siino. Cosa che fece anche Bettino Craxi in Parlamento, ammettendo il finanziamento illecito dei partiti e implicitamente la corruzione del sistema.

Si potrebbe continuare all’infinito perché dopo la fine della prima tangentopoli altre ne sono seguite e la corruzione non è diminuita. Anzi, ha assunto forme più sofisticate e raffinate. Per concludere questa triste analisi bisogna dire che da noi l’istruzione pubblica ha perso terreno mentre la scuola degli affaristi ha avuto un’espansione assai preoccupante.

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