In Sardegna, forse più che altrove, la sanità pubblica sembra ritirarsi dal territorio lasciando vuoti incolmabili.
L’attenzione sull’esistente e su quanto è già stato rimosso dal territorio, ha fatto perdere di vista i finanziamenti erogati sul piano nazionale e nello specifico, quelli destinati a ogni Regione per quanto riguarda la sanità territoriale.
Il Pnrr con decreto del Ministero della Salute del marzo di quest’anno, ha stanziato otto miliardi di euro con la finalizzazione di incrementare la presenza sul territorio delle strutture sanitarie.
Per quanto riguarda il sud e le isole, il piano riserva il 41,09% del totale, per un valore di 3,3 MLD di euro.
Il Pnrr prevede l’importante realizzazione delle Case della comunità, 2 MLD di euro, la digitalizzazione, 1,4 MLD, la sicurezza negli ospedali, 1,4 MLD, grandi apparecchiature, 1,2 MLD, Ospedali di comunità, 1 MLD, Centri operativi Territoriali, formazione del personale, interconnessione aziendale e flussi informativi nazionali, per la parte restante degli 8 MLD stanziati.
Nel caso specifico della nostra Isola, il decreto prevede la realizzazione di 50 Case della comunità, 16 Centri operativi territoriali e 13 Ospedali di comunità.
Ma cosa sono di preciso le Case e gli Ospedali di comunità?
Sono strutture già esistenti nelle regioni dell’Emilia Romagna, Veneto e Toscana.
In sintesi le prime costituiscono il punto di riferimento per l’erogazione dei servizi sanitari offerti ai cittadini, rivolte ai pazienti, che richiedono cure a “intensità clinica medio-bassa” e per le degenze di breve durata.
Dovranno lavorare sul territorio come filtro, per evitare accessi impropri negli ospedali, servizio che svolgeranno in stretta sinergia con i medici di famiglia e i pediatri.
Gli insediamenti delle Case di comunità sono previste sul territorio ogni 40-50 mila abitanti.
Nelle Case di comunità il lavoro in team dei medici, attingendo a “un modello di intervento integrato e multidisciplinare”, dovrà avere cura di progettare nelle specifiche sedi, l’erogazione dei servizi sanitari e di integrazione sociale.
Vi saranno due tipi di case di comunità, quelle definite “hub”, dove dovranno essere obbligatoriamente garantiti questi servizi, con presenza medica e prestazioni diagnostiche per tutte le 24 ore.
Mentre l’altro tipo di Casa delle comunità è chiamato “spoke”, in cui verrà offerto un minimo obbligatorio di servizi medici e infermieristici, restando in collegamento con le strutture “hub” prima definite.
Le Case di comunità dovranno lavorare in rete con gli altri centri assistenziali territoriali, a partire con quelli che offriranno le cure a domicilio, per le quali il Pnrr stanzia 4 MLD sul piano nazionale.
Gli Ospedali di comunità saranno strutture intermedie tra le Case di comunità e gli Ospedali.
I Centri operativi territoriali invece, dovranno svolgere una funzione di coordinamento della presa in carico della persona e di raccordo tra servizi e professionisti, coinvolti nei diversi ambiti assistenziali.
Come abbiamo già detto le Case di comunità sono già operative da anni in Emilia Romagna, Veneto e Toscana, e il loro valore aggiunto non è dato da una banale offerta di servizi, ma dal fatto che esse sono il luogo ove i professionisti prendono in carico tutti i diversi bisogni di una persona.
Insomma il decreto del Ministero della Salute appare per la nostra Regione un manifesto rivoluzionario pur non essendolo, visto che attinge da strutture operanti e in servizio in altre regioni italiane.
Nonostante tutto, il Presidente della Regione Christian Solinas e l’Assessore alla Sanità Mario Nieddu, non solo tacciono sullo stanziamento dello Stato, la cui sottoscrizione attraverso un “contratto istituzionale di sviluppo” sarebbe dovuta avvenire entro il 30 giugno u.s., ma perseguono imperterriti in una espoliazione dei servizi sanitari regionali.
La mancata sottoscrizione del contratto istituzionale tra Regione e Stato, che come abbiamo già detto sarebbe dovuta avvenire entro il 30 giugno, riconosce la possibilità al Ministero di revocare le risorse assegnate e di redistribuirle tra le altre regioni, che hanno rispettato le tempistiche.
Da questo emergono almeno due elementi inequivocabili, cui si aggiunge un altro di mera matrice populista, cavalcato dalla maggioranza e dai media locali.
Ovvero il primo elemento è quello legato alla incapacità progettuale della giunta regionale, di cui il Presidente e l’assessore sono parti centrali, nel varare un piano finalizzato alla nascita delle strutture prefinanziate dallo Stato.
Il secondo elemento è legato alla fortissima lobby regionale delle strutture private, che ridurrebbero di gran lunga l’estensione dei loro interventi, oggi a detrazione dell’offerta dei servizi sanitari pubblici.
In ultimo abbiamo parlato di approccio populistico, in cui la protesta sembra essere incapace di affiancare un progetto di investimento, come quello previsto dal Pnrr, ma finalizzata a conservare strutture inadeguate e molto spesso prive di risorse e inevitabilmente a bassissima efficienza, per le quali è invece necessario pensare di andare oltre, con un piano di intervento e di integrazione con lo stanziamento previsto dal Pnrr.