Prosegue l’impeachment per Donald Trump. Mercoledì 4 dicembre c’è stata la prima udienza pubblica della commissione Giustizia della Camera proprio per mettere un punto a questa brutta vicenda che vede coinvolto il presidente degli Stati Uniti, accusato di ostruzione della giustizia e abuso di potere per aver “sollecitato l’interferenza di un governo straniero, quello dell’Ucraina, e di voler trarre vantaggio nella sua rielezione”.
Tutto scritto nero su bianco nel rapporto Schiff, dal nome del presidente della commissione intelligence, il deputato californiano Adam Schiff. Un testo di 300 pagine diviso in due parti, una dedicata all’Ucrainagate, la seconda dedicata all’ostruzionismo del Congresso e che è stato trasmesso alla commissione giustizia della Camera, incaricata di redigere gli articoli per la messa in stato d’accusa.
In questa prima udienza sono stati ascoltati 3 costituzionalisti democratici che si sono scagliati contro le azioni poco consone di Trump. Parliamo di Pamela Karlan della Stanford Law School, Michael Gerhardt della University of North Carolina School of Law e Noah Feldman della Harvard Law School. Dichiarazioni che pesano come macigni perché secondo i tre ascoltati in udienza ci sarebbero tutte le condizioni per mettere in stato d’accusa il tycoon. In particolare, Michael Gerhardt dichiara che la condotta di Trump “è peggio di quella di qualsiasi presidente precedente” e prosegue, riferendosi all’ostruzione del Congresso, che “Trump ha attaccato le salvaguardie contro la creazione di una monarchia in questo paese”. La Karlan invece grida a un presidente che “deve opporsi alle interferenze straniere nelle nostre elezioni, non sollecitarle”. Mentre Feldman rincara la dose: “Ha commesso gravi crimini e misfatti abusando corrottamente dell’ufficio della presidenza”.
Chi invece in questa prima udienza è andato a sostegno del presidente Trump sono stati il deputato Doug Collins, il più alto in grado tra i repubblicani, il quale ha dichiarato che “questo è un golpe guidato dai democratici” e Jonathan Turley, docente della George Washington University Law School, l’unico testimone citato dai repubblicani che ha sottolineato come l’indagine sull’impeachment sia stata “affrettata” e manchevole di testimonianze rilevanti da parte di persone con conoscenza diretta degli eventi. Secondo il giurista le prove attuali non dimostrano che Trump si sia impegnato in “un chiaro atto criminale”.
Chi invece non si è mai affacciata dalla finestra e anzi è rimasta sempre in disparte è stata la first lady che però in questa occasione ha deciso di intervenire, non tanto per entrare negli affari giuridici del marito, quanto piuttosto per salvaguardare il nome di suo figlio Barron che in tutta questa vicenda non c’entra proprio nulla. Nello specifico, riferendosi al tweet della Karlan, Melania la accusa dicendole di vergognarsi a usare un minore per rafforzare in pubblico la sua posizione “molto rabbiosa e ovviamente di parte” (Melania’s tweet: A minor child deserves privacy and should be kept out of politics. Pamela Karlan, you should be ashamed of your very angry and obviously biased public pandering, and using a child to do it.) Il tweet in questione della costituzionalista democratica recitava così: “Trump non è un re che può fare quello che vuole. La Costituzione dice che non ci può essere alcun titolo di nobiltà. Quindi il presidente può chiamare suo figlio Barron ma non può farlo barone”.
Dovremmo però aspettare a gennaio, quando la palla passerà al Senato, dove il Grand Old Party (Gop) ha la maggioranza e al momento non ci sono i due terzi dei voti necessari alla messa in stato d’accusa.
Intanto Nancy Pelosi, leader del partito democratico, accelera i tempi e chiede alla commissione Affari giudiziari di chiudere le audizioni e preparare gli articoli dell’impeachment. “I fatti sono chiari, il presidente ha violato il giuramento di fedeltà. Consentirgli di rimanere in carica metterebbe in pericolo la nostra Repubblica. I suoi misfatti colpiscono al cuore la nostra Costituzione. A questo punto è in gioco la nostra democrazia. Il presidente non ci lascia altra scelta, se non quella di agire perché ha cercato di corrompere, ancora una volta, il processo elettorale a suo favore”.
Ne vedremo di stelle e strisce.