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La politica demagogica di Giorgia Meloni e le soluzioni utopistiche sull’immigrazione

by Romano Franco

Dopo aver cavalcato la paura dell’introduzione del tanto temuto Green Pass e aver sollevato obiezioni campate in aria riguardanti libertà, microchip e danni collaterali a lungo termine. Tutte cose smentite dagli esperti del settore. Ecco che la lesta Giorgia Meloni ritorna in campo con la sua politica demagogica, prima che il suo elettorato inizi a capire la vacuità dei suoi contenuti.

E così, sfruttando il momento, la “capa” di Fratelli d’Italia accusa: “Mentre agli italiani si continuano a chiedere sacrifici, tra restrizioni e limitazioni della libertà, non si fermano gli sbarchi illegali sulle nostre coste”, come se risolvere un problema risolvesse anche l’altro.

Poi aggiunge: “Possibile che per il governo italiano tutto questo sia normale? Basta sbarchi”, aggiunge.

E, senza una minima strategia, si appresta a fare una richiesta di risoluzione al problema che gran parte della popolazione italiana vuole. La classica politica del “tanto al chilo” a cui la Meloni ci ha tanto abituati.

Ma la sua soluzione geniale si chiama blocco navale. “Il blocco navale che chiede Fratelli d’ Italia – aggiunge la Meloni – è una missione militare europea, fatta in accordo con le autorità del Nord Africa, per impedire ai barconi di partire in direzione dell’Italia.  È l’unica misura seria per contrastare il business dell’immigrazione clandestina e fermare una volta per tutte le morti in mare. Ma capisco sia un discorso troppo difficile da comprendere per i paladini dell’accoglienza a tutti i costi”.

Ma come abbiamo detto più volte, per attuare questa soluzione utopistica, come rileva anche un report del Geopolitical Center, dovrebbero essere impiegati almeno 5000 uomini sul terreno, a difesa delle struttura strategiche, 4/6 droni da media e bassa quota per la sorveglianza delle coste, una portaerei, due cacciatorpediniere per la protezione aerea nel caso in cui un Mig libico volesse compiere un attacco contro la nostra portaerei, una decina di unità minori, corvette e pattugliatori per imporre fisicamente il blocco navale e chiare regole di ingaggio, onde evitare che i nostri uomini diventino bersagli impotenti di terroristi e scafisti.

Secondo il generale Fabio Mini, ex comandante Nato, per stabilizzare la Libia, servirebbero “come minino 50 mila uomini per controllare il territorio, fermare le auto, sorvegliare gli spostamenti, schedare le persone”. E occorrerebbe mettere in conto almeno 50 morti a settimana.

Inoltre, come dice il generale Franco Angioni, dire di “voler considerare la Libia di oggi come se si trattasse di una nazione organizzata su principi di carattere politico e strategico tradizionali, è una bestemmia. L’attuale confusione esistente in quest’area nordafricana a noi particolarmente conosciuta non consente di esprimere sulla Libia di oggi qualsiasi considerazione logica e avveduta. A regnare oggi in Libia è il caos, un caos armato, è la confusione, l’illecito, la malvagità, gli interessi più abietti che possono essere presi in considerazione in una comunità umana. La tragedia della Libia coinvolge esseri umani che con la Libia non hanno nulla a che fare e che anzi sarebbero ben felici di non essere in quel territorio, in quell’inferno. Purtroppo per l’umanità, la Libia è la meta di decine di migliaia di persone dell’Africa disperate al punto di essere disposte a correre il rischio di essere uccise pur di avvicinarsi all’Europa. La Libia è ancor oggi una ‘palestra’ di arroganza nella quale agiscono attori esterni che conducono una guerra per procura. Pensare di poter affrontare questa situazione con qualche nave è una sciocchezza, una pericolosa sciocchezza. Sarebbe auspicabile che un organismo sovranazionale, come l’Onu ad esempio, imponesse con decisione la propria presenza non tanto per risolvere la drammatica situazione che segna la Libia ma almeno per ridurre il numero delle vittime”, conclude Angioni.

Per non parlare delle “acque contese” che come scrive Alessandro Puglia, giornalista siciliano vincitore del Media Migration Award, si tratta di “un mare dove nessuno deve vedere, scomodo, in cui ciò che è lecito viene stabilito di volta in volta, senza testimoni. Un mare dove se cali la tua rete da pesca devi stare attento perché puoi essere sequestrato, minacciato con le armi e magari rinchiuso in uno dei tanti lager dove ogni giorno centinaia e centinaia di uomini, donne e bambini vengono torturati. No, questo non è un mare lontano. É il nostro mare, il Mediterraneo Ma cos’è accaduto da quando uno stato diviso in più fazioni e in guerra come la Libia ha istituito la sua zona Sar che per i non addetti ai lavori significa letteralmente “ricerca e soccorso in mare”? E cosa c’entra il Golfo di Sirte? Beatrice Gornati, dottore di ricerca in diritto internazionale all’Università degli studi di Milano esperta in traffico di migranti nel Mediterraneo spiega: ‘Bisogna tenere presente che nel 1973 la Libia dichiarò che il Golfo di Sirte fosse parte delle sue acque interne: il Golfo fu annesso attraverso una linea di circa 300 miglia, lungo il 32°30’ parallelo di latitudine nord. Tuttavia, tale rivendicazione fu respinta da un gran numero di Stati, inclusi i principali membri dell’Unione europea (Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito)”.

“A seguito di questo episodio – prosegue Puglia – nel febbraio 2005, la Libia stabilì inoltre, tramite una decisione del Libyan General People’s Committee, una zona di protezione della pesca, nel rispetto della General People’s Committee Decision No. 37 del 2005. Anche in questo caso, la delimitazione stabilita dalla Libia incontrò le proteste di diversi Stati e della Presidenza dell’Unione europea: considerando infatti che la Libia aveva rivendicato il Golfo di Sirte quale parte delle sue acque interne, le 62 miglia di zona di pesca da essa reclamate sarebbero state contate a partire dalle 12 miglia dalla linea di chiusura del golfo. Peraltro, nel 2009, la Libia dichiarò una ZEE (zona economica esclusiva) ‘adjacent to and extending as far beyond its territorial waters as permitted under international law’ ,il cui limite esterno, ad oggi, non è ancora stato tracciato. Il 28 giugno 2018 lImo (Organizzazione Marittima internazionale) ufficializza quello che in passato appariva come un’utopia e registra su comunicazione delle autorità libiche la zona Sar (Search and rescue) libica con un proprio centro di coordinamento di soccorsi (Jrcc)”.

“Registrandosi sul sito è possibile consultare alcuni dati, visionare la mappa e conoscere altitudine e longitudine dell’area in questione. Muniti di carta nautica, abbiamo calcolato queste distanze. Dalla costa di Tripoli alla linea rossa di confine le miglia sono circa 116,25. É chiaro quindi perché i pescatori siciliani hanno tutto il diritto di dire oggi che da un anno a questa parte i libici ‘si sono presi mezzo Mar Mediterraneo’. Il capitano Raimondo Sudano (uno dei rappresentanti dei marinai di Mazara del Vallo, ndr) aggiunge: ‘E questo avviene anche grazie all’Italia che dà alla guardia costiera libica i mezzi di sostentamento per fare la Guerra a noi italiani che andiamo a lavorare onestamente. I libici si sono ora fatti anche furbi, oltre che con le motovedette vengono a fare gli abbordaggi in mare con le barche da pesca e subito dopo arrivano i loro gommoni e non hai neanche il tempo di chiamare le autorità italiane che vieni sequestrato con tutto il pescato e trattato come un terrorista”, sottolinea il giornalista.

“La paura di tornare in mare è tanta – dice Puglia – e si sovrappone a quel senso di abbandono da parte dello Stato che non tutela i suoi pescatori. Scrive l’esperto Fabio Caffio che, pur ricordando l’impegno passato della nostra Marina nello Stretto di Sicilia e nell’Adriatico dall’aggressività jugoslava, rimarca: ‘Diverso invece l’impegno della Marina nella zona di acque internazionali ove ricade la Zpp libica: non risulta infatti che la Forza Armata abbia ricevuto alcuna direttiva di proteggere da vicino ed in modo continuativo l’attività di pesca dei connazionali contrastando la pretesa libica”.

Ma il blocco navale è “l’unica soluzione” per la superficiale Giorgia. Non c’è niente da fare! Anche se quel blocco è disciplinato dall’articolo 42 dello statuto delle Nazioni Unite ed è un’azione militare finalizzata a impedire l’accesso e l’uscita di navi dai porti di un Paese o di un territorio. Esso non è consentito al di fuori dei casi di legittima difesa. Inoltre “Il blocco dei porti o delle coste di uno Stato da parte delle forze armate di un altro Stato” è un atto gravissimo di aggressione anche senza una vera e propria dichiarazione di guerra.

 I criteri per attuare il blocco navale sono stabiliti dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e 1977 sui conflitti armati via mare e sono:

  1. Prima di attuare il blocco navale la forza militare che lo attua deve comunicare alle nazioni terze non belligeranti la definizione geografica della zona soggetta al blocco stesso;
  2. Il blocco navale deve essere imparziale nei confronti delle nazioni non belligeranti;
  3. Una volta attuato consente la possibilità di catturare qualsiasi imbarcazione mercantile che violi il blocco e il suo deferimento a un apposito tribunale delle prede;
  4. Consente, altresì, la possibilità di attaccare qualsiasi imbarcazione mercantile nemica che opponga resistenza al blocco navale;
  5. L’obbligo da parte della forza militare che attua il blocco di permettere il passaggio di carichi contenenti beni di prima necessità e medicinali per la popolazione locale. Per impedire l’avanzata delle navi con a bordo i migranti, le imbarcazioni militari di vedetta devono attuare delle manovre strategiche (spesso utilizzate in tempi di guerra), una di queste è la navigazione a cerchi concentrici che restringe sempre più il raggio di navigazione della nave clandestina.

Insomma, una proposta inattuabile, a meno che non si voglia iniziare una guerra con il mondo arabo senza alleati, visto che una mossa del genere ci mettere in imbarazzo e ci farebbe isolare dagli altri attori internazionali.

E’ proprio difficile per la leader di Fratelli d’Italia fare obiezioni pensate su solide realtà al posto di cavalcare le paure e far leva sui sogni delle persone.

Soluzioni concrete possono giungere solo da una comunità europea forte, che organizzi un esercito europeo e che mandi i propri uomini a monitorare la situazione nei territori ospitanti, più o meno tutto il contrario della politica della Meloni.

Servono politiche coese che critichino in maniera costruttiva, e non atteggiamenti che mirino ad elargire la solita solfa accalappia voti che si fa strada su fango e distruzione.

In molti vogliono risolvere il problema, ma chi butta fumo negli occhi solo per il proprio tornaconto evidentemente non vuole risolvere proprio nulla.

Però si può capire bene l’atteggiamento disfattista della leader di Fratelli d’Italia in merito a quel tema, senza quella preoccupazione quanto diverrebbe difficile per Giorgia Meloni acquisire consenso?

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