Rimarrà nella storia l’incontro tra Usa e Cina insieme alla firma del protocollo denominato “Fase 1”. Donald Trump e il vicepremier cinese Liu He si sono incontrati nella East Room della White House per firmare la pace “forse temporanea forse duratura” sugli accordi commerciali. “Il dado è tratto”, direbbe qualcuno. Una locuzione che riporta ai tempi di Giulio Cesare, a quella notte del 10 gennaio del 49 a.C. quando, violando apertamente la legge che proibiva l’ingresso armato dentro i confini dell’Italia, il console e dittatore della Repubblica romana varcò il fiume Rubicone alla testa di un esercito. Una frase che oggigiorno viene utilizzata più comunemente per marcare una decisione dalla quale non si può più recedere. Ma sarà davvero così per le due potenze mondiali?
È nota infatti la costante “guerra commerciale” tra i due che dura ormai da anni e che sembra, ora, prendere una piega diversa. Il 6 luglio 2018, dopo mesi di minacce e intimidazioni, Trump impose dazi doganali del 25% su 34 miliardi di dollari di importazioni cinesi, ai quali si aggiunsero il 23 agosto altri 16 miliardi. Un dato destinato ad aumentare il 24 settembre dello stesso anno dove il tycoon annunciò tariffe aggiuntive del 10% su 200 miliardi di dollari. Una situazione che stava davvero prendendo il sopravvento e per questo l’1 dicembre 2018 Usa e Cina decisero di dichiarare una tregua di 90 giorni. Le ostilità però ripresero, per volere di Trump, nel maggio del 2019 perché la Cina, come dichiarò il presidente Usa, violò la tregua. Il tempo trascorse inesorabile fino ad arrivare al 13 dicembre di quest’anno dove i due colossi hanno annunciato un accordo commerciale.
Ed eccoci arrivati al 15 gennaio 2020, alla “Fase 1”. Secondo quanto stabilito dal nuovo accordo, il cui testo resta ancora segreto, pare su richiesta dei cinesi, gli stessi si impegnano ad acquistare merci americane per un controvalore di 197 miliardi di dollari nei prossimi due anni. Nello specifico il piano dei nuovi acquisti negli Usa prevede 35 miliardi di dollari da destinare ai nuovi servizi finanziari, turismo e istruzione, 50 miliardi a petrolio e gas, 80 miliardi alla manifattura made in USA e 32 miliardi ai prodotti agricoli. Washington ha inoltre ridotto dal 15% al 7,5% le tariffe applicate dal 1° settembre 2019 su 120 miliardi di dollari. Ahimè, però, resterà in vigore il prelievo aggiuntivo del 25% sui beni per 250 miliardi.
Pericolo dunque scongiurato
per la Cina, considerato che il 19 gennaio sarebbero dovuti scattare per loro i
dazi sull’unica tranche di beni ancora liberi, come giocattoli e articoli
elettronici per un totale di 156 miliardi di dollari.
Un accordo commerciale che può essere considerato un fattore sicuramente positivo soprattutto per i futuri rapporti tra le due potenze. Ma, come fa sapere Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, in una intervista al Corriere della Sera, è un accordo commerciale positivo solo per Usa e Cina e non certamente per l’Europa e soprattutto “per l’Italia le cui importazioni (vino, pasta, olio d’oliva) sono a rischio. Ma possono essere rialzate anche le tariffe doganali in vigore (25%) su formaggi, agrumi, salumi e liquori. L’Italia rischia di perdere posizioni su un mercato, quello delle esportazioni alimentari verso gli Stati Uniti, che vale 4,5 miliardi di euro l’anno”. Un timore, quello di Giansanti, che riguarda le prossime politiche commerciali che, a suo parere, verranno decise dalle due potenze e non più dall’Unione europea.
Per il momento, per gli appassionati di “happy ending”, l’incontro tra Usa e Cina si è concluso nel migliore dei modi con una bandierina bianca che spunta all’orizzonte in attesa di ergersi maestosa tra i cieli di uno stesso mondo.
E noi, aspettando la“Fase 2” che sancirà la definitiva collaborazione bilaterale, possiamo porci una sola domanda, o forse due: “Trump e Xi Jinping hanno davvero fatto la pace? E quanto durerà?”.