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La necessità di rivalutare Craxi

by Verdiana Garau

È forse ridicolo ridurre alle poche parole che entrano nello spazio di una pagina online il ritratto che meriterebbe la figura di Bettino Craxi. Ci sono quaranta anni di politica, venti durante e venti di dopo, ci sono valori e teorie, disegni politico-strategici innovativi, visioni e ideologie che già di per sé non sono facili da definire, come quelle del socialismo del XX secolo. 

C’è una storia però che stigmatizza nella sua figura una modernità che la narrazione di questo paese dovrebbe con urgenza rispolverare subito e trarne la maggiore delle ispirazioni per l’emergenza espressiva di cui la mia generazione e quelle più nuove scalpitano per manifestare.

Diciamo intanto che se si volesse dipingerne un quadro si potrebbe avere intanto chiara la cornice: il processo di destrutturazione politica del paese ha riportato sensibile il tema della rivalutazione di personaggi emblematici della storia italiana più recente in un momento di delicatezza storica come quello che stiamo attraversando.

Si è parlato con film e documentari di Andreotti, si ricomincia a fare attenzione alle vecchie interviste di Cossiga, si parla moltissimo di Aldo Moro e da pochi giorni è ricorso l’anniversario dei tragici fatti di piazza Fontana.

Per i più incalliti e per coloro che in quegli anni già c’erano ed erano consci ed hanno e avevano strumenti per seguire la politica, potrà suonare come un’aria ripetitiva, conosciuta ormai a memoria, ma so per certo che per molti nati dagli anni ’80 in poi non è così. Spesso mi capita di incontrare giovani che non hanno una vaga idea di chi potesse essere stato Bettino Craxi e al massimo conoscono soltanto le plateali malefatte registrate agli atti della tradizione, ancora piuttosto orale, legate allo scandalo di Tangentopoli detta anche Mani pulite, e poi sempre giovani che dicono che vorrebbero una dittatura oggi come oggi.

Riflettiamo.

Oggi sappiamo del cattivo odore che emana la politica, di quel brutto presentimento che suscitano le notizie ogni giorno sui piccoli e grandi scandali cuciti ad arte per gli spettacoli mediatici, della cattiva reputazione che si è cucita addosso la magistratura in tutti questi anni, e quella è la reputazione degli organi dell’amministrazione giudiziaria dello Stato che fu definita proprio da Craxi “ad orologeria”, che colpisce da allora, ormai troppo spesso, la politica e il suo potere.

Quell’amministrazione si è fatta essa stessa politica, da molto tempo.

È successo con Berlusconi, è accaduto ad Andreotti, risolvendosi in un nulla di fatto, ed è successo a Bettino Craxi, con il quale, agnello sacrificale della gogna giudiziaria politicante, si è definitivamente distrutto la credibilità della politica italiana, dove il clima giustizialista e il popolo forcaiolo furono complici e protagonisti e ancora oggi conservano questa tradizione.

Al tempo di Craxi fu la politica a finire sotto processo, prima che il personaggio politico.

Il sistema giudiziario in Italia ha l’osteoporosi e, come la politica, ha smesso anch’esso di essere credibile.

Il “colpo grosso” di Tangentopoli, su cui si apriranno da qui ai prossimi venti anni dibattiti su dibattiti, ha rappresentato un disegno molto più grande del profilo che si potrebbe tracciare con una matita seguendo i lineamenti craxiani.

Gli oggetti ci sopravvivono e la storia pure. L’Importante è scriverla.

Le situazioni continuano e la storia si ripete e la storia sarà sempre contemporanea, come diceva Benedetto Croce, poiché avrà sempre bisogno di essere rivalutata e riconiugata al presente, per capire il presente con il passato.

Bettino Craxi fu un personaggio che nel periodo successivo agli anni di piombo, dove l’Italia si stava giocando la propria democrazia ed entrò in crisi l’equilibrio dominante delle grandi potenze della guerra fredda, ovvero gli Usa e l’Urss, salì al potere e riuscì a far diventare fondamentale il Psi negli equilibri di governo con grandi propositi, con ideali socialisti e una grande aspirazione internazionale.

La nostra stessa Costituzione altro non è che un contratto stipulato subito dopo il secondo dopoguerra fra due grandi potenze che in definitiva si spartirono il mondo, con noi al centro.

Venuto meno quell’equilibrio e dopo gli anni della tensione, fu indispensabile cercare di ricostituire una politica che potesse essere riformista e cattolica. Con una vis di sinistra e al tempo stesso riconoscente alla modernità, non austera, ma aperta, internazionale e progressista quanto basta, all’avanguardia, ma sempre attenta alle sue tradizioni.

Il Psi di Craxi fu coagulo che diventò grumo, tra un partito conservatore cattolico filoatlantista come la Dc dell’epoca e l’altrettanto riformista e di sinistra Pci che però non riuscì a scorgere in questa stella nascente della politica l’ispirazione per rinnovarsi. 

Fu il primo, Craxi, a comprendere che il famoso compromesso storico non avrebbe avuto sbocchi e che in Italia “non sarebbe mai più cresciuta nemmeno la cicoria”.

Fu uomo estremamente attivo, anticonformista, a tratti spericolato.  

Si ricorda a tal proposito la vicenda di Sigonella, dove “si permise” di sfidare a testa alta la potenza americana rivendicando la nostra sovranità e dove riuscì a porre limiti tra dove cominciava la nostra indipendenza e finiva l’imposizione degli storici alleati sul nostro territorio.

In precedenza Craxi fu lo stesso che anni prima, nel 1979, con il voto del Psi diede via libera per l’accettazione dei missili Pershing e Cruise nelle nostre basi Nato e a decidere subito per la loro installazione, pur sapendo che non avrebbe accontentato Berlinguer.

E a lui in quegli anni si devono grandi riforme sul lavoro come l’abolizione della scala mobile che rappresentò per noi l’uscita dal tunnel della crisi che si era innescata dalla fine degli anni ’70 e che portò il paese in breve tempo a divenire la quinta potenza del mondo.

È fu l’unico che ridisegnò le prospettive italiane sul piano geopolitico mondiale con chiarezza di visione anche per il progetto europeo. 

Berlinguer fu molto critico nei suoi confronti. Lo definì a un certo momento “un pericolo per la democrazia”.

C’erano differenze, come in una competizione, tra riformisti e riformatori.

Avrebbero dovuto discutere su una nuova legge elettorale e Craxi, a differenza di molti altri, si dimostrò sempre un uomo dal profondo rispetto per ciò che sta a sinistra in politica. In tema elettorale fu sempre un tenace sostenitore del proporzionale, ma anche di una repubblica presidenziale, dove un doppio turno e un premio di maggioranza avrebbero potuto, in questa totale formula, restituire al paese tutto il suo potenziale democratico. 

Berlinguer morì presto e di fatto, a un certo punto, qualcosa si incrinò. “La mano invisibile”, o “potere occulto”, si avvicinò e calò la sua ombra. L’opportunismo fece da padrone e il promesso statista Craxi fu trascinato in un processo storico dove non solo si attentò alla stabilità del paese, ma si mise fine alla credibilità della politica italiana.

Con il silenzio di tutti coloro che avevano partecipato.

Mani pulite fu un tragico evento, dai contorni sanguinosi. Suicidi, attentati, azioni finanziarie e dinamitarde.

Molte cose non le sappiamo al dettaglio, ma conosciamo ciò che è accaduto in seguito.

Abbiamo un’Europa debole che necessita modifiche strutturali, un paese che registra i minimi storici di crescita e una popolazione che stenta a comprendere le sue radici sociali.

A gennaio ricorrerà il ventennio dalla sua morte e sta per uscire nelle sale cinematografiche un film a lui dedicato.

Fu un uomo che, per aver intentato una scalata impossibile in mezzo a poteri fortissimi che avevano dominato il paese e poi smarrito bussola e finanziatori, si ritrovò in esilio.

Aveva lottato per un paese migliore.

Non è un caso che i patrioti in Italia siano sempre stati confinati.

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