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La multinazionale Pfizer licenzia 130 dipendenti a Catania

by Rosario Sorace

Incredibile ma vero. Ben 130 dipendenti della Pfizer sono stati licenziati a Catania, con l’ormai tipico stile “informale” delle aziende. 

Il licenziamento è avvenuto tramite whatsapp con un messaggio al diretto interessato. E’ stato un vero supplizio per i 650 dipendenti che hanno dovuto attendere diversi giorni prima di conoscere i malcapitati che dovevano restare a casa.

La crisi deriva dal fatto che la sede siciliana è rimasta ancora ferma alla linea di produzione dell’antibiotico Tazocin e di alcuni antitumorali.

La Cgil per bocca di Graziella Faranna, Rsu Filctem Cgil denuncia questo stato di cose: “Due reparti verranno completamente chiusi. Smantellano pezzo dopo pezzo. Abbiamo lavorato in ogni condizione e nemmeno ci ricevono”.

Dopo aver atteso sin dai primi di febbraio le notizie sui licenziamenti, finalmente, è giunta ieri pomeriggio con l’azienda che ha trasmesso l’elenco dei 130 licenziati.

“Ho letto il mio nome nella lista che è girata nelle chat e non riuscivo a crederci: nessuno mi aveva avvertita in questi giorni, anzi, mi era stato detto che non mi avrebbe riguardato. L’ho saputo con un messaggio whatsapp”, ha raccontato una dipendente che lavora , da 5 anni e mezzo.

“Vivevo a Milano, lavoravo lì. Poi ho visto l’opportunità di tornare a casa a Catania e l’ho afferrata. Prima ho avuto contrattini, poi mi hanno assunta a tempo indeterminato. Sono in un reparto di grande responsabilità, quello che si occupa del rinnovo della licenza dei farmaci, delle gare di appalto. In questi anni ho progettato una vita qui e ho rinunciato alle offerte di altre multinazionali perché ero sicura del mio lavoro qui dentro, in una grande azienda che ha prodotto il vaccino anti- Covid, ricevendo molte commesse pubbliche”.

“Due reparti completamente chiusi, ne resta uno solo in piedi per la produzione del Tazocin (un antibiotico che si somministra per iniezione)”, ci dice Graziella Faranna, e, adesso,130 persone a tempo indeterminato dovranno lasciare l’azienda, mentre per altri 50 interinali non verrà rinnovato il contratto di febbraio e altri 60 da febbraio ad agosto non lavoreranno più.

Lo stabilimento di Catania è stato realizzato nel 1959 dall’American Cyanamid che è stata la prima azienda a produrre il vaccino contro la poliomielite.

Successivamente l’azienda ha modificato la denominazione in Wyeth e si è fusa nel 2009 con Pfizer. La sede siciliana nel corso degli anni non ha mai rinnovato la produzione, continuando a produrre il Tazocin e ad alcuni antitumorali.

In tal senso, prima della crisi del Covid, la produzione è drasticamente diminuita. Ad ottobre, poi, il colpo finale quando “abbiamo perso il mercato più grosso, quello cinese. A quel punto abbiamo chiesto una convocazione, ma non ci hanno ricevuto“, spiega la Faranna.

“Hanno detto con chiarezza che sono interessati alle biotecnologie e non hanno mai investito in questo sito, la prospettiva se nulla cambia è la chiusura”.

In realtà adesso si ipotizza, tra non molto, anche la totale dismissione del sito catanese che, tanto per citare un dato, ha dimezzato gli investimenti passando da 27 milioni circa l’anno a 13.

L’azienda smentisce questa volontà di chiusura dello stabilimento di Catania affermando che il sito “svolge un ruolo fondamentale”, mentre la delegata Faranna non crede affatto a queste dichiarazioni: “Fanno sempre così. Smantellano pezzo dopo pezzo. Prima c’hanno succhiato il sangue, abbiamo lavorato in qualsiasi condizione, senza livelli e inquadramenti corretti, sfruttando la debolezza di un territorio depresso, in cui le possibilità di fare altro sono scarsissime, per arrivare a questo esito”.

Poi i dipendenti lamentano di aver “lavorato molto spesso oltre l’orario, senza essere retribuita per lo straordinario. Per senso di appartenenza e del dovere lo si fa senza problemi”.

Proprio ora si apprende che nello stabilimento della multinazionale di Ascoli che produrrà il nuovo farmaco anticovid c’è un rifiuto a discutere e a dialogare con le maestranze che appare incomprensibile e i sindacati hanno proclamato lo stato di agitazione indicendo lo sciopero per il 4 marzo.

Appare emblematica e corretta la presa di posizione di gran parte del mondo politico e in particolare da segnalare un’interrogazione parlamentare.

“Evidentemente i miliardi di euro incassati durante la pandemia non sono abbastanza”, ha sottolineato Nicola Fratoianni di Sinistra italiana.

“È l’ennesimo colpo al cuore industriale del nostro Paese, dimenticato dalla politica e da tempo alla deriva. Un impoverimento che colpisce direttamente famiglie e cittadini. Non è una novità perché sappiamo bene come funziona: privatizzare i profitti e socializzare le perdite. Ma è qui che dovrebbe intervenire lo Stato, il pubblico”.

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