Il Parlamento italiano ha trovato una persona su cui essere d’accordo, Mario Draghi. E questo è un problema.
L’armonia creatasi intorno a Mario Draghi, il rispettato banchiere ed ex presidente della Bce, diventato primo ministro in piena emergenza, è una vera rarità nello scenario politico nazionale.
Ora, tuttavia, quello stesso consenso sta mettendo in pericolo il breve periodo di stabilità politica del Paese.
Il mese prossimo l’Italia dovrà scegliere un nuovo presidente, figura destinata a rappresentare l’unità nazionale che nominerà ufficialmente il presidente del Consiglio. Il più richiesto? Draghi.
Ma Draghi è ancora più ricercato come primo ministro. L’Italia è in un momento critico e stanno arrivando miliardi di fondi di recupero, la pandemia è ancora in circolazione e sono in corso importanti riforme strutturali, oltre a quelle previste per le regole sul debito dell’UE nel 2022. Ciò significa che molto dipende dal risultato, senza una risposta facile.
Tra i lati positivi, Draghi come presidente – in un mandato di sette anni – potrebbe garantire la credibilità internazionale a lungo termine dell’Italia.
Al contrario, Draghi come presidente creerebbe un vuoto di potere in un momento socialmente rischioso.
“Il problema dell’Italia è che ha bisogno di continuità, ma le strade possibili sono due”, dice Stefano Ceccanti, costituzionalista e parlamentare del Pd.
“Il rischio è che se entriamo in un periodo di instabilità in questo momento, la posizione di leader in cui ci troviamo in Europa è precaria”, ha aggiunto, citando il cambio di leadership in Germania e le imminenti elezioni francesi. E se Draghi va alla presidenza e noi andiamo alle elezioni, potrebbe essere un cataclisma, con effetti imprevedibili.
Draghi è stato trascinato in politica dalla finanza dopo che il precedente governo e, soprattutto la sua maggioranza, stavano facendo perdere l’opportunità al Paese di investire i 191,5 miliardi di euro messi a disposizione dal fondo di ripresa dalla pandemia dell’UE.
Ex capo della Banca centrale europea, accreditato per aver contribuito a salvare l’euro, Draghi è stato nominato per stabilire un governo di unità, mettendo insieme il sostegno di un ampio spettro di partiti.
Quell’unità ha retto per lo più nei 10 mesi da quando ha assunto l’incarico. Inevitabilmente, con il termine del mandato del presidente italiano Sergio Mattarella che scade a febbraio, la gente ha iniziato a guardare a Draghi come futuro inquilino del Quirinale.
Il presidente italiano è scelto da poco più di 1.000 parlamentari e 58 rappresentanti regionali, noti come grandi elettori. Il processo in qualche modo assomiglia a un conclave papale: è opaco, si basa su una votazione segreta ed è circondato da intrighi.
Nella storia recente, i partiti italiani di sinistra hanno controllato la selezione presidenziale. Ma questa volta non c’è una fazione di sinistra o di destra che abbia i numeri per far passare un candidato, il che significa che servirà un consenso trasversale – e forse una figura come Draghi.
Draghi non ha confermato di volere il ruolo, rifiutandosi di rispondere alle domande sull’argomento, sostenendo che sarebbe irrispettoso nei confronti dell’incumbent.
Ma la sua quasi stucchevole modestia è stata interpretata da alcuni come un tacito consenso, soprattutto perché le crescenti lotte intestine tra i suoi partner della coalizione rendono il suo ruolo sempre più faticoso. Nonostante i litigi, però, le prospettive dell’Italia guardano bene con Draghi al timone.
Fitch Ratings ha recentemente aggiornato le prospettive fiscali del paese, prevedendo che l’economia crescerà grazie agli alti tassi di vaccinazione e ai fondi UE in arrivo. Anche la produzione industriale è tornata ai livelli pre-pandemia.
Tuttavia, Draghi conosce sicuramente il vantaggio di andare avanti prima che la sua stella svanisca. Sulla scia della crisi finanziaria del 2008, un altro economista, Mario Monti, ha guadagnato una rapida popolarità come primo ministro tecnocrate in un momento turbolento. Ma quella popolarità è crollata in un punto simile a quello in cui si trova Draghi ora.
Ma tra “Draghi e Monti”, mentre circola la prospettiva della partenza dell’ex numero uno della Bce, i partiti politici italiani in superficie sembrano riluttanti a riassumere la responsabilità della gestione del paese.
In seguito all’emergere della variante del coronavirus Omicron, numerosi leader politici hanno chiesto a Draghi di rimanere fino alle prossime elezioni generali nel 2023.
Carlo Calenda, capo del partito progressista Azione, ha detto che Draghi dovrebbe rimanere al suo posto in vista di un 2022 che si preannuncia una lotta in salita.
La partenza di Draghi lo eliminerebbe anche dalla gestione quotidiana dei 191,5 miliardi di euro di recupero. Sebbene siano state prese molte decisioni su come spendere i soldi, l’effettiva esecuzione inizierà sul serio il prossimo anno. Allo stesso modo, l’UE ha fissato un calendario per le riforme strutturali che l’Italia deve attuare per ricevere il suo pieno pagamento.
Se Draghi diventasse presidente, potrebbe insediare uno stretto collaboratore come il ministro dell’Economia Daniele Franco come primo ministro per aiutare a supervisionare il processo.
Ma senza il marchio personale di Draghi, mantenere i partiti politici in linea e aderire alla cronologia dell’UE potrebbe essere una lotta non facile.
Tajani ha avvertito che una partenza di Draghi potrebbe anche innescare elezioni anticipate. E i partiti populisti legati alla maggioranza potrebbero cogliere l’occasione di andare a lanciare bombe dall’opposizione e questo costringerebbe un rimpasto di governo. Situazione abbastanza destabilizzante con i rischi che incombono.
Il prossimo presidente
Mentre Draghi può rimanere primo ministro, Mattarella va in pensione, quando scade il suo mandato.
Per leader politici come Enrico Letta, ex primo ministro e capo del Partito Democratico, l’obiettivo è trovare un presidente con lo stesso sostegno politico trasversale di Draghi, un tentativo per preservare la delicata coalizione di governo esistente.
Una soluzione a basso rischio sarebbe quella di congelare l’attuale situazione e convincere Mattarella a restare per un secondo mandato come il suo predecessore, Giorgio Napolitano.
Ma Mattarella ha fatto sapere che non ha intenzione di continuare, e la sua casa presa in affitto recentemente nel centro di Roma, non garantisce assolutezza, ma fa presupporre che la politica italiana non sia così “idiota” da far perdere la caparra al suo futuro ex Presidente.
E’ ancora difficile da capire se Mattarella non possa essere costretto, nell’interesse nazionale più che per scelta, e di fronte a ripetute tornate senza successo, ad accettare un secondo mandato, proprio come accadde a Napolitano.
Poi, come sempre, l’importante è che Silvio C’é: Non mancherà il suo nome caldo in questa corsa al Colle e si prevede che il cavaliere di Arcore, nonostante gli sforzi messi in campo stavolta, sia destinato ad un pesante flop, poiché, anche per uno come lui, una persona abituata ad avere tutto, la battaglia contro il tempo non può essere vinta e un suo pensionamento pare pratica inevitabile.
Ma vi sono altri nomi caldi in cantiere quali: L’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato, la ministra Cartabia o la Presidente del Senato, Casellati. Ma nella penombra, c’è un uomo capace di metterli tutti d’accordo, da FdI al M5S: Si tratta di Pierferdinando Casini.
Casini, uomo da tutte le stagioni, sa cosa significhi il compromesso e troverebbe una maggioranza molto ampia; e, anche se non convincerebbe fortemente nessuno, sarebbe quello che farebbe raggiungere a tutti un valido compromesso.
L’ex genero di Caltagirone, è multiforme e ha un percorso politico invidiabile. E’ stato Presidente della Camera dei Deputati e innumerevoli volte, Deputato o Senatore, ha navigato in quegli uffici e conosce bene i giochi di potere; non sarà assolutamente difficile per un democristiano come lui trovare una soluzione che metta tutti d’accordo.
Inoltre, l’ex presidente della Camera, ha appoggiato governi di Forza Italia, governi formati da Pd, con Letta, prima, Renzi, dopo, e, infine, Gentiloni.
Ha dato fiducia al governo Conte II e raramente si è scontrato a muso duro con qualcuno. E’ rispettato da tutti i leader attuali di maggioranza e gode di una grande influenza.
Non che ci piaccia. Ma, Casini, raffigura un ritratto classico del politico italiano che concilierebbe tutti e non dispiacerebbe a nessuno. Che manchi solo il “Nuntio vobis”?!?