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La lezione inglese

by Bobo Craxi

Dopo tre anni di lenta agonia le elezioni britanniche hanno dato un responso chiaro sulla direzione di marcia che gli inglesi intendono assumere.
Con o senza accordo, diluito in un tempo ragionevole, mantenendo una cooperazione rafforzata con l’Europa, è evidente che il Regno Unito ha dichiarato esaurito il suo compito all’interno dell’Unione.
La prospettiva è quella di unirsi nella lotta anglosassone contro l’avanzata cinese, di muovere dazi come pedine contro l’Europa e di riprendere una politica estera aggressiva e assertiva nel Mediterraneo come sempre è accaduto nel secolo scorso, fatta salva la parentesi multilaterale nella quale l’Inghilterra ha cercato di sviluppare politiche di intervento militare nell’ambito dell’alleanza e con il concorso europeo.
Jeremy Corbyn canta vittoria per avere riscritto l’agenda delle priorità inglesi (“Sono orgoglioso che sull’austerità, il potere aziendale, le disuguaglianze e l’emergenza climatica abbiamo vinto gli argomenti e riscritto i termini del dibattito”), ma i voti delle periferie operaie e della provincia sono finiti in mano a Boris Johnson che si prepara a guidare con piglio populista la virata isolazionista della Gran Bretagna.
Il Regno Unito intanto dovrà affrontare il rischio della sua disunione non solo perché in Scozia le forze europeiste e separatiste hanno vinto con grande spolvero, ma perché anche la faticosa opera di ricucitura delle Irlande che non sarebbe mai riuscita senza il concorso decisivo del sostegno europeo oggi vede nuovamente l’insorgenza nazionalista che determinerà una nuova separazione nell’Ulster con gli unionisti usciti severamente sconfitti.
Ma l’effetto della severa battuta d’arresto di Corbyn deve servire da lezione anche per le sinistre socialdemocratiche europee. Non è pensabile infatti sviluppare politiche di nuovo welfare sganciandosi dal resto della Comunità europea perché in questo modo i settori sostenuti dai vantaggi (privilegi) dell’appartenenza alla Ue entrerebbero presto in sofferenza con grandi rischi per l’occupazione ed inoltre i costi della Brexit certo non favoriranno l’intervento pubblico nei settori essenziali (istruzione, assistenza) che verranno seriamente lesionati dalla svolta isolazionista che non compenserà coi dazi  sulle merci europee visto che la Comunità si appresta a promuovere una doverosa reciprocità.
Il Labour è uscito dal suo letargo politico quando ha saputo interpretare i bisogni delle classi popolari inglesi dentro un contesto di responsabilità internazionale dell’Inghilterra. Il blairismo non fu solo adesione cieca al liberismo e spregiudicatezza guerrafondaia (che ha pagato con la propria uscita dalla scena politica) ma anche la capacità di adattare la tradizionale forza del mondo del lavoro ai tempi che cambiavano.
Corbyn ha lanciato un grido di allarme, ha suscitato speranze nel mondo giovanile, ha contrastato la destra e il suo volto più truce ma non ha voluto sporcarsi la mano con la difesa della scelta europea, essendo anch’egli un euro-scettico di fatto.
E questa mancanza di assunzione di responsabilità ha reso la sua proposta più debole nel paese e soprattutto più difficile la rimonta politica della sinistra inglese che ha lasciato sul terreno milioni di consensi.
Errori quindi che una sinistra che guarda all’avvenire non deve fare. Un’Europa giusta, della pace, della protezione dei diritti civili e sociali, della solidarietà fra i popoli e della lotta per migliorare l’ambiente e scongiurare le catastrofi ecologiche resta sullo sfondo un ideale e un programma politico di una sinistra socialista e democratica che si rispetti.
Per questo il massimalismo inconcludente e senza soluzioni potrebbe essere nel futuro il risultato della lezione inglese che va capita, assimilata e lasciata alle nostre spalle.

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