Ieri, per molti di voi, sarà stata una giornata come un’altra. Ma non per i risparmiatori e per i piccoli investitori occidentali.
Il disegno di Jerome Powell, mostrato mercoledì, ha proiettato il mercato americano verso un’economia dormiente e stagnante, quasi come il presidente Usa.
Anche se nei fatti la situazione non cambia fino a marzo, con i tassi che rimangono invariati, l’annuncio fatto di un’economia “ipoteticamente” più prudente ha fatto collassare il mercato che, dopo giorni di magra, si stava pian piano riprendendo.
Aumentare i tassi, con prestiti assolutamente non garantiti dallo Stato, significa inserire contratti capestro nei confronti delle imprese che, con l’acqua alla gola, in molte, non riusciranno a far fronte alla spesa aumentata e dichiareranno banca rotta.
Imporre tassi di interesse alti in un’economia che mira al consumismo evidenzia la parola FALLIMENTO a caratteri cubitali.
Le banche americane, dopo il 2008, non hanno assolutamente imparato la lezione e i loro prestiti elargiti a 360° anche per i bisogni più superficiali sono accessibili proprio a tutti, soprattutto a chi non se li può permettere.
Ed ecco che il disegno prende forma, la finanza ci specula e i piccoli e medi risparmiatori o diventano più poveri oppure, nel migliore dei casi, falliscono. E a pagarne le spese è sempre il contribuente.
Mercoledì i funzionari della Federal Reserve hanno segnalato che erano sulla buona strada per aumentare i tassi di interesse a marzo, dato che l’inflazione è andata ben al di sopra dell’obiettivo dei responsabili politici e che i dati sul mercato del lavoro suggeriscono che i dipendenti scarseggiano.
I banchieri centrali hanno lasciato i tassi invariati vicino allo zero – dove sono stati fissati da marzo 2020 – ma la dichiarazione dopo la loro riunione politica di due giorni ha gettato le basi per costi di finanziamento più elevati “presto”.
Jerome H. Powell, presidente della Fed, ha affermato che i funzionari non pensavano più che l’economia americana in rapida guarigione avesse bisogno di così tanto sostegno e ha confermato che un aumento dei tassi sarebbe stato probabile nella prossima riunione della banca centrale.
“Direi che il comitato intende aumentare il tasso sui fondi federali alla riunione di marzo, supponendo che le condizioni siano appropriate per farlo”, ha affermato Powell.
Anche se ha rifiutato di dire quanti aumenti dei tassi i funzionari dovrebbero fare quest’anno, ha notato che questa espansione economica è stata molto diversa da quelle passate, con “inflazione più alta, crescita più alta, un’economia molto più forte – e penso che queste differenze potrebbero riflettersi nella politica che attuiamo”.
Ma le parole di Powell non tranquillizzano affatto. “La Fed ha completato il suo passaggio dall’essere paziente al panico per l’inflazione”, ha scritto Diane Swonk, capo economista di Grant Thornton, in una nota di ricerca ai clienti dopo l’incontro. “La sua prossima mossa sarà aumentare i tassi”.
Il ritiro del sostegno politico da parte della Fed potrebbe temperare la domanda dei consumatori e delle aziende poiché prendere in prestito denaro per acquistare un’auto, una barca, una casa o un’attività diventa più costoso.
Il rallentamento della domanda secondo la Fed potrebbe dare alle catene di approvvigionamento, che sono rimaste indietro durante la pandemia, spazio per recuperare.
Rallentando le assunzioni, infatti, la Fed sta cercando di limitare la crescita salariale, che altrimenti potrebbe alimentare l’inflazione se i datori di lavoro aumentassero i prezzi per coprire l’aumento del costo del lavoro.
Ma questa teoria potrebbe andare bene in un mercato parsimonioso, che non punta mai al massimo rischio, l’esatto contrario del mercato U.S.A.
Imporre un tasso maggiore ad imprenditori che devono scegliere se richiedere un prestito oppure fallire, significa metterli davanti ad un patibolo non molto celato.
Gli investitori hanno alzato le aspettative per un aumento dei tassi dopo la riunione e ora prevedono che la Fed aumenterà i tassi cinque volte quest’anno, in base ai prezzi di mercato, e che il tasso ufficiale della Fed finisca l’anno tra l’1,25 e l’1,5 per cento.
E gli economisti avvertono sempre più che è possibile che i banchieri centrali si muovano rapidamente, magari aumentando i costi di finanziamento a ogni riunione consecutiva invece di lasciare gap, o con aumenti di mezzo punto percentuale invece delle mosse di un quarto di punto; più tipiche.
Ma il signor Powell ha esitato quando gli è stato chiesto del ritmo degli aumenti dei tassi, dicendo che era importante essere “umili e agili” e che “saremo guidati dai dati in arrivo e dalle prospettive in evoluzione”.
“Ha fatto di tutto per non impegnarsi in un corso prestabilito”, ha affermato Subadra Rajappa, capo della strategia tariffaria degli Stati Uniti presso Société Générale. La mancanza di chiarezza su ciò che accadrà dopo “è una configurazione per un mercato volatile”.
Infatti, il mercato preparato da Powell introduce una politica a favore delle banche e degli speculatori, poiché, con la scusa della grande domanda e il rischio di un altro Too Big To Fail, si è optato per una politica che metta in moto molti meno capitali per maggiori profitti. Insomma, una misura di strozzinaggio molto più asfissiante ed efficace di quella precedente.
E, quindi, mentre si prevede che i tassi di interesse aumentino nei prossimi anni, allo stesso tempo, la maggior parte degli economisti e degli investitori non si aspetta che tornino ad essere a due cifre come all’inizio degli anni ’80. La Fed prevede che il suo tasso di interesse a lungo termine potrebbe aggirarsi intorno al 2,5%.
Gli investitori hanno anche osservato con impazienza quanto velocemente la Fed ridurrà il suo bilancio delle attività in portafoglio.
Il comitato politico della Fed ha rilasciato mercoledì una dichiarazione di principi per quel processo, definendo piani per ridurre “in modo significativo” le sue partecipazioni “in modo prevedibile” e “principalmente” adeguando quanto reinvesti quando le attività scadono.
Powell ha notato durante la sua conferenza stampa che entrambe le aree di cui è responsabile la Fed – promuovere la stabilità dei prezzi e la massima occupazione – hanno spinto la banca centrale ad “allontanarsi costantemente” dall’aiutare così tanto l’economia.
“Ci sono molti milioni di posti di lavoro in più rispetto ai disoccupati”, ha affermato Powell. “Penso che ci sia un po’ di spazio per aumentare i tassi di interesse senza minacciare il mercato del lavoro”.
Il tasso di disoccupazione è sceso al 3,9%, in calo dal picco del 14,7% nel peggior momento economico della pandemia e vicino al livello del 3,5% di febbraio 2020. I salari stanno crescendo al ritmo più veloce degli ultimi decenni.
Ma quali sono le cause dell’inflazione? Può essere il risultato della crescente domanda dei consumatori. Ma l’inflazione può anche aumentare e diminuire in base a sviluppi che hanno poco a che fare con le condizioni economiche, come la limitata produzione di petrolio e problemi della catena di approvvigionamento.
L’inflazione non sempre è negativa, però, dipende dalle circostanze. I rapidi aumenti dei prezzi creano problemi, ma aumenti moderati dei prezzi possono portare a salari più elevati e alla crescita dell’occupazione. Ma non è questo il caso.
Poiché, non dimentichiamo che l’inflazione può essere particolarmente difficile da sopportare per le famiglie povere perché spendono una fetta più grande del loro budget per beni di prima necessità come cibo, alloggio e gas.
Allo stesso tempo, ha affermato Powell, i problemi che spingono l’inflazione al rialzo sono stati “più ampi e duraturi” di quanto si aspettassero i funzionari, e ha osservato che la Fed era “attenta al rischio” che una rapida crescita dei salari potesse alimentare ulteriormente aumenti dei prezzi.
L’indicatore dell’inflazione preferito dalla Fed dovrebbe mostrare che i prezzi sono aumentati del 5,8 per cento nell’anno fino a dicembre, quando l’ultimo rapporto viene pubblicato venerdì, più del doppio del ritmo del 2 per cento che la Fed punta annualmente e in media.
Insomma, la politica della Fed stona non poco con la redistribuzione tanto ambita dal presidente Biden nei confronti della Middle Class.
Lo Stato, al posto di garantire prestiti all’americano medio per rimettere in moto l’economia, garantendo gli investimenti dei cittadini e non basandosi sugli sprechi o sul consumismo, ha dato la possibilità alle banche di alzare l’asticella dei prezzi, fare più guadagni, e garantirsi introiti maggiori per dover far fronte alla spesa di un’eventuale politica fallimentare che elargisce soldi a chi quei prestiti non potrà restituirli mai.
Questa strategia non limita assolutamente la possibilità di un altro crollo come quello del 2008, visto che comunque le banche degli Stati Uniti non hanno cambiato assolutamente la loro politica da allora, ma, anzi, è solo una possibilità in più per chi dispone di ingenti somme di denaro di fare più guadagni rischiando meno capitale; condannando l’intera economia americana e occidentale.
I funzionari della Fed – e molti economisti – hanno trascorso gran parte del 2021 prevedendo che le condizioni si sarebbero stabilizzate e che l’inflazione sarebbe andata via da sola. Ma non è successo. E così la Cina ride.