Il governo italiano prevede di estendere di sei mesi le agevolazioni fiscali volte a stimolare i vincoli tra le banche del paese, riducendo al contempo il loro importo.
Come se le banche avessero bisogno di sostegno in questo periodo in cui si sono ritrovate a prestare soldi alle migliaia di aziende italiane sull’orlo della crisi. Prestiti, in parte, garantiti dallo stato stesso.
Lo schema, che si applica a tutte le società ma soprattutto alle banche, era un elemento chiave del pacchetto di incentivi che il Tesoro aveva messo insieme per s-vendere la banca in difficoltà Monte dei Paschi di Siena, salvata con miliardi di euro di contributi pubblici, alla rivale più grande UniCredit, di proprietà del colosso americano Black Rock. Amministrato dal suo Ceo Larry Fink, membro dei 30 nonché amico e grande sponsor del nostro premier Mario Draghi.
Tuttavia, i colloqui sul potenziale accordo di fusione sono falliti domenica, segnando una grave battuta d’arresto negli sforzi dell’Italia per ri-privatizzare MPS.
Ma l’accordo è saltato proprio a causa delle richieste fuori mercato di Unicredit che vorrebbe acquisire l’azienda prendendo solo i frutti senza farsi carico dei suoi debiti inaciditi.
La fine delle trattative ha creato incertezza sul rinnovo degli incentivi, come precedentemente indicato dai funzionari governativi.
La bozza mostrava che il governo intendeva estendere lo schema fino alla fine di giugno 2022 dal 31 dicembre 2021, con un nuovo tetto massimo di 500 milioni di euro come beneficio massimo.
Il cap è attualmente pari al 2% del patrimonio della società più piccola coinvolta nella fusione. Questo rimarrà il cap se la cifra del 2% è inferiore a 500 milioni di euro.
Le banche potranno anche attingere agli incentivi e completare le procedure di fusione entro due anni dall’acquisizione di una quota di controllo, afferma la bozza, anziché entro un anno come attualmente stabilito.
Gli analisti hanno visto nelle agevolazioni fiscali un importante driver di consolidamento per il mercato italiano, dove sono attesi ulteriori tie-up dopo l’acquisizione da parte di Intesa Sanpaolo, il player di secondo livello più sano.
Altre banche di medie dimensioni come Banco BPM e BPER Banca stanno valutando le loro opzioni, dicono i banchieri, così come Credit Agricole Italia che ha recentemente acquistato la piccola banca Creval dopo aver aumentato la sua offerta a fattore negli incentivi fiscali.
D’altra parte, giovedì l’amministratore delegato di UniCredit Andrea Orcel ha affermato che la sua opinione sul regime fiscale differiva da quella del mercato e non lo considerava un catalizzatore di fusioni e acquisizioni a causa delle commissioni che le banche hanno dovuto pagare per attingere ad esso.
La verità è che Unicredit è interessata all’acquisizione della banca e dei suoi clienti, ma vorrebbe cercare di strappare un prezzo quasi regalato allo Stato e vorrebbe più garanzie dallo stesso che, in mancanza di altri pretendenti e per le regole di mercato, prima o poi dovrà cedere.
Ma l’alternativa c’è: Piuttosto che svendere la banca, salvata con denaro pubblico, ad Unicredit, di proprietà degli americani BlackRock, non sarebbe meglio rendere la banca una partecipata statale con una dirigenza più caratterizzata sull’investimento che non sul consumo e che dia un servizio più a misura del cittadino?
Le soluzioni da applicare possono essere molteplici, ma optare su quella meno conveniente fa sorgere molti dubbi sulla trasparenza dell’operato, caro premier. Si spera di vedere un cambiamento di rotta in questa trattativa. Poiché, se MPS è stata salvata dai cittadino per essere svenduta ad Unicredit, non può che essere visto come l’ennesimo schiaffo in faccia dato al contribuente.