Partenza
con scivolone per l’Iowa. Ciò che è accaduto nello stato appartenente al
Midwest negli Stati Uniti ha dell’inverosimile se si pensa che siamo nell’era
della più alta e sofisticata tecnologia (che così alta e sofisticata evidentemente
non è). Si sta disputando una gara delle primarie per scegliere lo sfidante
democratico di Donald Trump che nel frattempo è stato confermato dai
repubblicani per le prossime elezioni ottenendo un 97% dei voti.
Ma cosa è accaduto per portare un tale disordine? La risposta è presto detta. A mettere scompiglio ai risultati è stata un’app che non ha funzionato come doveva o come ci si aspettava. “Disastro sistemico” lo definisce un dirigente democratico nell’Iowa.
Quasi duecentomila persone si sono presentate composte, in ordine, senza creare alcun problema nei luoghi pubblici, scuole, palestre, parrocchie. Molti cittadini ci hanno creduto. Molti si sono messi in gioco, partecipando a eventi e incontri, aspettando in fila anche a temperature sotto lo zero pur di riuscire a dare il proprio contributo per l’elezione del nuovo sfidante di Trump alle vicine elezioni.
I risultati sarebbero dovuti arrivare alle 22:00 ma qualcosa che non andava si percepiva già nell’aria. A mezzanotte l’annuncio: “Non ha funzionato la nuova app. Ci sono stati problemi col software”. Verso l’una di notte Troy Price, presidente del Partito democratico dell’Iowa, fa sapere che i risultati non sarebbero stati pubblicati prima della mattina successiva. Purtroppo, come dice Price, qualcosa non ha funzionato con la nuova app, riporta solo conteggi parziali. Quindi si dovranno rifare tutti i calcoli e per di più a mano. Ma da dove proviene questa app? Come mai la scelta di utilizzarla? E da chi? Scopriamo che Price nel 2019 aveva pagato 63mila dollari alla compagnia Shadow Inc per sviluppare l’applicazione. L’app, fondata da Gerard Niemira e Krista Davis, appartiene alla non profit Acronym guidata da Tara McGowan, già nello staff di Barack Obama nel 2012.
Ma come si può nel ventunesimo secolo permettere ancora questo genere di errori? E chi dice che nel nuovo controllo qualcosa sia andato storto o qualcuno non possa aver manomesso i risultati? A partire dalle prime indiscrezioni che circolano, ovvero che la vicedirettrice della comunicazione di Buttigieg lavorava per la società coinvolta. O ancora come le stesse Niemira e Davis erano già state impegnate nella campagna di Hillary Clinton.
In tutto questo chi si fa una grossa, grassa risata è Donald Trump che, abile comunicatore, prende la palla al balzo per ridicolizzare le procedure informatiche utilizzate dai democratici.
Ad ogni modo, tra linee informatiche in panne, disattenzioni, non prevenzione e controllo prima di utilizzare la nuova app, errori umani e non, al momento, secondo i risultati usciti, a scavalcare tutti, in termini di delegati, c’è Pete Buttigieg, con un 26,2% di preferenze. Giovane, veterano di guerra, eletto sindaco di South Bend nel 2011. Una laurea ad Harvard, un passato al Pembroke College di Oxford, in Gran Bretagna. Alle spalle una riserva selezionata nella Marina come Ufficiale di intelligence. Inviato anche in un’area di crisi, molto calda nel 2014: sette mesi in Afghanistan. Il suo punto forte? Avere posizioni moderate ma con freschezza. È suo il “Medicare for all who want it”, sanità pubblica gratuita a tutti coloro che la vogliono, senza però imporre a chi si trova bene con le assicurazioni provate di abbandonarle.
Subito dopo, in lizza per la candidatura democratica a presidente degli Stati Uniti incontriamo Bernie Sanders, che ha ottenuto un buon 26,1%. Indipendente socialista, senatore del Vermont, 78 anni, preferito dai giovani, ha superato anche Joe Biden, acerrimo nemico di Trump. Punto debole, la sua accanita campagna contro il capitalismo. I moderati temono che con lui Trump abbia gioco facile.
A scendere troviamo la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren che totalizza un 18%. La stessa sostiene di essere andata meglio delle aspettative e questo sembra appagarla più di ogni cosa, forse anche troppo stando alle previsioni di una sfida contro Sanders che sembra piuttosto in salita e non ancora risolta.
Chi invece se la passa alquanto male è Joe Biden, la cui candidatura è molto debole. E ad approfittarne è Michael Bloomberg che cerca subito di trovare spazio. Quest’ultimo sembrerebbe voler raddoppiare i soldi spesi per i suoi spot elettorali negli stati del Super Tuesday. L’ex sindaco possiede infatti una macchina organizzativa molto efficiente decidendo dunque di saltare gli stati generali e concentrarsi su quelli che assegnano il maggior numero di delegati come la California che ne porta in dote 494 contro i 41 dell’Iowa.
Chissà come andrà a finire e chi vedremo sfidare Trump nelle prossime elezioni. Al momento il tycoon se la deve vedere con un altro acerrimo nemico: la democratica e agguerrita Pelosi che gli fa un bello scherzetto al Congresso, strappando pubblicamente il testo, alla fine del suo terzo discorso sullo stato dell’Unione.