Parlare con Giorgio Benvenuto significa confrontarsi con un pezzo di storia politica e sindacale del secondo novecento.
E’ un vero piacere incontrare un uomo di grande intelligenza, lucidità e umiltà che resta uno dei più grandi sindacalisti italiani, molto popolare e amato dalla base operaia, straordinario protagonista del movimento dei lavoratori, ha fatto parte della famosa triplice con Pierre Carniti (Cisl) e Luciano Lama (Cgil).
Benvenuto è un volto celebre di un’Italia che non c’è più, è stato Segretario Generale della Uil dal 1976 al 1992, militando dal 1956 al 1966 nel Psdi e dopo sino al 1993 nel Psi. Proprio in quest’anno ha ricoperto anche la carica per un breve periodo di Segretario Nazionale del Psi.
Laureato in Giurisprudenza e anche giornalista pubblicista dal 1965. Giorgio ha 84 anni portati molto bene e ancora oggi svolge un’intensa attività animando diverse iniziative sul socialismo italiano in qualità di Presidente della Fondazione Bruno Buozzi ed attualmente anche vice Presidente della Fondazione Brodolini.
Ha ricoperto recentemente dal 2015 a fine 2018 la Presidenza della Fondazione Nenni. Nel suo passato di sindacalista è stato vicepresidente della Federazione Europea dei Metalmeccanici (1971-1976) e Vice Presidente della Confederazione Europea dei Sindacati (1978-1981; 1987-1990).
È stato anche consigliere del Consiglio Nazionale Economia e Lavoro (CNEL) dal 1981 al 1991. Nel 1992 è stato nominato Segretario Generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Ha acquisito numerose onorificenze all’estero tra le quali si ricordano quella che nel maggio 1985 ottenne di Gran Oficial de la Orden de Mayo dal Presidente Argentino Raul Alfonsin e ,poi, quella ottenuta il 4 maggio 1990 del titolo di Cavaliere di Gran Croce al Merito della Repubblica.
E’ consigliere della Fondazione San Patrignano, membro del Consiglio Direttivo dell’ Eurispes. Dopo che lasciò il Psi nel 1993 fonda con Giorgio Bogi, Ferdinando Adornato e Willer Bordon Alleanza Democratica che si presenta alle elezioni politiche del 1996 aderendo al progetto dell’Unione Democratica di Antonio Maccanico.
Questa formazione politica al maggioritario si presenta nell’Ulivo, mentre al proporzionale presenta liste unitarie con il Partito Popolare Italiano di Gerardo Bianco.
Benvenuto risulta eletto alla Camera dei Deputati a Torino nel collegio a forte presenza operaia di Mirafiori ed entra nel gruppo “Popolari e Democratici – L’Ulivo”.
Benvenuto è un laico convinto e le sue idee mal si conciliano con posizioni cattoliche ortodosse e, quindi, nel 1998 lascia tale gruppo parlamentare per aderire al gruppo dei Democratici di Sinistra nato dalle ceneri del Pci-Pds e nel 2007 partecipa all’atto costitutivo del PD a Firenze in occasione degli Stati Generali della Sinistra.
E’ stato parlamentare per diverse legislature acquisendo prestigio e stima nell’intero arco politico. Nella XIII legislatura (1996-2001) alla Camera dei Deputati è stato Presidente della VI Commissione Finanze e componente della Commissione bicamerale dei 30 in materia di attuazione della riforma fiscale.
Nella XIV legislatura (2001-2006), sempre alla Camera dei Deputati, è stato Capogruppo dei Democratici di Sinistra-L’Ulivo nella VI Commissione Finanze e membro della Giunta delle elezioni e della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’affare Telekom Serbia.
È stato candidato come capolista al Senato sia in Lombardia e Piemonte anche se ha optato per quest’ultima circoscrizione.
Nel corso di questa XV legislatura è stato Presidente della VI Commissione Finanze e Tesoro del Senato. Partecipa come esperto sulle questioni del lavoro e del fisco alle Commissioni di lavoro del PD. Ha insegnato materie fiscali presso la Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza dal 1995 al 2018.
Oggi abbiamo realizzato questa intervista in un momento storico nodale della nostra vita pubblica non tralasciando alcuni dettagli della sua vita e nonostante il suo carattere schivo e discreto non si è sottratto alle nostre domande.
Che ricordi serbi del periodo tumultuoso che hai vissuto da bambino proprio negli anni della guerra quando la tua famiglia da Gaeta ha vagato in varie parti d’Italia?
Sono nato nel 1937 e ho un ricordo del periodo sino al 1945 abbastanza nitido e intenso. Mio padre era ufficiale di marina e si era sposato nel 1936.
Nacqui l’anno dopo a Gaeta e sino al 1943 ho vissuto a Pola. Poi sono stato a Chieti-Pescara e successivamente sono andato a Messina.
La mia famiglia ha avuto anche esponenti di primo piano del Psi, uno zio di mio padre è stato consigliere comunale del Psi a Napoli prima del fascismo.
Alla caduta del fascismo ha partecipato alla ricostituzione del Psi e della Cgil nella città partenopea, quando fece parte di coloro che contribuirono alla lotta di liberazione di Napoli dai tedeschi.
Ricordo che a Pola dal 1937 al 1942 stavamo bene anche prima della guerra e il conflitto bellico non aveva ancora assunto quel carattere drammatico che prese dopo in Africa e in Russia.
Ricordo soprattutto il periodo quando nell’agosto 1943 andammo a Chieti dai genitori di mia madre. E’ stata una fortuna non trovarsi a Pola dopo l’8 settembre.
Chissà cosa sarebbe avvenuto se fossimo rimasti li. Siamo stati infatti profughi istriani perdemmo la casa, abbiamo perso tutto ma abbiamo salvato la vita.
Dopo l’8 settembre mio padre si dette alla macchia con altri ufficiali e, poi, riuscì ad attraversare il fronte. Sapevamo che mio padre era vivo ma non avevamo la possibilità di avere contatti con lui.
Dal 1942 al 1944 è stata una fase drammatica della mia vita c’erano le azioni militari dei nazisti e dei fascisti scatenarono una violenza inaudita e una guerra terribile provocando morte e distruzione.
Nel giugno 1944 Chieti venne liberata e i bersaglieri entrarono nella città. Tra il 1944 e ’45 tentammo di raggiungere mio padre che nel frattempo da Brindisi aveva raggiunto Messina.
Mio padre conosceva benissimo l’inglese e aveva delle responsabilità importanti. Il viaggio fu molto tormentato. E ci fermammo per un certo periodo di tempo a Serracapriola (Foggia) quando già si era realizzata la divisione dell’Italia con la linea gotica e noi eravamo nella parte liberata dal nazifascismo. In questa cittadina ebbi modo di assistere ad un comizio di Giuseppe Di Vittorio.
Successivamente mio padre venne trasferito da Messina a Roma, mentre io ho studiato a Chieti . Successivamente e definitivamente ci siamo ricongiunti con lui a Roma.
Serbo vivido il ricordo di un’Italia che ha saputo compiere un’impresa straordinaria sconfiggendo il fascismo e il nazismo e risollevandosi dalle macerie , e, soprattutto, ha saputo impegnarsi con intelligenza e spirito di volontà sino al miracolo economico degli anni ’50 e ’60.
Quanto hanno inciso nella tua formazione politica l’antifascismo e la nascita della democrazia repubblicana?
Nella mia famiglia c’era una forte coscienza sociale ed impegno politico, sia dalla parte paterna che materna. C’era anche un fratello di mio padre, Silvio Benvenuto, che era considerato una “pecora rossa” perché era socialista e ha fatto la resistenza divenendo partigiano a Roma.
La famiglia di mio padre era vicina al mondo progressista e socialista. Mentre quella di mia madre era più legata al modo liberale.
Tuttavia i familiari di mia madre avevano idee avanzate e mio nonno materno aveva fondato la Galleria De Meis a Chieti. Non erano né comunisti né democristiani. Erano persone che guardavano con interesse ad una paese democratico, liberale che mettesse in soffitta l’esperienza del fascismo.
Com’è maturata la scelta di entrare giovanissimo nella Unione Italiana del Lavoro e d’impegnarti nel sindacato?
Ho preso la licenza liceale a 17 anni e volevo fare l’ingegnere perché ero molto bravo nelle materie scientifiche. Mio padre verso la fine della sua carriera voleva fare l’avvocato e desiderava ardentemente che facessi giurisprudenza.
Dunque mi sono laureato in Giurisprudenza con il professore Santoro Passarelli e subito dopo andai da mio zio Silvio che era segretario nazionale degli statali della Cgil per trovare un lavoro ed impegnarmi nel sindacato.
Lui mi consigliò la Uil perché mi disse che i socialisti nella Cgil erano contrastati. Alla mia obiezione per il fatto che non potevo militare nello suo stesso sindacato mi rispose “ vai che presto ti raggiungerò anch’io”. Dopo i fatti di Ungheria del 1956 anche mio zio, come molti socialisti della Cgil, andarono via e vennero nella UIL.
Hai militato dal 1956 al 1966 prima nel Psdi e dopo ti sei iscritto al Psi. Cosa ti spinse a quest’ultimo cambiamento?
Esisteva una norma assurda e incredibile dentro il Partito: chi era socialista doveva essere iscritto obbligatoriamente alla Cgil. Per questo mi ero iscritto nel Psdi perché altrimenti se fossi stato iscritto nel Psi dovevo essere obbligatoriamente nella Cgil.
Mentre un comunista poteva fare quel che credeva, andare in qualsiasi sindacato. Questo veto assurdo cadde nel 1966 quando vi fu l’unificazione Psdi-Psi, poi, quando cessò l’unità tra i due partiti nel 1969 restai iscritto nel Psi.
Sei stato a capo dell’Uil negli anni d’oro in cui la triplice era rappresentata da sindacalisti di grande levatura morale e civile. Cos’è cambiato oggi nel sindacato e nel mondo del lavoro?
Debbo dire che non era solo il sindacato a possedere un livello di eccellenza perché l’Italia era una paese giovane, che voleva cambiare, che aspirava ad elevarsi e che si distingueva per tutta la sua classe dirigente di alto livello e preparazione.
E’ stata una fase straordinaria e non c’erano solo i contadini che andavano al Nord nell’industria. Non c’era solo lo spostamento di ragazzi, operai e lavoratori , che andavano a lavorare nelle fabbriche.
Infatti ci sono state migliaia e migliaia di piccole e grandi imprese che sono nate, era tutta l’Italia che investiva sul futuro. Mi sono trovato bene in questa Italia che aveva una straordinaria voglia di crescere riducendo diseguaglianza e differenze e che voleva progredire e modernizzarsi, che voleva fare le riforme.
Ed è proprio la fase del primo centro sinistra che è stata quella che ha fatto le riforme più importanti. Dall’altro lato il sindacato possedeva l’arma dell’unità sindacale che è stata un elemento di forza e progresso civile.
Negli ‘60 e ‘70 ci fu la distensione e la Chiesa divenne ecumenica. Basti pensare a Papa Giovanni XXIII che facendo il Concilio cambiò le regole della Chiesa: la messa, ad esempio, non fu più in latino e in tal modo si rese comprendibile ai fedeli, poi l’officiante, il prete che prima si rivolgeva a Dio, dopo si rivolse ai fedeli.
La Chiesa valorizzò sempre di più i lavoratori. Nel 1960 l’arcivescovo Montini andò a dare la solidarietà alle famiglie degli elettromeccanici che avevano occupato Piazza Duomo a Milano per il rinnovo del contratto dei lavoratori.
Negli anni ’60 ci furono i Kennedy, la politica di distensione, venne riformata la scuola, si estesero i diritti civili. Certo ci furono grandi problemi e resistenze. Però in questa fase di crescita il sindacato si ringiovanì cambiò e fece la battaglia per le riforme (Statuto dei lavoratori, welfare, pensioni, sanità etc.).
I tuoi cento giorni nel 1993 da segretario nazionale del Psi avevano acceso tante speranze nel rinnovamento di un Partito travolto da tangentopoli. Purtroppo ti sei dimesso proprio per l’impossibilità di far fare un passo indietro agli “inquisiti” dagli incarichi politici nel PSI?
Mi sono dimesso perché non c’era nessuna possibilità di cambiare le cose, anzi, ricordo bene che la mia candidatura fu difficile perché prima ci furono molti altri tentativi.
Ci fu all’inizio l’ipotesi in cui Craxi facesse il Presidente e Martelli diventasse segretario generale del PSI. Non se ne fece nulla perché le loro visioni erano diverse e troppo contrastanti.
Si posero in campo altre soluzioni. Alla fine venni indicato io, sembrava che fosse un’indicazione unitaria, io cercai in tutti i modi di ottenere questo risultato ma non ci riuscì, ci furono due candidature quella di Valdo Spini e la mia.
Una cosa veramente inedita che pochi sanno è il fatto che andai a parlare con Craxi che mi disse “ Giorgio guarda non accettare, non c’è niente da fare, perché il Psi finisce con me, è talmente immedesimato incarnato in me, via io cade il Partito e non ci sarà più il Psi, forse per molti anni sopravvivranno alcune strutture qua e là nel nostro Paese”, e continuò dicendomi che” prima cade il Psi e poi tutti i partiti laici, repubblicani, socialdemocratici, liberali e poi finiranno anche la Dc e il Pci” .
Per lui il sistema non avrebbe retto più ed era un castello di carte in cui venuta una giù, vengono giù tutte. Sottovalutai queste parole di Craxi poiché avevo tanto entusiasmo e voglia di dare il mio contributo di militante.
Confesso che rifarei tutto quello che ho fatto perché la speranza non si perde mai anche se mi resi conto quasi subito che non era possibile perché ogni giorno si perdeva un pezzo come nel quadro raffigurante i naufraghi sulla Zattera della Medusa di Théodore Géricault.
Le tue dimissioni da questo incarico sono legate anche al dissenso interno nel Psi per l’accordo che avevi raggiunto a sinistra con Achille Occhetto e Carlo Vizzini sulla riforma elettorale fondata sul doppio turno alla francese?
Tentai in tutti modi di fare queste riforme e tanti compagni mi hanno sostenuto, ho particolare gratitudine per Gianni De Michelis, Rino Formica e Claudio Signorile, Gennaro Acquaviva che mi hanno dato una grande mano.
Debbo dire che Craxi non mi ha mai intralciato. Ci fu una prima operazione per la gestione unitaria del Partito con Gino Giugni che aveva sostenuto Spini e che venne eletto Presidente dell’Assemblea del partito.
Poi decidemmo di sostenere i referendum proposti da Segni lasciando la libertà di scelta ai nostri elettori solo su quello della liberalizzazione delle droghe.
Infine abbiamo puntato con l’ausilio del prof. Sartori per il cambio della legge elettorale alla francese adattata al bipolarismo alla francese.
Nonostante l’accordo siglato da me con Vizzini e Occhetto, nel Pds e nel Psdi vi furono malumori e molte resistenze. Mi trovai, addirittura, smentito dal Gruppo parlamentare del PSI alla Camera. Anche l’autosospensione degli inquisiti fu sabotata.
Sei stato Presidente della Direzione Nazionale dei DS come coordinatore del movimento Riformatori per l’Europa, una delle componenti fondatrici dei Democratici di Sinistra, che si è battuta senza successo per definire questo nuovo soggetto politico come “socialista”.
Noi facemmo una battaglia e si fecero gli Stati Generali della sinistra a Firenze. Parteciparono tutti i movimenti, mi ricordo c’era anche Romita, social democratico, c’era anche Giuliano Amato, c’era molto interesse per questo progetto.
Alla fine non ci riuscimmo. Si volle fare qualcosa di più grande perché c’era un interesse verso quello che stava accadendo e bollendo nel mondo dei cattolici democratici, che ci avvicinò all’idea del Partito più grande. Riuscimmo solo a mettere nel simbolo del PDS la definizione di aderente all’Internazionale Socialista.
Sei autore di numerose pubblicazioni sul lavoro, il sindacato, sui diritti civili e sociali. Molte cose sono cambiate dalla nascita dello stato sociale di diritto eroso da un liberismo selvaggio e senza regole.
Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, alla fine della Prima Repubblica, perdemmo l’occasione dell’unificazione della sinistra. Non ci riuscimmo.
La proposta del Psi dell’Unità socialista non fu accolta e il Pci cambiò invece il nome in Partito Democratico della Sinistra.
Non fu solo questo. Purtroppo abbiamo anche tagliato molte radici alla sinistra. In Europa dopo la fine dei regimi satelliti dell’Urss poteva nascere un Europa sociale che avevamo disegnato con Delors.
In Spagna, in Portogallo, in Francia, in Germania e In Italia c’erano dei leaders socialisti e potevamo realizzare l’Europa sociale nell’ambito della sinistra.
Però Blair, Billy Clinton e Schroeder si innamorarono del mercato, della globalizzazione e della finanziarizzazione. Si puntò e si guardò ai Paesi dell’Est Europa come un aggregato possibile di nuovi consumatori; non si uniformarono i diritti civili e sociali negli stati post comunisti a quelli di tutta l’Europa.
Ripeto è stata un’occasione persa. La sinistra ha cominciato a credere troppo all’idee liberiste. Si è messo in discussione il welfare e anche dalla sinistra in Italia è venuto un attacco allo Statuto dei Lavoratori.
Ora si deve riuscire a recuperare quei valori della efficienza, dell’equità, dell’uguaglianza e della solidarietà cancellati dalla globalizzazione. La sinistra è stata pigra e opportunista ha dimenticato i propri valori.
La tua matrice laica e libertaria è sempre affiorata nel tuo impegno politico e sei stato sempre in prima linea nella battaglia non solo per l’affermazione dei diritti sociali ma anche per i diritti civili a fianco al Partito Radicale. Ancora oggi la lotta per un Italia più moderna sotto questo profilo appare sempre irta di ostacoli. A che punto siamo in Italia nel campo dei diritti civili?
Oggi siamo in difficoltà su tutti i diritti e non solo su quelli civili. Bisogna essere coerenti con i nostri progenitori che fecero la nostra costituzione.
Non possiamo dimenticarci che è stata fatta anche dal mondo del lavoro, con un impegno straordinario dei partiti di sinistra.
È stata fatta anche con il sacrificio dei lavoratori che hanno lottato il nazifascismo e scioperato per la libertà. Il secondo capoverso dell’art.3 della Costituzione recita che la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli che impediscono ai diritti di realizzarsi. È un dovere della Repubblica. Penso che al diritto del lavoro che è anche un diritto civile che va tutelato e che oggi non è assolutamente rispettato.
Che giudizio politico esprimi sulla fine della legislatura in corso?
Bisogna realizzare questo piano di cambiamento che l’Europa ha fatto. Più che giudizi da esprimere mi auguro che si colga l’opportunità che ci offre l’Europa di diventare protagonisti di obiettivi che possiamo realizzare tramite le risorse che ci sono giunte dall’Ue per la crescita sociale e per lo sviluppo economico.
È inutile continuare a lamentarsi. Abbiamo perso quattro anni e mezzo. È l’ora di agire e di fare, di avere le idee passando dalla rassegnazione, dalle lamentele alle azioni concrete.
1 comment
Benvenuto è un uomo di cultura,che ha vissuto la Politica con la P maiuscola e,in questa intervista si capisce il suo attaccamento alla visione Socialista.
Mi blocco un tanto sulle parole dette da Craxi per il post socialismo….mai verità fu così profonda….parlare di socialisti in Italia è un modo blasfemo di vedere la cosa.