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Inammissibili ritardi allo scoppio della pandemia

by Rosario Sorace

A distanza di un anno emergono i ritardi del Ministero della Salute nell’esplosione della pandemia che è stata sottovalutata per settimane senza che si agisse con tempestività e solerzia. L’indagine della Procura di Bergamo sull’impatto della malattia va avanti ed è protesa ad accertare tutte le responsabilità che possono affiorare circa le omissioni e le carenze dei pubblici poteri.

Vi è un vuoto di un mese e mezzo che va dal 5 gennaio al 19 che è il giorno in cui viene ricoverato a Codogno quello che è stato individuato come il “paziente 1”. Il 5 gennaio, infatti, l’Organizzazione mondiale della sanità invia in tutto il mondo il primo alert in cui si richiede a tutti gli stati i piani pandemici per l’influenza, tenuto conto che in Cina è stata rintracciata una pericolosa polmonite di causa sconosciuta.

Il 7 gennaio il ministero della Salute redige una circolare che estende l’allarme a tutte le autorità interessate. Tuttavia solamente ben 17 giorni dopo, il 22 gennaio, si riunisce per la prima volta una task force istituita per valutare la situazione. A fare parte di questo organismo vengono chiamati, Giuseppe Ippolito dell’istituto Spallanzani, Agostino Miozzo della Protezione civile, Giovanni Rezza e Silvio Brusaferro dell’Istituto superiore di sanità, alla presenza del ministro della Salute, Roberto Speranza.

In quel verbale si legge che Ippolito, proveniente da uno dei principali centri di ricerca italiani sulle malattie infettive, sottovaluta clamorosamente la pericolosità del virus: «È verosimile che il virus si attenui nelle prossime settimane. Attualmente ha una diffusione simile a quella dell’influenza». A sostenere questa tesi sono anche i rappresentanti dell’Istituto superiore di sanità in cui si afferma che i dati sono sovrapponibili a quelli dell’influenza.

Dal 1 gennaio abbiamo 3 milioni e mezzo di italiani a letto con l’influenza e ci sono diversi morti ma questo dato non fa notizia. D’altronde i sintomi dell’influenza e del Coronavirus sono assai simili e poi il virus dell’influenza ha un tasso di riproduzione più elevato rispetto al coronavirus però il quadro radiologico in quest’ultimo è molto più importante. Quindi sulla base delle esperienze pregresse ci sarà un picco e poi naturalmente avverrà un rallentamento.

Giuseppe Ippolito, comunque, parla per la prima volta della necessità di attivare il piano pandemico il 29 gennaio, in presenza del ministro Speranza e però la la decisione viene rimandata. In quell’occasione si mette in evidenza anche della necessità di stoccare dispositivi di protezione individuale, ovvero le mascherine che mancheranno per almeno un mese, tuttavia, anche su questa posizione espressa non si prende nessuna decisione.

E del resto, ancora il 7 febbraio, lo stesso Ippolito, assieme agli esperti dell’Iss, dice che il virus non è ancora arrivato in Italia e che quindi semmai bisognerà affrontare una minaccia proveniente dall’esterno.

La gravità della situazione si percepisce solamente il 20 febbraio, quando il paziente 1, viene ricoverato in terapia intensiva. In quel momento un ricercatore Stefano Merler, della fondazione Bruno Kessler, presenta al ministero la sua ricerca mostrando che il virus può causare 70 mila morti entro la fine dell’anno e in quell’occasione anche Speranza assiste alla discussione. Nonostante questo grave campanello d’allarme non si prendono affatto decisioni più rigide riguardanti l’intero Paese che arriveranno giorni dopo.

La procura di Bergamo continua le sue indagini e nelle ultime settimane ha convocato vari dirigenti del ministero, tra i quali Giuseppe Ruocco, segretario generale che introduceva tutte le riunioni della task force e Claudio D’Amario, ex direttore generale della Prevenzione. Quest’ultimo avrebbe confermato ai pm che il piano pandemico vigente a gennaio scorso era quello del 2006, perché nel 2017 non era stata effettuata nessuna revisione e ci si era limitati a rivedere l’editing nonché il sito internet. Questa versione dei fatti però è stata smentita dal direttore generale aggiunto Ranieri Guerra. Sono vicende ancora aperte insieme ad altre assai scottanti sul ruolo della Regione Lombardia nelle mancate ordinanze sulle zone rosse in alcuni comuni.


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