In Italia le tasse le paga Pantalone

Il premier Conte ha annunciato per il 2021 una riforma del fisco, e in attesa che nasca apprendiamo che la metà degli italiani non dichiara reddito. Ci sono circa 18 milioni di persone che versano solo il 2% di Irpef e il nostro Paese ha un alto indice di infedeltà fiscale.

Questi sono i dati relativi ai redditi 2018 degli italiani che sono stati dichiarati lo scorso anno. Sono stati elaborati da Itinerari Previdenziali per la sua settima indagine che ha svolto un’indagine conoscitiva sulle entrate fiscali e sul finanziamento del welfare. Si tratta di una fotografia attendibile della situazione nell’ambito della fiscalità ed emerge il primo dato che su 60.359.546 cittadini residenti in Italia a fine 2018, i contribuenti dichiaranti sono stati 41.372.851. Mentre  il numero di cittadini che versa almeno 1 euro di Irpef, sale a 31.155.444; 482.578 in più rispetto al 2017 ma ben 434.622 in meno rispetto al massimo registrato nel 2011.

Però la metà degli italiani che sono 29,204 milioni pari al 48,38%, non ha redditi e si, mantiene, quindi a carico di qualcuno. Quindi si evidenzia subito che vi è una percentuale anomala che è degna di un Paese povero e non certamente di una nazione tra le più sviluppate al mondo.

Cosicché, invece, le stime su consumi, spese e possesso di determinati beni quali telefonia, alcol, tabacco, gioco d’azzardo, ed altri beni, smentiscono questa tesi e ci fanno propendere su una massiccia elusione fiscale che non è stata mai efficacemente contrastata. Oggi anzi pare anche molto tollerata e anzi incentivata da una miriade di bonus e sconti assegnati a chi dichiara redditi bassi.

Poi bisogna considerare che rispetto agli ultimi cinque anni di analisi, sono aumentati i contribuenti che presentano la dichiarazione, i versamenti, i redditi dichiarati e l’ammontare totale di Irpef versata al netto del bonus Renzi di circa 10,5 miliardi, nonostante siano rimaste del tutto inalterate le aliquote ordinarie e le addizionali regionali e comunali.

Resta totalmente invariata, tranne piccoli differenze, la percentuale di contribuenti su cui grava quasi per intero il peso del fisco. Ecco un altro dato cruciale su cui riflettere se si si affronta lo spinoso tema della riforma, il 13% dei contribuenti con redditi da 35 mila euro in su versa circa il 58,9% di tutta l’Irpef.

Quindi non emerge affatto il ritratto di un intero popolo oppresso dalle tasse di cui a volte si narra. Esattamente nel dettaglio, i contribuenti delle prime due fasce di reddito che vanno da 7.500 e da 7.500 euro a 15mila risultano essere 18.156.997, pari al 43,89% del totale, e versano il 2,42% di tutta l’Irpef.

Si tratta di una cifra che corrisponde a 26,490 milioni di abitanti i quali, considerando anche le detrazioni, pagano in media circa 156,7 euro l’anno e, di conseguenza, si suppone anche pochissimi contributi sociali e di conseguenza con molte probabilità saranno dei futuri pensionati assistiti dalla collettività.

Tra i 15.000 e i 20.000 euro di reddito lordo dichiarato, abbiamo invece 5,724 milioni di contribuenti, che pagano un’imposta media annua di 1.966 euro, che si riduce a 1.348 euro per singolo abitante. In questo caso, un importo sicuramente più alto, ma, comunque, appare ancora insufficiente a coprire per intero anche il solo costo pro capite della spesa sanitaria che è circa 1.886 euro.

Se si effettua un semplice confronto tra imposte versate e servizi ricevuti dallo Stato si capisce chiaramente che molti italiani siano già a carico dei propri concittadini, senza che vi siano ulteriori redistribuzioni o riduzioni del carico fiscale a favore dei redditi più bassi.

A titolo di esempio i primi tre scaglioni di reddito, ad esempio, versano in totale circa 15,4 miliardi, ma ne ricevono «in cambio» per la sola sanità 50,3. Si potrebbe anche obiettare che pagano anche imposte indirette, Iva e accise, ma è, poi, vero che oltre alla sanità andrebbero considerate molte altre spese statali, come quella per le infrastrutture, l’istruzione o per l’assistenza, in ovvia crescita dopo Covid-19.

La domanda che è lecito porsi è quella di sapere chi sostiene il generoso welfare state italiano. Quindi considerato il gettito Irpef al netto del bonus Renzi, per il 2018 pari a 171,63 miliardi tra Irpef ordinaria (l’89,93% del totale), addizionali regionali (7,17% del totale) e addizionali comunali (2,89% del totale), il grosso dell’Irpef è a carico dei contribuenti con redditi da 35 mila euro in su anche se bisogna fare distinzioni.

Se si parte dall’analisi degli scaglioni di reddito più elevato, sopra i 300 mila euro si trova solo lo 0,10% dei contribuenti versanti: 40.880 soggetti, che pagano il 6,05% dell’imposta complessiva. Lo 0,10% paga più del doppio del 43,89% degli italiani! Tra 200 mila e 300 mila euro si colloca invece lo 0,14 % dei contribuenti che versa il 3,06% di tutta l’Irpef, mentre con redditi lordi sopra i 100 mila euro c’è l’1,22%, dei contribuenti, che tuttavia pagano il 19,80% dell’Irpef.

Sommando anche i titolari di redditi lordi da 55.000 a 100mila euro, si ottiene che il 4,63% dei contribuenti paga il 37,57% dell’imposta totale e, considerando i redditi dai 35.000 ai 55mila euro lordi, risulta che il 13,07% paga il 58,95% di tutta l’Irpef.

Volendo infine ricomprendere anche i redditi dai 20 ai 35mila euro si giunge ad una perfetta sintesi del sistema: il 42% dei contribuenti versa quasi il 91% di tutta l’Irpef, mentre il restante 58% ne paga solo l’8,98%. Quindi i contribuenti che dichiarano più di 35 mila euro possono a ragione ritenersi tartassati, poiché non possono neppure beneficiare di una qualche agevolazione a fronte delle imposte versate (ticket sanitari, trasporti, etc.),mentre il 58% degli italiani con redditi sotto i 20 mila euro ne ha a disposizione una profusione, senza che nulla (o quasi) venga fatto per esercitare un controllo o accertarne il reale bisogno.

Bisogna avere una dose di forte immaginazione per credere alla favola che poco meno della metà del Paese possa davvero vivere con redditi tanto bassi. Allora a questo punto invece di fare demagogia per fare crescere l’invidia sociale sarebbe il momento di proporre una politica fiscale che incentivi l’emersione, ad esempio attraverso il contrasto di interessi tra chi compra la prestazione e chi la fornisce.

Se si portasse in detrazione dalle imposte dell’anno il 50% delle piccole spese domestiche – lavori idraulici, elettrici, edili, manutenzione auto e moto, – con fattura elettronica (incrocio dei codici fiscali), nel limite di 5.000 euro annui per una famiglia di tre persone con un limite che aumenta di 500 euro per ogni ulteriore componente.

Nel caso di incapienza sono previste misure compensative quali la quota asili nido, mense. I risultati sarebbero quelli di favorire l’emersione del nero in un Paese ad alta infedeltà fiscale e aiutare i redditi delle famiglie che spesso sono bassi rispetto alla media Ue, aumentandone il potere d’acquisto e favorendo i consumi.

Forse questo sarebbe un vero cambiamento e la base da cui partire per un’efficace riforma fiscale che finalmente favorisca i cittadini onesti.

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