Il vero problema della democrazia italiana

Il nostro paese nel dopoguerra, dopo un ventennio di dittatura, è tornato alla vita democratica inaugurando una nuova stagione politica segnata da un rinnovato entusiasmo degli italiani nella partecipazione alla Cosa Pubblica.

Uno dei momenti più importanti, che fosse di sinistra, di centro o di destra era costituito dall’esercizio del diritto di voto.

Per anni la partecipazione alla vita politica è stata sì vivace, a tratti anche difficile, ma era in ogni caso viva, sentita quasi come una vocazione.

Con gli anni però questo sentimento è venuto meno, con un processo che comincia ad essere evidente a partire dalla caduta del muro di Berlino e la fine delle ideologie.

Da lì è stato un crescendo sempre più evidente, con la crisi dei partiti tradizionali e lo scoppio di tangentopoli, con un sistema che da allora non è stato più lo stesso e che ha portato gli italiani a disamorarsi sempre di più della politica.

Conseguenza di questa situazione, l’allontanamento dal voto.

Ormai è da più di un trentennio che gli elettori hanno iniziato ad allontanarsi dalle urne. E il calo ha raggiunto il suo punto più basso con le ultime politiche e le più recenti regionali in Lombardia e Lazio. Questo dato ci dimostra inequivocabilmente che l’astensione, senza retorica, può essere definito come il primo partito italiano; con numeri in costante crescita.

Numeri che a questo punto impongono una riflessione, in vista delle prossime tornate elettorali, su tutte le europee del 2024.

Secondo questa analisi, la democrazia sta conoscendo il suo punto più infimo per due ordini di motivi: per la rappresentatività degli eletti e perché di questo passo rischia di essere snaturato il senso stesso del voto.

Infatti il voto è una libera scelta, nessuno lo discute, ma lentamente si sta arrivando ad un sistema in cui i vincitori della competizione sono scelti dalla minoranza e non più dalla maggioranza.

Può sembrare paradossale ma è così, con tutte le conseguenze che ne derivano in tema di legittimazione per chi si trova a governare.

Certo l’obiezione che chi non era d’accordo poteva esprimere il suo dissenso nelle urne è sempre valida, ma è indiscutibile il fatto che i politici eletti con percentuali di affluenza basse siano la dimostrazione palese di una mancanza di sintonia con la maggioranza degli elettori e la loro rappresentatività.

Insomma il voto, che in astratto rappresenta la massima espressione della democrazia, per il cui ritorno i padri costituenti e non solo hanno duramente lottato, uscendo dalla dittatura, è in crisi se non in declino.

Ma come si è arrivati a tutto ciò?

Il Paese sembra quasi come se desse per scontato tutto ciò che abbiamo oggi; grave errore. La democrazia va coltivata giorno per giorno ed il voto è ciò che consente di mantenerla viva.

La causa, inutile girarci intorno è in primo luogo dovuta alla crisi della politica e di riflesso i partiti politici stanno vivendo.

Da troppo tempo i partiti somigliano sempre di più ad un comitato elettorale, troppo spesso fondati su un singolo, i c.d. partiti “personalistici” , che si governano ma durano lo spazio di un mattino, perché privi di un vero collante ideologico e legati inevitabilmente ai destini del loro demiurgo di turno.

Ormai è quasi un trentennio che la politica ha perso le sue sicurezze ed appare quasi impaurita, chiusa in se stessa, in cerca solo di una sopravvivenza, con regole del gioco sempre meno chiare e sempre meno inclusive.

Come interpretare del resto il continuo cambiamento della legge elettorale? Chiariamo, non si tratta di una mancanza di democrazia, almeno questo no, ma di sicuro è indice di un sistema che non è sicuro e teme di essere travolto.

Dopo la breve stagione del maggioritario, la rinnovata debolezza dei partiti politici, viene certificata dal ritorno al proporzionale con i c.d. listini bloccati; di per sé questa scelta non era un errore, vista la nostra storia repubblicana.

L’errore è nato da tutte le legge elettorali varate dal 2006 in poi, applicate o meno, che hanno sempre escluso il voto al candidato con la sola facoltà del voto di lista.

Candidato che quindi non viene più scelto sulla scorta di una preferenza ma, per quanto assurdo possa essere, sulla base della posizione in lista.

In poche parole, i futuri parlamentari sono scelti nel chiuso delle segreterie e per quanto paradossale possa sembrare il loro ruolo non risponde più agli elettori ma solo ai capi partito.

Le differenze ideologiche ci sono sempre state e ci devono sempre essere, perché il pluralismo politico è il sale della democrazia, ma fin quando la gente sarà lontana dalla politica sarà impossibile avere un reale ricambio.

Ogni processo parte dal basso e questo vale anche per la politica, ma il tempo stringe, ecco perché l’indifferenza del paese  verso la vita politica è un campanello da non sottovalutare: il vero problema della democrazia italiana.

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