Il socialismo riformista e pacifista di Giuseppe Modigliani

Giuseppe Emanuele Modigliani, nacque a Livorno nel 1872 da una famiglia alto borghese di origine ebraica, ebbe tre fratelli tra cui Amedeo che diventò un celebre e famoso pittore. Fece studi di giurisprudenza all’Università di Pisa, ebbe come docenti E. Ferri e A. Zerboglio, che lo influenzarono nella scelta di aderire agli ideali del socialismo.

Infatti, già nel 1894 fu tra i fondatori della sezione livornese del Partito Socialista Italiano e l’anno successivo fu eletto consigliere comunale della sua città. Promosse la nascita delle Camere del Lavoro e si impegnò per la difesa legale dei dirigenti della suddetta organizzazione, nelle cause legali in cui vennero accusati di incitare all’odio tra le classi sociali. Fu eletto anche come segretario della Federazione Provinciale del Psi. Collaborò al periodico socialista La Martinella di Colle di Val d’Elsa e nel 1898 fu chiamato a Piacenza per dirigere il giornale socialista La Montagna. Però appena giunse nella città emiliana venne arrestato e processato a Firenze, dove fu condannato a nove mesi di carcere.

Il suo rapporto con Filippo Turati fu difficile, conflittuale e controverso anche se condivise sempre l’idea del riformismo pur con una caratterizzazione molto vicina alle posizioni della sinistra interna del Partito. Fu, quindi, legato a Gaetano Salvemini e al VI Congresso del Psi del 1900, pur schierandosi con Turati, fece votare un ordine del giorno per consentire alleanze locali con altre formazioni di sinistra.

Così a Livorno, i socialisti, ispirati da Modigliani, aderirono ad un fronte popolare che vinse le elezioni ed espresse una giunta in cui lo stesso Modigliani ebbe l’incarico di assessore al dazio consumo. Ma l’esperienza non durò a lungo e già all’inizio del 1903 i socialisti delusi dall’esperienza amministrativa, ritirarono il loro sostegno, nonostante, Modigliani non condividesse questa scelta e fu, dunque, messo in minoranza.

Nel 1904, non fu più delegato all’VIII congresso nazionale in cui prevalse la sinistra interna. Il suo riformismo ebbe caratteri originali e si distinse da quello legato al mondo sindacale o cooperativo. Tuttavia Modigliani fece una significativa esperienza sindacale in qualità di organizzatore dei «bottigliai» e nel 1901, per suo grande merito, ottenne un contratto collettivo nazionale, il primo sottoscritto in Italia.

Modigliani, infatti, reputò che il partito dovesse avere il primato nella rappresentanza degli interessi generali della classe lavoratrice. Nel 1908 a Firenze  i riformisti prevalsero e Modigliani continuò ad aderire al riformismo anche se rimase vicino a Gaetano Salvemini, battendosi per il suffragio universale, rifiutando sia il riformismo «corporativo», sia una possibile collaborazione al sistema giolittiano che, a suo avviso, non diede mai rilievo alla questione meridionale. All’XI congresso di Milano del 1910, confermò i riformisti alla guida del PSI, rese, però, più laceranti ed evidenti le frammentazioni tra i seguaci di Turati, in cui vi fu un’ala di sinistra, guidata dal Modigliani e una destra di Bissolati.

La guerra coloniale della Libia divise ancora di più i riformisti e portò Salvemini ad uscire dal partito. Mentre, con motivazioni diverse e opposte, si procedette all’espulsione di Bissolati, Bonomi e Cabrini che fu decisa dal XIII congresso di Reggio Emilia del 1912. Proprio in quell’occasione, Modigliani, fece un intervento in cui dissentì dalla linea prudente di Turati auspicando un’opposizione intransigente contro il  governo. Fu eletto alla Camera nel 1913 nel collegio di Budrio-Molinella e si distinse sin dall’inizio per i numerosi e qualificati interventi in aula che mostrarono la sua assoluta padronanza dei regolamenti di aula e della notevole preparazione culturale.

Intervenne contro l’impresa libica e, quindi, contro l’intervento dell’Italia nella guerra mondiale, denunciando gli sporchi affari che ne derivarono, mettendo in rilievo gli errori del governo e dei comandi militari nonché la dura disciplina imposta ai soldati al fronte. Modigliani fu uno dei più importanti  pacifisti del movimento socialista europeo. Nel 1914 partecipò alla conferenza socialista italo-svizzera di Lugano, che denunciò la guerra come strumento del capitalismo per conquistare nuovi mercati e opprimere il proletariato. Fu anche autore, insieme con C. Rakovskij e L. Trotskij, dell’ordine del giorno approvato dalla conferenza dell’Internazionale socialista di Zimmerwald del 1915 e alla successiva conferenza di Kienthal del 1916, denunciò la politica guerrafondaia che fece prevalere la ragion di Stato sulla solidarietà pacifista e internazionalista.

Modigliani tornò rieletto alla Camera forte di una popolarità sempre più ampia riportando il maggior numero di voti nel collegio Pisa-Livorno. Fu, però, messo in discussione dalla crescente influenza nel Partito socialista dei massimalisti e dei gruppi anarchici anche se cercò in tutti i modi di mantenere negli anni venti una posizione di mediazione nella preannunciata scissione tra riformisti e massimalisti. La rivoluzione russa creò suggestioni palingenetiche e ci furono moti contro il caro vita, si occuparono le fabbriche. Modigliani in questo periodo tentò di battersi per una moderna aggregazione di forze progressiste che si battessero per una “Costituente e la Repubblica”. Venne additato da Lenin come un ostacolo da eliminare per creare in Italia un partito rivoluzionario. Fu vittima di due aggressioni tra il 1920 e il 1921 da parte dei fascisti a Roma e sul treno Pisa Viareggio. La sua natura non violenta lo portò a sostenere e a patrocinare il patto di pacificazione tra socialisti e fascisti del 1921. Si attivò, quindi, per un’intesa di governo tra il PSI e le forze della borghesia laica e cattolica che fronteggiasse il sorgere del fascismo.

La  linea «collaborazionista» fu censurata dal XIX congresso del PSI del 1922 e si  decise l’espulsione dei riformisti. Cosicché Turati, Treves e G. Matteotti, diedero vita al Partito socialista unitario (PSU). Nel novembre del 1922 Modigliani, interruppe l’intervento di Mussolini che aveva definito «sorda e grigia» l’aula di Montecitorio, gridando «Viva il Parlamento!». Fu sempre rispettoso delle istituzioni parlamentari e democratiche denunciando qualsiasi violazione del loro funzionamento e durante l’Aventino si adoperò per unificare le forze antifasciste.

Fu dichiarato decaduto nel 1926 assieme a tutti i parlamentari dell’opposizione e rappresentò la parte civile nel processo relativo all’omicidio di Giacomo Matteotti. Fu nuovamente aggredito dai fascisti e la sua abitazione fu devastata. Si convinse di andare in esilio con la moglie Vera e si stabilì per un breve periodo a Vienna. Continuò la sua attività antifascista e divenne il rappresentante italiano dell’Internazionale socialista. Successivamente raggiunse gli esuli italiani a Parigi dove divenne direttore del quindicinale Rinascita socialista, che fu l’organo ufficiale del Partito socialista dei lavoratori italiani. Si impegnò in prima fila per l’unificazione dei massimalisti e dei riformisti che fu raggiunta nel 1930 ma fu assolutamente contrario,invece, al patto d’azione con i comunisti raggiunto nel 1934.

Modigliani fu sempre coerente con il suo spirito pacifista e non condivise neanche le posizioni di Nenni e Saragat della “guerra democratica” accanto agli alleati, ribandendo che l’idea del conflitto armato come uno scontro di imperialismi contro gli interessi del popolo. Presentò queste tesi nel 1941 ad un Convegno socialista a Tolosa. Essendo esposto a rischi in quanto ebreo dopo l’occupazione tedesca in Francia fuggì con la moglie in Svizzera. Fu internato lo stesso e liberato nel 1944, ritornando a lottare nel Psi. Fu uno dei membri della Consulta e dell’Assemblea costituente.

Nel gennaio del 1947, gravemente malato, partecipò a fianco a Giuseppe Saragat nella scissione di Palazzo Barberini in cui si fondò il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani ( poi denominato Partito Socialista Democratico Italiano) di cui divenne Presidente. Modigliani  morì pochi mesi dopo a Roma.

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