Il prof. Roberto Tufano illustra il progetto conoscitivo su accoglienza e integrazione dei migranti nel territorio

Nell’ambito di un progetto co-finanziato dall’Unione Europea e patrocinato dal Ministero dell’Interno è stato realizzato un rapporto denominato “La governance per l’accoglienza dei migranti del comprensorio “Calatino Sud- Simeto”: istituzioni politiche, autonomie locali e terzo settore. Report relativo all’indagine quali-quantitativa effettuata nel territorio del calatino sud Simeto a seguito della mappatura dei servizi territoriali”.

Il report si compone in tre parti: Immigrazione e territorio, le istituzioni politiche: Europa, Italia, Regione Sicilia; Cittadini di paesi terzi nel territorio del calatino Sud-Simeto mappatura quantitativa del contesto in studio e Report relativo all’indagine qualitativa effettuata nel territorio del Calatino Sud-Simeto. Il progetto si avvale di valenti studiosi e prestigiosi docenti universitari e rappresenta un documento rigoroso, competente e originale per conoscere e approfondire una tematica di grande rilievo per la vita sociale e per le prospettive future.

Il volume è frutto del solerte lavoro di un gruppo di docenti e ricercatori afferenti al Dipartimento Culture e Società dell’Università degli Studi di Palermo e di un docente dell’Università degli Studi di Catania, propone i risultati di una ricerca sul ‘campo’ del fenomeno migratorio nei comuni del comprensorio Calatino Sud-Simeto nell’area della Città metropolitana di Catania.

In sostanza rappresenta l’elaborazione della mappatura dei servizi pubblici territoriali, intesa quale “fotografia” dei problemi/bisogni che gli operatori della P.A. vivono nel gestire relazioni con i cittadini/studenti stranieri, specificando la tipologia di problematiche che ostacolano un’efficiente erogazione del servizio pubblico. Tale attività nell’economia generale del Progetto FAMI n.2733, intitolato “Formare per Integrare”, è necessaria per poter orientare anche il confronto e gli interventi formativi, pertanto tale monografia sarà anche uno strumento di studio per i destinatari della formazione generale proposta dal progetto.

Lo scopo principale dello stesso è quello di «promuovere un modello di formazione ‘partecipata’, capace di generare cambiamento culturale e professionale». Ovviamente, secondo il legislatore europeo, ideatore di questa misura, una piena integrazione non può attuarsi senza il propedeutico potenziamento delle competenze del personale scolastico e degli operatori pubblici degli enti deputati all’erogazione di servizi in favore dei cittadini migranti.

Il team di ricerca quali-quantitativa, è stato composto da un gruppo di ricercatori estremamente qualificati e hanno collaborato a questo progetto la prof.ssa Ignazia Bartholini, associata di Sociologia presso il Dipartimento Culture e Società, Università degli Studi di Palermo; responsabile del report qualitativo e coordinatore del team di ricerca.

Il Prof. Mauro Ferrante, ricercatore e docente di Statistica Sociale presso il Dipartimento Culture e Società; Università degli Studi di Palermo; responsabile del report quantitativo.

La Dott.ssa Enza Cacciatore, cultrice della materia Sociologia presso il Dipartimento Culture e Società, Università degli Studi di Palermo e ricercatrice sul campo per gli aspetti qualitativi della presente ricerca. Il Dott. Gianni Pitti, statistico e ricercatore sul campo per gli aspetti quantitativi della presente ricerca. Il Prof. Roberto Tufano, associato di Storia Moderna presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, Università degli Studi di Catania che è stato il responsabile dell’analisi del contesto della presente ricerca, nonché della sinossi dei report quali- quantitativi.

Non ultimo in ordine d’importanza il dott. Antonio Gambuzza, filosofo, responsabile dell’Ufficio progetti del Consorzio Umana solidarietà. Sono stati coinvolti in questo studio tutti gli operatori dei servizi pubblici territoriali coinvolti nelle interviste e nelle attività di raccolta dati statistici. Poi coloro che hanno voluto iscriversi ai percorsi di formazione generale, specifica e specialistica previsti dal presente progetto; i docenti che terranno i corsi online ed in presenza.

Il Coordinatore del Progetto è stato il Dott. Paolo Ragusa, direttore del detto Consorzio, ed il Prof. Francesco Pignataro, Dirigente Scolastico dell’I.C.S. “A. Narbone” di Caltagirone, capofila del presente progetto FAMI, il quale ha creduto sin dall’inizio nell’importanza della costruzione di competenze per qualificare sempre più la governance dei processi di integrazione dei cittadini stranieri di paesi terzi.

Proprio il Prof. Tufano, che ha curato una sezione della Prima Parte: “Il diritto d’asilo nella storia istituzionale dell’Italia repubblicana”, ci ha spiegato le motivazioni e chiarito le ragioni di questo importante e unico progetto conoscitivo.

Quale territorio prende in considerazione il Report e che realtà sociali prende in esame?

Il territorio a cui è stata indirizzata l’analisi del contesto è quello del Calatino Sud-Simeto, porzione della ben più vasta città metropolitana di Catania, che conta ben 1.108.040 abitanti e comprende i 58 comuni dell’omonima ex-provincia regionale. In considerazione della vasta superficie territoriale (è la settima della nazione), la metropoli etnea comprende diverse aree, che sono così distinte (sebbene in via informale): l’Area metropolitana di Catania propriamente detta, l’Acese con la Costa ionica, che è collocata a nord-est di Catania (con capocomprensorio la città di Acireale), la Terra dei Normanni a nord-ovest (capocomprensorio Paternò), e il nostro soggetto, per l’appunto, il Calatino-Sud Simeto, che è disposto all’estremo sud, e ha come capocomprensorio la città di Caltagirone.

Per completezza d’informazione detta porzione etnea comprende il distretto socio-sanitario di Caltagirone (con i comuni di Grammichele, Mazzarrone, Licodia Eubea, Mineo, Mirabella Imbaccari, Vizzini, San Cono e San Michele di Ganzaria), ed il distretto socio-sanitario di Palagonia (con i comuni di Scordia, Castel di Judica, Raddusa, Militello in Val di Catania e Ramacca).

Sebbene il contesto dentro il quale ci muoviamo sia definito metropolitano, tuttavia è il ‘piccolo comune’ siciliano il vero luogo delle azioni che andremo a descrivere. Dentro queste realtà urbane operano i nostri attori principali (le Istituzioni statali e regionali, quelle locali, coi suoi Municipi e il personale politico e amministrativo, le Scuole coi suoi insegnanti e alunni, le economie originarie con i suoi protagonisti, le società comunali e, last but not least, gli stessi migranti).

Questa prospettiva ci ha mostrato come sia stato ampiamente sottovalutato il fatto che buona parte degli immigrati residenti in Italia viva in città di piccole dimensioni. Come è stato segnalato in un raro, ma meritorio studio, parlare di ‘piccolo comune’ italiano non significa individuare facilmente una categoria politologica e sociologica, cioè un’unità tassonomica costituita da un gruppo di entità politiche, sociali ed economiche che abbiano marcati caratteri comuni.

Nella formula ‘piccolo comune’ di generale v’è solamente la dimensione della popolazione. Niente più di questo, considerate le disparate condizioni ambientali (spaziali e territoriali), sociali ed economiche delle piccole città italiane. Ogni tentativo d’interpretare e far rientrare questi soggetti in un’unica fattispecie non può che utilizzare una rete interpretativa a maglie larghe, forse troppo grandi, per restituire risultati affidabili sia sotto il profilo analitico, sia modellistico, sia teoretico.

Nel nostro caso molto poco, per non dire quasi nulla, si conosce circa l’impatto che il fenomeno dei ‘viaggi della disperazione’ (non sapremmo meglio definire l’esistenziale spinta a fuggire dai luoghi nativi di milioni di persone) ha avuto in questa parte del Sud italiano.

Perciò, tale ricerca apre di rimando spiragli importanti su vari settori della composita, a tratti eclettica, vita nazionale. Il che, comunque si pensi e ci si collochi politicamente, rappresenta indubbiamente un buon modo per riflettere con buona critica sul nostro spirito pubblico e sulle nostre Istituzioni.

Oltre il carattere formativo/conoscitivo che obiettivo si pone questo progetto-ricerca?

Tra gli innumerevoli aspetti che tale indagine ha inteso cogliere, è da considerarsi non secondario il contesto municipale, cioè della vita politica ‘au ras au sol’, rasoterra, per usare una formula cara alla storiografia recente: ossia, minuta ma estremamente reale, concreta ed efficace.

Il rapporto tra leggi e politiche pratiche a livello locale non è gerarchico, ma, in più di una maniera, di tipo dialettico. Così, le politiche comunali sono anche il risultato di atti normativi, eppure esse non sono meri procedimenti amministrativi. Inoltre, nella realtà esistono pratiche politiche in assenza di leggi, così come possono esistere atti legislativi non seguiti da politiche attuative.

Perciò, esistono politiche che si fondano non tanto su ciò che la legge prescrive, ma che si concretizzano sulla sua assenza o, meglio, su ciò che essa non vieta. Inoltre, non è sufficiente il formale rispetto delle procedure legislative per rendere una legge efficace.

Un esempio concreto, peraltro già sperimentato a livello locale, è quello dell’emergere di una «funzione amministrativa» di «rigenerazione» e «riuso» degli spazi e dei beni pubblici. Lo Stato facilitatore, in effetti, non mira semplicemente a soddisfare delle richieste sociali, ma intende liberare delle forze presenti nella società e aprire nuove possibilità. In questa prospettiva, la rinascita urbanistica si presenta come un’azione pubblica aperta e contraddistinta da un forte elemento di creatività. Tale condizione micro ci mostra in tutta evidenza quali siano le risposte ‘locali’ ad un fenomeno ‘globale’ come le migrazioni.

Dette risposte possono trovarsi dentro un quadro normativo di riferimento nazionale, ma, molto più spesso, esse fanno riferimento alla capacità e alla mediazione politica dei ceti dirigenti locali. Talvolta, nel caso, non tanto raro, d’insorgenza di conflitti, esse sono dettate dalla giurisprudenza. Il neologismo inglese glocal (il cui etimo deriva dalla fusione dei termini global e local) definisce, infatti, il presente momento storico, nel quale le dimensioni del fenomeno migratorio sono divenute così imponenti che ad ogni area urbana europea è richiesto un notevole sforzo per l’innovazione nella vita politica e amministrativa.

In tale Report si indicano proposte di mutamento delle politiche di accoglienza e integrazione?

Riformare il sistema dell’accoglienza e delle politiche sociali significa, pertanto, ridefinire le consuete forme di governo, creando e sperimentando nuovi modelli locali di governance. Ciò perché, come è stato ricordato da diversi autori (e tra questi segnaliamo per lucidità e dottrina l’urbanista Marcello Balbo), in Italia esistono spesso differenze notevoli tra le politiche nazionali e quelle locali sul tema dell’immigrazione, così come su tutto il territorio nazionale non v’è omogeneità di risposte a livello locale.

Lo stesso Balbo ci aiuta alla comprensione di queste diversità di risposte presenti sul territorio italiano, peculiarità che travalicano abbondantemente ogni discorso delle rappresentanze politiche nazionali. Nel nostro caso, la parola governance, ovviamente nella sua accezione più equilibrata e generalmente accettata, ci può aiutare a comprendere meglio ogni disagio dell’interprete a fronte di queste disparità di risposte nello stesso territorio nazionale.

Anni orsono, una fine politologa tedesca, Ruth Mayntz, rifletteva sull’evoluzione e sui mutamenti di senso intervenuti nell’uso nel vocabolario della scienza politica del termine ‘governance’. Attraverso un’attenta disamina dei vari semantemi che aveva assunto in un ventennio questo vocabolo, la studiosa indicava in un corpus di teoria politica l’emergere di un particolare uso, più pertinente alla realtà politica del mondo occidentale: si ricorre al termine ‘governance’ per indicare un nuovo stile di governo, distinto dal modello del controllo gerarchico, e fondato su un apertura dell’angolo di cooperazione tra lo Stato e gli attori non statuali dentro reti decisionali ibride.

Riteniamo che ciò si attagli perfettamente alla gestione del fenomeno migratorio e della stessa accoglienza.

Quali sono gli esiti che si ricavano da questo studio assai dettagliato?

In effetti, nel caso della migration governance in Italia uno studio molto recente ha dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che gli attori principali della soluzione alla crisi migratoria sono state le associazioni internazionali, che hanno creato di fatto una comunità di ‘pratici’ del fenomeno migratorio. Ciò che è emerso da questa analisi è che in Italia l’evento è stato caratterizzato dall’intervento di svariati soggetti pubblici e privati.

Ovviamente, questo ha determinato la coesistenza di diverse mission: visioni, in più di un caso, contrapposte nella percezione della crisi e delle relative strategie per affrontarla. Se la competizione tra questi agenti può prefigurare nel futuro l’adozione di politiche nazionali ed europee più efficienti, tuttavia, una situazione di permanente conflitto tra Stato ed altre organizzazioni va a detrimento di ogni efficace politica centralistica di gestione della crisi.

Così, oggi ci appare la situazione italiana al confronto con il Mediterraneo degli sbarchi, frutto di una pratica umanitaria che non può essere arrestata: la governance delle migrazioni implica nel nostro Paese il coinvolgimento di organizzazioni internazionali, di organizzazioni della società civile e di istituzioni non governative. Così, la crisi delle migrazioni ha occupato negli ultimi anni grandi spazi dell’attualità politica e giuridica.

I termini ‘migrante’, ‘richiedente asilo’ o ‘rifugiato’ animano quotidianamente il dibattito pubblico, generando una miriade di studi e riflessioni sulle frontiere, sulla peculiarità delle migrazioni contemporanee e sulle cause di esse. In effetti, il numero di persone costrette a lasciare il proprio paese di nazionalità o di residenza ha raggiunto dei livelli mai conosciuti dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Persecuzioni, conflitti, cambiamenti climatici ne sono le cause primarie.

Secondo le statistiche fornite dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (d’ora in poi: UNHCR), alla data del 2017, tra i migranti dei nostri tempi si possono contare qualcosa come 25,4 milioni di rifugiati, cui bisogna aggiungere più di tre milioni di persone che attendono una risposta alla loro richiesta d’asilo. Sono dati che confermano un fenomeno in continua crescita, anche rispetto all’anno, a noi vicino, del 2011, quando i dati forniti dichiaravano 15,2 milioni di rifugiati, e poco meno di un milione in attesa di dichiarazione di eleggibilità allo status di rifugiato.

Sebbene gli ultimi due anni, il 2018 e il 2019, mostrano un trend in leggera flessione, tuttavia le cause scatenanti non sembrano diminuite. Così, se entriamo più in dettaglio, troveremo che la maggioranza dei rifugiati proviene dalla Siria (più di sei milioni), dall’Afganistan (due milioni e mezzo), dal Sudan del sud (due milioni e quattrocentomila), dalla Birmania (un milione e duecentomila), dalla Somalia (1 milione) e dal Sudan (settecentomila). Cioè, da Stati la cui situazione politica è estremamente complicata e dove la vita quotidiana è difficile da sostenere per la popolazione civile.

Di questi movimenti migratori da paesi confinanti con il nostro Continente, gli Stati europei proteggono al giorno d’oggi circa due milioni di rifugiati, che, dalla loro parte, prediligono sollecitare lo status di rifugiato a quattro Stati membri: Francia, Germania, Grecia e Italia, qui disposte in ordine di preferenza. Ovviamente, abbiamo escluso dal novero dei paesi europei l’Inghilterra del dopo Brexit. Ci troviamo, perciò, di fronte a grandi cifre, che, tuttavia, se comparate su scala planetaria, risultano essere ben poca cosa se paragonate, ad esempio, ai movimenti migratori in atto verso l’America del Nord.

Così, accanto al mondo politico, nessun ambito intellettuale si è sottratto a questo impegno, e numerosi sono i colloqui e gli studi sull’argomento, mentre nelle università italiane aumenta l’impegno, anche in numero di cattedre, su questo importante fenomeno dei nostri giorni.

A quali soggetti si rivolge in modo particolare questo progetto?

Destinato agli amministratori pubblici e ai funzionari impegnati nella pratica dell’asilo e dell’accoglienza, e, più in generale, a chiunque sia interessato a questo campo della nostra attualità, questo libro ha in effetti l’ambizione d’esporre – in una maniera che gli autori sperano sia chiara, concisa e dettagliata- i grovigli, le regole e, soprattutto, le azioni del diritto d’asilo praticate dagli enti pubblici dell’area del Sud-Calatino, tenendo in debito conto anche il quadro giurisprudenziale e le riforme più recenti in materia.

Per far ciò, il nostro volume si propone di seguire i percorsi dei migranti dentro la concreta realtà degli Enti pubblici, descrivendo le condizioni del loro ingresso sul territorio italiano, quelle della loro accoglienza, le modalità di risposta alle loro più varie domande, le condizioni procedurali e concrete di esame di quest’ultime. Insomma, l’insieme dei diritti umani di cui i migranti beneficiano in quanto persone protette. Infine, le condizioni e le modalità d’esclusione, di cessazione e di ripiegamento della protezione accordata dalla nostra nazione.
















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