Il contratto di ricollocazione introdotto dal governo Draghi, con la firma del ministro del Lavoro Andrea Orlando, è stato un fiasco totale.
Il primo fallimento riguarda lo sgravio massimo alle imprese che prevedeva un taglio fino a 6mila euro e che è andato ben al di sotto delle aspettative, non riuscendo a rilanciare l’occupazione nella prima fase di riaperture post Covid-19 come ci si aspettava.
Il dato concreto che sottolinea questa pesante disfatta da parte del governo ci viene fornito dai dati. Il provvedimento, infatti, ha favorito alla sottoscrizione di 4.073 contratti con altre 600 domande in corso di elaborazione da parte dell’Inps, un risultato che, se dovesse vedere accettate tutte le richieste, non supererebbe l’occupazione di 5mila lavoratori; ben lontani dai numeri sperati e dalla ricollocazione degli oltre 1,2 milioni di lavoratori che hanno perso il lavoro in tempi di covid.
La riforma era stata elaborata per essere una risposta alla crisi innescata dal virus ma, alla fine della fiera, sono stati assunti solo poco più di mille disoccupati al mese.
Secondo l’Inps, la riforma aveva i suoi limiti e prevedeva “un esonero per i datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo e del lavoro domestico” che assumevano “lavoratori con il contratto di rioccupazione”.
Lo sgravio era “riconosciuto per un periodo massimo di sei mesi, pari al 100% dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail), nel limite massimo di importo pari a 6mila euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile”.
“Nelle ipotesi di trasformazioni di contratti, infatti, il lavoratore non sarebbe titolare del requisito fondante il contratto di rioccupazione, consistente nello stato di disoccupazione al momento dell’instaurazione del rapporto di lavoro”, sottolinea l’Inps.
Cercare nuove formule non è di sicuro facile, ma, ideare delle proposte di sgravio dei contributi per sei mesi per un datore di lavoro che assume tutto l’anno e deve pagare anche lo stipendio, pare una proposta poco allettante e a dir poco stupida, se l’obiettivo rimane quello di ricollocare più disoccupati possibili.
E’ evidente che in questo caso siano state assunte persone che dovevano essere impiegate lo stesso, grazie alla proposta poco incentivante per i datori di lavoro; e, inoltre, sono stati risparmiati soldi da parte di chi aveva già intenzione di assumere e che avrebbe pagato un prezzo più alto.
Assumere persone e pagarle, in parte, con il reddito di cittadinanza per introdurre sempre più gente nel mercato e nell’ottica del lavoro, potrebbe essere un’alternativa, anche se l’aiuto deve essere sempre commisurato alla perdita registrata dall’azienda durante il periodo della pandemia.
In aggiunta, si potevano agevolare contratti più smart e pratici per le aziende e, sicuramente, una misura fiscale più soft, in questo periodo, pare dovuta, soprattutto, nei confronti di chi ha passato davvero dei brutti momenti.
La strategia adottata dal governo introduce misure che non aiutano i molti ma favoriscono i pochi che hanno fatturato tanto, da quanto si vede. L’imprenditore che ha guadagnato durante l’emergenza, con questa riforma, si trova agevolato grazie alla misura; nonostante non abbia sofferto un giorno di pandemia.
Solo chi ha licenziato ed è stato licenziato necessita di aiuto, non tutti. Chi ha guadagnato cifre da capogiro durante questa pandemia non alcun diritto di essere aiutato, agevolato o di avere uno sconto sui propri tributi.
Non è la prima volta che le misure adottate dal governo mirino effettivamente ad agevolare le imprese che non hanno perso un euro dalla pandemia e che si servono delle misure inefficaci messe in atto dall’esecutivo Draghi, che non vanno in alcun modo ad aiutare chi ha perso molto, ma, agevolano di gran lunga chi dalla situazione ci vuole guadagnare.
Se un’azienda è sana assume, diventando di conseguenza più produttiva; se un’azienda è in crisi, di sicuro, non viene agevolata da queste misure troppo inutili per permettere all’impresa di assumere e diventare più produttiva.
Chi si serve realmente di queste riforme sono proprio coloro che dalla pandemia ci hanno guadagnato tanto e, ora, vogliono espandersi; un operazione che molto probabilmente queste aziende o questi datori di lavoro avrebbero comunque fatto.
Cavar sangue dalle imprese e dai datori di lavoro in affanno, in questo momento, non è il miglior modo per incentivare l’impiego e agevolare una produzione più efficiente e inclusiva, produrre lavoro deve essere un imperativo categorico con gli oltre 1,2 milioni di italiani che hanno perso una fonte di reddito durante il virus. Ma più si avanza e più si nota che, le misure messe in atto dal governo Draghi, non mirano in alcun modo ad aiutare tutti, ma agevolano solo i pochi.