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Il disastro di Chernobyl

by Nicola Comparato

Da quel tragico giorno, il 26 aprile 1986, data del disastro nucleare di Chernobyl, il nostro paese ha curato più di 25000 bambini russi, ucraini e bielorussi, innocenti vittime delle radiazioni e del silenzio di quel periodo.

Ancora oggi, a quasi 36 anni da quell’evento, gli effetti dell’esplosione del reattore della centrale nucleare sono ancora devastanti e purtroppo senza limiti, per quanto riguarda la salute di milioni di persone coinvolte, ma anche dell’ambiente, con ancora un tasso elevatissimo di radioattività presente tuttora in quelle aree.

Ma andiamo con ordine: la catastrofe avvenne circa all’1.23 nella centrale nucleare, in una località (Pripyat) situata a circa 100 km a nord della capitale Kiev, ai tempi ancora parte dell’Unione Sovietica, a breve distanza dal confine con la Bielorussia.

Ci furono ben due esplosioni quasi contemporaneamente, dovute ad un errore umano, durante un test di sicurezza effettuato da alcuni ingegneri all’interno della centrale nucleare per poter verificare se il sistema di raffreddamento del reattore 4 in caso di carenza di energia elettrica fosse stato ugualmente operativo.

Una condizione che avrebbe potuto verificarsi in caso di eventuali attacchi nemici, come in Iraq nel 1981, quando Israele bombardò un reattore nucleare sovietico.

Per procedere con il test, era fondamentale diminuire notevolmente la potenza del reattore, però senza mai raggiungere la soglia minima di energia per non renderlo instabile.

Ma il regolamento non fu rispettato e durante un calo di energia l’acqua del raffreddamento del reattore evaporò.

Furono attivati i dispositivi di emergenza inutilmente con il reattore ormai fuori controllo ad una potenza 100 volte superiore alla norma.

Nella prima esplosione si liberò una grossa quantità di vapore surriscaldato ad elevatissima pressione che provocò il lancio in aria del pesantissimo disco di copertura che aveva la funzione di tenere chiuso il cilindro ermetico che conteneva il nocciolo del reattore.

Di conseguenza il disco, in modo verticale, ricadde sull’apertura, lasciando il reattore completamente scoperto.

Immediatamente dopo la grande massa di polvere di grafite di elevata temperatura ed una quantità di idrogeno, produssero a contatto con l’aria, una decisamente molto più potente seconda esplosione, provocando la totale distruzione della copertura dell’edificio del reattore dal quale scaturì un violentissimo incendio do polvere di grafite.

Quest’ultima, per diverse ore disperse nell’aria una notevole quantità di isotopi radioattivi. Durante la tragedia esplose come una pentola a pressione anche il reattore numero 4, che con una forte spinta lanciò in aria il coperchio da oltre 1000 tonnellate di peso utilizzato per chiudere il nocciolo ermeticamente.

Gli incendi crearono un’enorme nuvola colma di materiale radioattivo che contaminò tutta l’area circostante, provocando l’evacuazione di ben 336.000 persone con un numero di morti oscillante tra le 30.000 e 100.000 vittime.

Nei giorni che seguirono l’esplosione, il vento trasportò la nuvola radioattiva per diverse centinaia di km raggiungendo prima Paesi Baltici e Bielorussia, poi Finlandia, Svezia e Polonia, in seguito Paesi Bassi, Danimarca, Germania, Regno Unito e Mare del Nord, per poi proseguire verso Ungheria, Cecoslovacchia, Austria, Francia, Svizzera e Italia.

Agli inizi di maggio, tra i giorni 4 e 6, la nube fece ritorno verso l’Ucraina facendo tappa anche in Russia, Moldavia, Romania, Turchia, Grecia e Balcani.

Il pericolo si presentò maggiormente in aree dove scese la pioggia, a causa del probabile suolo contaminato. Il disastro di Chernobyl è stato classificato dalla scala INES come incidente nucleare di livello 7 e questo errore umano è tuttora fonte di grande preoccupazione per tutti.

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