Il coraggio di Giancarlo Siani, giovane talento del giornalismo ucciso dalla camorra

Giancarlo Siani aveva appena compiuto ventisei anni e si avviava a percorrere una brillante e luminosa carriera di giornalista quando i killer della camorra lo assassinarono il 23 settembre del 1985.

Oggi, sappiamo dalle sentenze emesse che il suo omicidio fu ordinato dal boss Angelo Nuvoletta e il motivo della barbara esecuzione fu la pubblicazione di un articolo del 10 giugno 1985, in cui Siani informò l’opinione pubblica che l’arresto del boss oplontino Valentino Gionta era stato reso possibile grazie a una soffiata degli storici alleati Nuvoletta, che, così, tradirono Gionta in cambio di una tregua con i nemici casalesi.

Il giovane giornalista, proveniente da una famiglia borghese napoletana, ebbe modo di partecipare ai movimenti studenteschi del 1977.

Dopo avere conseguito la maturità classica nel 1978 con il massimo dei voti, si iscrisse nella Facoltà di Sociologia all’Università degli Studi di Napoli Federico II, collaborando nel contempo con alcuni periodici napoletani e mostrando un interesse precipuo per la cause sociali e per le problematiche dell’emarginazione.

Naturalmente, proprio all’interno delle fasce sociali più disagiate la criminalità organizzata ha reclutato e recluta la principale manovalanza per le azioni illecite.

Siani fondò e si fece promotore assieme ad altri giovani giornalisti, tra i quali Gildo De Stefano e Antonio Franchini, del Movimento Democratico per il Diritto all’Informazione (M.D.D.I.), di cui fu portavoce nei diversi convegni nazionali sulla libertà di stampa. Scrisse i suoi primi articoli per il mensile “Il lavoro nel Sud”, testata del sindacato Cisl e, successivamente, iniziò la sua collaborazione presso la redazione di Castellammare di Stabia come corrispondente da Torre Annunziata per il quotidiano “Il Mattino” di Napoli.

La sua passione fu il giornalismo d’inchiesta e si occupò principalmente di cronaca nera e inevitabilmente della camorra. Non si limitò a scrivere solo articoli di cronaca riportando i fatti e gli eventi criminosi, bensì, studiò e analizzò le relazioni, gli organigrammi e le gerarchie delle famiglie camorristiche che avevano un forte controllo nel territorio.

Il giovane collaborò anche con l’Osservatorio sulla Camorra, che fu un periodico diretto dal sociologo Amato Lamberti. Al quotidiano “Il Mattino” fece riferimento alla redazione distaccata di Castellammare di Stabia e il suo sogno fu quello di diventare giornalista professionista.

Non riuscì in vita a realizzare questo obiettivo che gli è stato riconosciuto ad honorem nel giorno del 35esimo anniversario dall’uccisione da parte dell’Ordine dei giornalisti che ha consegnato il tesserino ai suoi familiari, durante una cerimonia a Napoli.

Siani approfondì un’elevata conoscenza del mondo della camorra, raro per i giornalisti in quel tempo, dei boss locali e degli intrecci perversi tra politica, criminalità organizzata e affari, scoprendo una serie di connivenze che esistevano, all’indomani del terremoto in Irpinia, tra esponenti politici oplontini e il boss locale, Valentino Gionta, che, da pescivendolo ambulante, costruì un facoltoso business illegale.

Gionta partì da semplice gestore del contrabbando di sigarette, per poi controllare il traffico di stupefacenti, e per finire nell’esercitare il dominio dell’intero mercato di droga nell’area torrese-stabiese. Il giovane giornalista iniziò una lunga serie d’inchieste che lo condussero ad essere regolarizzato nella posizione di corrispondente dal quotidiano nel giro di un anno.

Siani accusò il clan Nuvoletta, alleati della mafia siciliana corleonese di Totò Riina, e che insieme al clan Bardellino, esponenti della “Nuova Famiglia”, di voler spodestare e vendere alla polizia il boss Valentino Gionta. Sembrerebbe che queste rivelazioni pubblicate da Giancarlo il 10 giugno 1985, indussero la camorra a eliminare il giovane giornalista.

In quell’articolo Siani scrisse che l’arresto del boss Valentino Gionta venne operato a seguito di una “soffiata” che uomini del clan Nuvoletta fecero ai carabinieri. Il boss oplontino venne, infatti, arrestato proprio poco dopo aver lasciato la tenuta del boss Lorenzo Nuvoletta a Marano di Napoli, comune a Nord di Napoli.

Fu questo arresto di Gionta, secondo quanto successivamente rivelato dai collaboratori di giustizia, il prezzo che i Nuvoletta pagarono al boss Antonio Bardellino per fare cessare la guerra ed ottenerne un patto di non belligeranza.

La pubblicazione dell’articolo fece infuriare i fratelli Nuvoletta che in tal modo fecero la figura degli “infami”, poiché , violando il codice degli uomini d’onore mafioso, intrattenevano rapporti con le forze di polizia. Così si decise di uccidere Siani, che però doveva essere assassinato lontano da Torre Annunziata in modo da confondere le acque.

Giancarlo, intanto, continuò a lavorare alle sue inchieste con passione e dedizione e aveva in mente di pubblicare un libro sui rapporti tra politica e camorra negli appalti per la ricostruzione post-terremoto.

Trentacinque anni fa, il 23 settembre 1985, appena giunto sotto la sua abitazione, il povero Siani, venne ucciso, gli spararono dieci colpi in testa da due pistole Beretta.

Il giorno della sua morte Siani telefonò al suo ex-direttore dell’Osservatorio sulla Camorra, Amato Lamberti, chiedendogli un incontro per parlargli di cose che “è meglio dire a voce”.

Nell’aprile del 1997 la seconda sezione della corte d’assise di Napoli condannò all’ergastolo i mandanti dell’omicidio, che furono, secondo questa sentenza, i fratelli Lorenzo e Angelo Nuvoletta e Luigi Baccante, ed anche i suoi esecutori materiali individuati in Ciro Cappuccio e Armando Del Core.

In quella stessa condanna risultò che il mandante fu anche il boss Valentino Gionta. Successivamente dopo la conferma delle condanne della Corte di Cassazione, si dispose, però, per Gionta il rinvio ad altra Corte di Assise di Appello.

Il secondo processo d’appello, il 29 settembre del 2003, lo condannò nuovamente all’ergastolo mentre, poi, il giudizio definitivo della Cassazione Gionta fu definitivamente scagionato per non aver commesso il fatto.

In ogni caso l’Italia è stata privata di un giovane giornalista di grande e limpido talento, morto per la sua coraggiosa passione di raccontare la verità dei fatti.

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