Il coraggio di Epifanio Li Puma, il sindacalista socialista ucciso dalla mafia

Le strade della Sicilia sono lastricate di morti e le campagne di lapidi: una è stata posta per immortale nel ricordo un grande protagonista delle lotte contadine come Epifanio Li Puma, assassinato dalla mafia agraria il 2 Marzo 1948, appena pochi giorni prima del barbaro omicidio a Corleone di Placido Rizzotto.

Epifanio fu un socialista della prima ora, prima della nascita del fascismo, divenne dirigente del Movimento contadino per l’occupazione delle terre ed ancora oggi è un’icona, un simbolo della giustizia sociale, non solo predicata ma praticata con l’impegno massiccio e la lotta rigorosa che condusse per la giustizia sociale.

Un uomo puro e di grandi ideali che ebbe solo la colpa intollerabile e pericolosa per i campieri mafiosi e gli agrari di essersi messo a capo dei braccianti e delle leghe contadine. Nacque nel borgo di Petralia Soprana, in provincia di Palermo, il 6 gennaio 1893 e visse in una famiglia di poverissima estrazione sociale, vivendo un infanzia di stenti e in una condizione di indigenza quasi assoluta.

Quindi sin da ragazzo si diede da fare in tutti i modi e lavorò senza posa e con fatica la terra accettando senza fiatare le dure condizioni di vita dei contadini.

Tuttavia non era un giovane rassegnato e fatalista poiché non sopportava le ingiustizie e i soprusi a cui venivano sottoposti coloro che lavoravano la terra.

Si unì ben presto per condurre questa lotta a cui si dedicò anima e corpo, con Michele Li Puma, parente di Epifanio che diventò anche suo stretto collaboratore.

Svolse il servizio di leva e andò quattro anni al fronte nella prima guerra mondiale. Al contrario di tanti giovani del Sud che persero la vita, Epifanio ritorna al paese e si sposa con Michela da cui avrà ben 9 figli.

Epifanio trasmise ai figli l’amore per il lavoro, l’attaccamento alla propria terra e anche la fede nei valori del socialismo e della libertà.

Pertanto aderì sin da subito all’area riformista e moderata del Partito Socialista Italiano non trascurando mai la sua convinta religiosità cristiana.

Non nascose mai la sua avversità al fascismo e credeva in un cambiamento pacifico della società rifuggendo dagli estremismi delle idee rivoluzionarie e violente.

Negli anni quaranta dopo la caduta di Mussolini e la fine della guerra ricominciano le grandi manifestazioni per ottenere l’attuazione dei decreti Gullo, che intendevano sancire l’attribuzione ai braccianti dei terreni incolti e una più giusta distribuzione dei prodotti.

Epifanio non era dotato di grande cultura però aveva un grande carisma e una straordinaria umanità e, così, riuscì a capeggiare in tutto il territorio la protesta contadina e popolare.

Divenne in tal modo un leader sindacale della Cgil, rispettato e amato dal popolo, sostenendo la battaglia che poi divenne parlamentare per la riforma agraria e divenendo capolega dei mezzadri e braccianti senza terra.

Non gli mancò mai la determinazione per la difesa dei diritti dei lavoratori e riteneva gli agrari dei veri e propri eversori della legalità credendo fermamente nell’ordinamento democratico e nell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.

Dunque i risultati di questo impegno si vedono subito e, già nel luglio del 1946, sulle Madonie furono costituiti i consigli del feudo con la nascita della Cooperativa “Madre Terra” che contò l’adesione di oltre 500 contadini di cui alla guida ci furono naturalmente Epifanio e Michele Li Puma.

I contadini presero coraggio e si rifiutarono di lavorare la terra sino a quando i padroni no avrebbero adottato il suddetto decreto Gullo.

Però la reazione dei latifondisti e dei padroni non si fa attendere, il marchese Pottino organizzò una serie di ritorsioni intimorendo il figlio del suo mezzadro.

La protesta non si placò, anzi, divenne più estesa e nel 1947 vennero occupate simbolicamente delle terre. Le minacce diventarono sempre più insistenti e il cerchio intorno a Epifanio si strinse.

Prima, nell’estate del 1947 venne sfrattato dal feudo e fu solo l’inizio di ritorsioni sempre più dure nei suoi confronti anche se Epifanio non si piegò alla prepotenza e alle minacce dei poteri forti del territorio, della mafia e del feudo che possedeva e faceva incetta di terre in affitto disconoscendo con la violenza i diritti dei contadini.

Cosicché venne il giorno drammatico, il 2 marzo del 1948, Epifanio si trovava in contrada Albuchia, a Petralia Soprana accompagnato da due dei suoi figli, Santo di 19 anni e Giuseppe di 13 anni.

Sembrava una giornata di sereno lavoro nei campi ed Epifanio e il figlio Santo aravano il pezzo di terra di proprietà del cognato, mentre il piccolo Giuseppe, li vicino giocava nei campi.

L’agguato si svolse in modo istantaneo, giunsero infatti due uomini a cavallo che dopo qualche rapida domanda imbracciarono un fucile aprendo il fuoco contro Epifanio.

Il sindacalista cadde a terra e l’altro killer lo finì barbaramente con alcuni colpi di pistola alla testa. Poi rivolse la pistola contro Giuseppe, che terrorizzato indietreggiò ma il sicario venne bloccato dal compagno che gli ordinò di lasciarlo stare.

I due mafiosi si dileguarono nelle campagne lasciando sul terreno Epifanio che, di lì a poco, nonostante i soccorsi che gli vennero prestati morì.

La mafia uccise un uomo di grande coraggio che avrebbe sicuramente avuto un ruolo di primo piano nel movimento sindacale e politico e, infatti, con questo assassinio la mafia, gli agrari e la politica reazionaria siciliana vollero dare un messaggio chiaro, inquietante e violento anche in Sicilia alla vigilia delle elezioni politiche del 18 aprile 1948.

Poco dopo il delitto di Epifanio, ci fu un crescendo di omicidi che si consumò con l’omicidio di Placido Rizzotto a Corleone, e dopo venti giorni, il primo aprile, di Calogero Cangelosi a Camporeale.

Il messaggio era chiaro. Chiunque si fosse schierato con il movimento sindacale e la sinistra sarebbe stato una potenziale vittima della reazione mafiosa.

Ai funerali, che avvennero a Petralia Soprana, vennero denunciati apertamente i mandanti del suo omicidio ma, come sempre accadeva a quei tempi, non è stato mai chiamato in causa nessuno per la sua morte. Le indagini vennero presto archiviate e non si celebrò mai nessun processo.

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