Di Mimmo Di Maggio
L’ex componente del Csm Luca Palamara, finito al centro del più grande scandalo della magistratura italiana, è stato ascoltato dalla Commissione parlamentare antimafia negando le manovre correntizie nella mancata nomina del pm Nino Di Matteo nel pool stragi nel 2015 e nella scelta di Francesco Basentini al vertice del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
Dopo aver scaricato la colpa sulla politica e altri colleghi, ecco che arriva l’ammissione dell’ex numero uno dell’Anm, riferendo l’inquietante particolare che un impegno politico di Di Matteo e dell’attuale procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, spaventava proprio la magistratura.
Nel corso dell’audizione a Palazzo San Macuto, Palamara esordisce parlando della sua attività e del suo ruolo facendo riferimento a fatti e vicende che hanno chiarito “come funzionava il meccanismo interno alla magistratura”.
Inoltre l’ex pm del Csm ha anche assicurato che l’esclusione dal gruppo stragi di Di Matteo “fu una scelta autonoma da parte di De Raho”, ovvero dell’attuale procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, aggiungendo che la stessa scelta fu “oggetto di dibattito anche nel Csm”. “Nessuna interferenza ci fu per quanto mi riguarda”, ha specificato.
“L’esclusione di Nino Di Matteo, in prima battuta, mise d’accordo tutte le correnti. Il meccanismo di funzionamento delle designazioni dei sostituti alla Direzione sconta le stesse problematiche delle nomine degli uffici direttivi”. Ma Palamara non si ferma qui e dice che quando Gratteri era “in predicato di diventare ministro della giustizia, anche in quel caso nella magistratura” ci fu il timore che l’attuale procuratore capo di Catanzaro potesse diventare guardasigilli.
“Fatto sta che il nome di Gratteri per come appreso in ambito politico, venne depennato dalla lista originaria. Gratteri e Di Matteo non fanno parte del meccanismo che rappresenta lo schema dei partiti politici, le correnti attraverso cui si detiene ed esercita potere”.
Per quanto riguarda l’amministrazione penitenziaria, l’ex presidente dell’Anm dichiara che “Basentini non aveva i requisiti per poter ricoprire l’incarico di capo del Dap” e che “l’esperienza di Di Matteo era nettamente superiore”.
“Ma la nomina – sottolinea Palamara – avrebbe rafforzato Di Matteo nella magistratura e quando accade una cosa del genere il sistema si preoccupa e si fa una soppesata per trovare un punto di equilibrio, equilibrio che poteva essere trovato sul nome di Basentini”.
Una scelta in cui l’ex magistrato esclude però interventi delle correnti e sostiene che fu fatta dall’allora ministro della giustizia Alfonso Bonafede. Il “vendicativo” Palamara non ha però mancato di battere ancora su un certo volto della magistratura, dicendo che all’interno “c’è la volontà di non perdere un potere che è ormai assolutamente costituito”. E le interlocuzioni tra toghe e politica? “Le ho sempre ritenute fisiologiche, non lesive dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, ma di un corretto tentativo di funzionamento tra i poteri dello Stato” che per loro natura devono rimanere scissi.