Home Attualità I misteri della tragica fine del valoroso maresciallo Antonino Lombardo

I misteri della tragica fine del valoroso maresciallo Antonino Lombardo

by Rosario Sorace

La storia del maresciallo dei carabinieri Antonino Lombardo, comandante della stazione CC di Terrasini, è ammantata da cupi risvolti ancora oggi non chiari. Questo milite coraggioso e valoroso contribuì in modo rilevante e decisivo all’arresto di Totò Riina, avvenuto il 15 gennaio 1993.

Proprio qualche mese dopo passò ai Ros della Sezione anticrimine di Palermo e il suo ruolo fondamentale nell’ambito del pentitismo si ebbe con le relazioni stabilite con il boss Gaetano Badalamenti, detenuto nel carcere di Memphis. Il mafioso ebbe contatti con Lombardo che furono tesi anche ad acquisire la sua collaborazione con la giustizia italiana e il maresciallo tentò di riportarlo in Italia per ottenere la testimonianza al processo sul delitto del giornalista Pecorelli.

Badalamenti avrebbe raccontato a Lombardo che l’ascesa del dominio dei corleonesi di Riina sarebbe stato persino pilotato dalla CIA e che Totò u curtu sarebbe stato un pedina inconsapevole nelle mani dei servizi segreti americani. Il boss mafioso avrebbe potuto fornire anche notevoli informazioni nell’ambito del processo Andreotti con notizie importanti.

Badalamenti si fidava di Lombardo e lo aveva conosciuto in due incontri negli USA. Pertanto il mafioso pose la condizione che, per ottenere il suo rientro in Italia per testimoniare, venisse ad accompagnarlo proprio il maresciallo. Era un’operazione delicata e pericolosa, tuttavia Lombardo non si sottrasse da servitore dello Stato qual era, fissando la sua partenza per il giorno 26 febbraio 1995.

Però per una strana e singolare coincidenza, tre giorni prima di questa data, il maresciallo Lombardo durante una trasmissione di Michele Santoro fu oggetto di un attacco violento e incrociato di due sindaci, Leoluca Orlando, Sindaco di Palermo, e Manlio Mele, sindaco di Terrasini, in cui costoro fecero dei pesanti apprezzamenti nei confronti del maresciallo, anche se non venne mai nominato esplicitamente, lo accusarono senza giri di parole di “stare dalla parte della mafia”.

Lombardo da parte sua sporse persino querela. In quell’occasione il Comandante Generale dell’Arma, Luigi Federici telefonò alla RAI in difesa di Lombardo, e, tuttavia, in modo inspiegabile, non gli venne concesso di intervenire. Quella clamorosa esposizione mediatica portò alla decisione da parte dell’Arma dei Carabinieri di evitare la partenza del maresciallo alla volta degli Usa, mentre al suo posto fu mandato da don Tano, Giuseppe Scibilia, che era un fedelissimo di Mario Mori al Ros.

Ma il boss da quel momento si rinchiuse in un silenzio che lo accompagnò fino alla sua morte il 29 aprile 2004. Viene trovato “incaprettato” nel bagagliaio della sua auto, Francesco Brugnano. Questo delitto non era solo un classico delitto di mafia, bensì si trattava di un confidente del maresciallo, che avrebbe fornito indicazioni sul clan dei Ganci e sul ruolo che quest’ultimi avevano per la latitanza di Riina.

Quindi la sua uccisione rappresentava un segnale preciso proprio verso il maresciallo Lombardo che cominciò a comprendere un torbido clima di accerchiamento e di isolamento. E infatti Lombardo in quei giorni disse che “il sospetto e la delegittimazione, in Sicilia, sono sempre stati l’anticamera della soppressione fisica”.

E si giunse al 4 marzo quando in una macchina parcheggiata all’interno della Caserma Bonsignore di Palermo (comando regionale dei Carabinieri), Lombardo venne trovato morto suicida, secondo le indagini, sparandosi con l’arma d’ordinanza e lasciando una lettera di denuncia: “Mi sono ucciso per non dare la soddisfazione a chi di competenza di farmi ammazzare e farmi passare per venduto e principalmente per non mettere in pericolo la vita di mia moglie e i miei figli che sono tutta la mia vita” e nella stessa lettera vengono spiegate le motivazioni del gesto e vengono indicate circostanze precise in cui si dice che “la chiave della mia delegittimazione sta nei viaggi americani”.

Tuttavia ancora oggi permangono molti punti che non convincono; e anche su questa vicenda drammatica si addensano dubbi e misteri. La fine di questo grande investigatore che godeva della stima dei magistrati del pool antimafia di Palermo appare il frutto di un progressivo indebolimento del suo ruolo investigativo e successivamente alla sua morte vi furono indagini al riguardo che non convincono.

La cosa più evidente in questo caso è la scomparsa di tutte le informazioni e i documenti che Lombardo custodiva e che erano le tracce investigative raccolte per anni, utili alle sue indagini. Infatti il figlio del maresciallo ha denunciato più volte questi fatti di tutta evidenza che non sono assolutamente confutabili insistendo da anni su una “borsa sparita” che avrebbe contenuto “documenti importanti sulla trasferta negli Usa” con il boss Gaetano Badalamenti e denuncia anche delle “stranezze” di una pistola che era impugnata in grembo, di un’ogiva “probabilmente falsa”, di “uno sparo non sentito” e una lettera d’addio “messa in auto solo dopo lo sparo, sul lato passeggeri”.

Ancora oggi il figlio, Fabio Lombardo, non ha creduto alla pista ufficiale del suicidio e oltre tutto critica aspramente “un’antimafia parolaia che è peggio della mafia” e naturalmente grida a gran voce la necessità che gli inquirenti si occupino, a distanza di tanti anni, “di cercare verità sulla morte di mio padre”.

Un dolore incolmabile che non riesce a lenire e continua a rammentare “tutte le lacune” di una vicenda non chiara a cominciare dal “buco dalle 20.30 alle 22.30 della sera del 4 marzo 1995”, in cui Lombardo fu trovato senza vita nella sua auto.

Sono stati diversi i militari dell’Arma ,sentiti dai magistrati e che affermarono di non avere sentito alcuno sparo, “pur stando molto vicini all’auto”. Mentre , invece, l’unico a sentire lo sparo fu il ‘capitano Ultimo’, il colonnello Sergio De Caprio, reso famoso due anni dopo per avere arrestato il boss mafioso Totò Riina.

“Alle 22.30 il capitano De Caprio sente un colpo secco e guardando avanti vede dei militari e chiede se gli è scappato un colpo. Loro lo guardano e dicono ‘ma noi non abbiamo sentito niente’”, ha spiegato Lombardo. Un brigadiere dice a De Caprio che c’è una persona in auto che si sente male.

Avvisano quindi il centralino e vengono avvisati gli ufficiali vari. Ma le testimonianze di quella sera continuarono e un militare in servizio, presso il battaglione Sicilia, afferma con sicurezza: “Escludo di avere visto il maresciallo Lombardo né in entrata né in uscita”.

Un sottotenente, “capo di picchetto al Battaglione Sicilia, dice di non avere visto il maresciallo Lombardo, anche perché non lo conosceva. Inoltre non ha neppure sentito esplodere un colpo di arma da fuoco. L’unico che sente un colpo di arma da fuoco secco è De Caprio. Come fa il sottotenente a non sentire a 30 metri di distanza il colpo mentre De Caprio che era a 70 metri di distanza lo sente?”.

Ancora Fabio Lombardo dice: “Nessuno ha visto entrare mio padre, un fantasma insomma. C’è un vuoto dalle 20.30 alle 22.30”. Un altro mistero irrisolto è quello della borsa scomparsa. “Si è sempre parlato della borsa di Borsellino e dell’agenda sparita o della borsa di Dalla Chiesa, ma mai della borsa scomparsa di mio padre”.

“All’interno di quella borsa – afferma il figlio del maresciallo – c’erano documenti su indagini e documenti sugli Stati Uniti”. Il boss Gaetano Badalamenti sarebbe stato pronto a parlare di fatti molto delicati soltanto con il maresciallo Lombardo e a raccontare la sua verità su molti misteri di Cosa nostra: dall’omicidio Pecorelli a quello del colonnello Russo, passando persino dai rapporti della Cia con la mafia corleonese.

Erano questi alcuni degli argomenti che il boss Tano Badalamenti aveva affrontato con il maresciallo Antonino Lombardo prima che questi si suicidasse il 4 marzo 1995. Per quanto riguarda la morte di quest’ultimo i pm del pool Stato-mafia Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, coordinati dall’aggiunto Vittorio Teresi, hanno anche riaperto l’inchiesta dopo che il figlio di Lombardo, Fabio, si è recato in Procura consegnando anche alcuni documenti.

E’ stata trovata anche una lettera, ricevuta da un collega di Lombardo che avrebbe raccolto le ultime confidenze del padre e a cui Lombardo avrebbe rivelato dell’esistenza di una missiva inviata da Badalamenti “pervenuta tramite il suo avvocato italiano, nella quale metteva in guardia su alcuni superiori, dicendo che per motivi politici sono legati a strani personaggi”.

Quella lettera del boss di Cinisi non fu mai ritrovata dal figlio Fabio Lombardo ma che vi fosse un rapporto tra il padre e lo stesso capomafia è cosa nota e assodata, testimoniato anche dai viaggi compiuti il 14 ottobre ed il 12 dicembre del 1994 , in cui il maresciallo si è recato due volte in missione negli Usa, accompagnato dal maggiore Mauro Obinu, per incontrare Badalamenti nel carcere di Fairton (New Jersey).

“Riina – raccontò allora il boss a Lombardo – è manovrato da forze esterne a Cosa nostra. È malato e stupido, ma non innocuo”. E alla fine di quel colloquio disse anche di essere disponibile a deporre ad alcuni processi italiani “seppur non come pentito”.

Di quel dialogo avvenuto vi sono le stesse deposizioni di Obinu il 4 novembre 1998 al processo Pecorelli: “Badalamenti spiegò che la manovra del suo arresto sarebbe stata attuata per dare spazio operativo agli emergenti corleonesi e ai loro nascenti contatti politici. Il capomafia ha espressamente citato la Cia come possibile soggetto attivo di tale iniziativa, in sintonia con centri di potere italiano”.

Nonostante la disponibilità dimostrata da Badalamenti, però, il terzo viaggio programmato per il 26 febbraio per prelevare il boss di Cinisi non verrà mai effettuato. Fabio Lombardo ha sempre affermato che il padre si sentiva “scaricato” dai superiori subendo in tal modo una sorta di delegittimazione che lo isolò portandolo in tal modo alla tragica morte.

Potrebbe interessarti

Lascia un commento