Giuseppe Di Vagno, l’eroico “gigante buono” del socialismo pugliese ucciso dai fascisti

Proprio in questi giorni si sono celebrate delle giornate di commemorazione del centenario della tragica morte di Giuseppe Di Vagno, parlamentare del Psi, che venne ucciso dai fascisti ancor prima di Giacomo Matteotti e prima della nascita della dittatura di Benito Mussolini.

Di Vagno era sorretto da un fervido anelito di fede socialista e venne soprannominato da Filippo Turati “il gigante buono” non solo per la sua statura ma anche per l’alto valore morale e politico di cui il deputato fu dotato.

Ancora oggi non è stato dimenticato dalla sua terra poiché fu un uomo di carisma, di sagacia e di intelligenza che seppe distinguersi come figura luminosa nel panorama del socialismo italiano conquistando la stima unanime dei maggiorenti del Psi.

Per tale motivo ottenne un meritato seggio parlamentare rappresentando con intransigenza i “pezzenti e diseredati” del Sud, le classi meno abbienti per tutta la sua breve vita che venne stroncata dalla violenza fascista a soli 33 anni nel settembre del 1921.

Furono tante le cose che riuscì ad ottenere dal Governo Giolitti durante il suo breve mandato e tra la più importante è da ricordare soprattutto l’avvio dei lavori per l’Acquedotto Pugliese.

La sua storia umana e politica è intrecciata alle vicende sociali della Puglia di quegli anni e fu profondamente legato da amicizia con Peppino Di Vittorio che ne pianse con dolore la prematura scomparsa.

Provenne da una famiglia contadina barese di condizione agiata e, quindi, ebbe modo di studiare presso il regio liceo ginnasio di Conversano trasferendosi a Roma dove conseguì la laurea in Giurisprudenza.

In tale facoltà venne particolarmente influenzato dal pensiero politico-giuridico di Enrico Ferri. A ventitré anni dopo la laurea che conseguì nel 1912, si iscrisse al Partito Socialista Italiano ed esercitò per poco tempo l’attività forense.

Dopo qualche anno tornò al suo paese natio e qui cominciò a promuovere le lotte popolari e bracciantili che scoppiarono in quegli anni fervidi e turbolenti di tensioni sociali.

Proprio nel 1914 fu eletto al consiglio provinciale di Bari e fu interventista prima dello scoppio della guerra, denunciando successivamente la natura imperialista della stessa.

Prese parte alla prima guerra mondiale col grado di caporale e, infatti, durante il conflitto fu “confinato” fra la truppa di stanza in Sardegna a causa delle sue opinioni.

Dopo la fine della guerra riprese con vigore la sua attività politica e sostenne con passione e impegno la causa dei braccianti, difendendo quelli che vennero imputati di reati ai danni dei latifondisti locali.

Nel Novembre del 1917 venne duramente attaccato nel Consiglio provinciale per la sua posizione di presunto disfattismo. In tal senso fu promossa una manifestazione di piazza che scatenò contro di lui l’ira dei gruppi nazionalisti.

Nel 1918 iniziò una fattiva e intensa collaborazione con i giornali progressisti “L’Oriente”, il “Gazzettino di Puglia” e il Giornale del Sud.

Dunque, per la sua attività politica, venne schedato presso il Casellario politico centrale proprio nel febbraio del 1918.

Appena finì il primo conflitto mondiale iniziò nuovamente a svolgere l’incarico di segretario dell’Ente provinciale di consumo, attività che aveva cominciato precedentemente alla guerra, provocando critiche e polemiche che gli furono rivolte da alcuni socialisti operaisti che ritenevano l’Ente un’istituzione borghese.

In questi anni riprese anche su scala più ampia la sua azione e i suoi interventi processuali a difesa di braccianti imputati di reati economico-politici in danno dei latifondisti locali.

Il suo modo di essere e il suo impegno politico furono sempre improntati al coraggio e alla passione per la causa dei lavoratori.

Nel 1919 condivise il programma meridionalista di Gaetano Salvemini e per tale motivo venne escluso dalla lista dei candidati del Partito Socialista Italiano alle elezioni politiche.

La querelle con il Partito fu presto superata e nell’ottobre del 1920 venne riconfermato come rappresentante socialista nel Consiglio provinciale e, dunque, sempre nello stesso anno, venne nominato direttore dell’organo della Federazione socialista di Bari Puglia Rossa.

Nel Febbraio del 1920 fu proclamato uno sciopero generale dalle organizzazioni proletarie di Conversano per protestare contro le violenze fasciste.

In questa occasione scoppiarono gravi e violenti incidenti popolari e, pur non avendo direttamente partecipato agli scontri, Di Vagno fu messo all’indice dai fascisti il quale lo indicarono come l’animatore delle violenze avvenute.

In tutta Italia veniva tollerata la prepotenza fascista e anche in Puglia le autorità governative fecero finta che nulla stesse accadendo ignorando le violenze degli squadristi fascisti.

Si giunse persino al punto di emettere un provvedimento grave nei confronti di Di Vagno che venne messo al bando della cittadinanza.

Egli, comunque, continuò la sua azione di organizzatore del movimento socialista nella regione in un clima rovente di continue violenze: i fascisti, l’8 maggio 1921, a pochi giorni dalla consultazione elettorale politica, incendiarono la Camera del lavoro di Conversano.

Di Vagno andò avanti nella sua attività politica e proprio il 15 maggio 1921 fu eletto deputato nella lista socialista della circoscrizione di Bari e Foggia con ben 74.602 voti preferenziali.

In Parlamento svolse la funzione di segretario della Commissione Giustizia. Il 30 maggio 1921 Di Vagno andò a tenere un comizio a Conversano anche con la precisa intenzione di infrangere la proscrizione fascista.

Proprio al termine della manifestazione, fu oggetto di un agguato portato avanti da una squadra fascista di Cerignola. In questo grave attentato trovano la morte un altro militante socialista, Cosimo Conte, e ben nove contadini, nonché morì anche il fascista Ernesto Ingravalle.

Altri tentativi di aggressione nei suoi confronti proseguirono e si verificarono nei giorni successivi a Casamassima, Noci e Putignano.

Pochi mesi dopo, mentre si stava recando a Mola di Bari per l’inaugurazione di una sezione, Di Vagno venne avvertito che si stava organizzando un nuovo agguato contro di lui. Tuttavia il deputato socialista non si tirò indietro e volle ugualmente raggiungere il 25 settembre 1921 il Comune anzidetto.

L’indomito parlamentare socialista non si arrese all’evidenza dei fatti della tragedia che stava per consumarsi e appena dopo il suo comizio in Piazza XX Settembre una squadra fascista lo aggredì con colpi di rivoltella e con una bomba a mano in via Loreto.

Ferito gravemente Di Vagno morì il giorno successivo nel locale ospedale civile. Gli assassini vennero scoperti ed erano un gruppo di squadristi, per lo più proveniente da Conversano, che erano guidati dal deputato di Cerignola Peppino Caradonna padre del futuro deputato MSI Giulio Caradonna.

Per l’omicidio furono rinviati a giudizio presso la corte di assise di Bari lo studente Luigi Lorusso, che venne accusato di essere l’autore materiale dell’omicidio e altri nove correi.

Nel dicembre del 1922 il processo non si svolse per assenza di prove e per l’amnistia firmata da Mussolini per i “crimini in favore dello stato fascista”, e gli imputati poterono tornare a Conversano accolti dai fascisti in modo trionfale.

All’indomani della caduta del regime il procedimento penale venne riaperto e, dopo alterne vicende, si chiuse il 31 luglio 1947.

La Corte di Assise di Potenza, escludendo la premeditazione, emise condanne varianti fra 110 ed 118 anni di reclusione per il solo omicidio preterintenzionale, provocando una veemente e vibrante protesta da parte delle forze politiche progressiste.

Gli imputati, per ironia della sorte, beneficiarono dell’amnistia siglata dal Ministro Guardasigilli del Pci ,Palmiro Togliatti, e, quindi, ci fu un grottesco colpo di spugna con i colpevoli che non scontarono il carcere neanche dopo la caduta del fascismo.

Ebbe un figlio, noto come Giuseppe Di Vagno jr, che nacque dopo la sua morte, che svolse anche lui l’attività di  parlamentare del Psi per vent’anni dal 1963 al 1983.

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