Giuseppe De Felice: cent’anni fa moriva il socialista sindaco del popolo

Cent’anni fa morì Giuseppe De Felice Giuffrida, promotore del movimento i Fasci siciliani, che fu anche eletto deputato socialista, nonché presidente del consiglio provinciale e ricoprì, per tanti lustri, il ruolo di sindaco del capoluogo etneo. Nacque in una famiglia sottoproletaria da una famiglia con trascorsi burrascosi e fu affidato giovanissimo all’ospizio comunale dove si formò ad un’educazione di fedeltà ai valori della monarchia e del cattolicesimo.

Trovò un lavoro di impiegato come archivista nella prefettura cittadina. Cominciò a leggere e studiare con notevole passione e conciliò il suo impegno lavorativo con la pubblicazione di un giornale Lo Staffile che divenne molto ostile al governo. Il prefetto gli intimò di abbandonare la direzione del giornale. De Felice, però, non dismise di trattare le tematiche repubblicane e socialiste e portò avanti attacchi all’amministrazione comunale che lo condussero  alla risoluzione del suo rapporto di lavoro. Quindi dovette arrangiarsi con modeste occupazioni: suonatore di bombardino, lavorante tipografo, mercante di vino, piazzista di macchine da cucire.

Si sposò giovanissimo a soli diciassettenne anni ed ebbe quattro figlie. Nel frattempo nacque un movimento democratico e popolare nel Catanese e De Felice visse in questi anni la formazione culturale e politica sino al punto di divenire il più rappresentativo esponente di questo sommovimento. Anche a Catania nacquero inoltre le società operaie di mutuo soccorso che furono organizzate e composte soprattutto da lavoratori delle manifatture ed artigiani. Si fondò, altresì, un giornale, L’Unione repubblicana, chiamato poi per evitare la chiusura e la censura, L’Unione, in cui si raccolsero la voce di questa opposizione dei repubblicani, radicale e socialisti.

De Felice condusse studi irregolari e, comunque, riuscì, a conseguire prima il diploma di maestro e poi la laurea in giurisprudenza divenendo procuratore legale. Fu influenzato nella sua formazione culturale dal poeta M. Rapisardi e dal pensiero di N. Colajanni, che sviluppò un’idea del socialismo fondata sul positivismo e sul gradualismo non marxista. Ebbe notevoli contatti con il romagnolo Andrea Costa, il padre dell’anarchismo e del socialismo italiano. Divenne direttore dell’Unione e, naturalmente, convinto socialista nonché repubblicano. Si mise in testa un progetto a cui dedicò la sua esistenza che fu la realizzazione di una gestione democratica della cosa pubblica e dell’ente locale, in particolar modo il Comune di Catania.

In quel momento storico verso il 1880, il Comune fu colpito da aspre lotte interne, dal disordine amministrativo e da continue elezioni. Fu ,quindi, eletto consigliere comunale nel 1885, si impegnò nell’elaborazione di un programma che includesse anche i cattolici e che godesse di un sostegno popolare. Conquistò la maggioranza del Consiglio comunale nel 1889 con una lista composita, che, comunque, ebbe la netta opposizione di Crispi e ostacoli da parte del prefetto.

L’ostilità della prefettura si conclamò con l’annullamento delle più importanti deliberazioni comunali e, poi, nel luglio 1890 si giunse allo scioglimento del Consiglio e la nomina di un commissario regio. De Felice fu il maggiore animatore di una coalizione, venendo anche eletto che nel 1889 e che conquistò la maggioranza nel Consiglio provinciale.

Fu persino arrestato per sottrazione di documenti, ma fu presto rilasciato e assolto. Mentre non fu assolto da un’imputazione per diffamazione contro il nuovo sindaco Giuseppe Carnazza Puglisi e nel settembre 1891 gli furono comminati tredici mesi di carcere ai quali si sottrasse espatriando a Malta. De Felice e Carnazza si scontrarono per un trentennio nella vita politica catanese.

Fu delegato al XVII congresso delle Società operaie affratellate (Napoli, giugno 1889) e si schierò con Andrea Costa su posizioni intrise di impronta collettivista.

Nel 1891, il Fascio dei lavoratori di Catania fu organizzato da De Felice con struttura intercategoriale di tipo camerale che avrebbe messo insieme i lavoratori delle realtà sia urbane e sia rurali. De Felice divenne in poco tempo il creatore di uno strumento di intervento nella lotta politica e amministrativa che comportò l’alleanza tra piccola borghesia e ceti popolari contro le vecchie classi dominanti. L’esilio a Malta durò poco e fu eletto deputato nel 1892 nel secondo collegio di Catania, rientrò in patria accolto, secondo una relazione prefettizia del giugno 1895, da una “tale imponente manifestazione che non si ricorda l’eguale”.

De Felice divenne il capo del movimento socialista e popolare siciliano e favorì la nascita della fondazione del partito socialista in Sicilia e, anche se i Fasci siciliani si mantennero autonomi, si pose il problema della loro adesione alla nuova formazione politica nazionale.

Nel partito socialista siciliano si delinearono due posizioni: la prima “autonomista” di De Felice che propugnò indipendenza per i fasci con statuti ed organizzazioni indipendenti dal P.S.I.; l’altra, invece, di Garibaldi Bosco, palermitano e dirigente del Fascio di Palermo, che sostenne la necessità di un legame stretto con il socialismo nazionale. Prevalse la posizione di quest’ultimo nel maggio del 1893 anche con valida mediazione del De Felice propose l’”aggregazione” con il P.S.I. I fasci raggiunsero nell’isola i ventimila aderenti, in gran parte furono contadini e dichiararono il “carattere puramente socialista”, accettando “la lotta di classe come mezzo di organizzazione e di resistenza”.

Intanto in Italia si pose il tema della successione al governo Giolitti e De Felice immaginò la possibilità di un intervento congiunto di radicali e socialisti nella nuova situazione politica. Furono anni di repressione poliziesca sui fasci e fu nominato Crispi alla presidenza del Consiglio (novembre 1893). In tal senso si attivò una risposta popolare con il violento e brutale intervento dell’esercito, che prese rapidamente l’aspetto della rivolta in cui si inserì, tra le cause, il cattivo raccolto del 1893 con la caduta del prezzo del grano e un elevato dazio che sosteneva i prezzi al consumo.

In Sicilia vi fu uno stato d’assedio e De Felice tentò di invitare il movimento alla calma per evitare la repressione. Ma l’intervento dello Stato nel 1894 portò ad un bagno di sangue con sessanta morti e centinaia di feriti, con centinaia di arresti e con lo scioglimento dei fasci. Furono arrestati i membri del Comitato centrale socialista siciliano, fra cui anche del Felice. Il deputato socialista fu condannato a diciotto anni di reclusione per cospirazione contro i poteri dello Stato ed eccitamento alla guerra civile e rinchiuso nel mastio di Volterra.

Cominciò una campagna per la liberazione del deputato socialista al grido di “viva De Felice”.  Finalmente dopo due anni e due mesi di prigione, fu rimesso in libertà per amnistia nel marzo 1896. Tornato a Catania fu accolto trionfalmente e fu convalidata la sua elezione alla Camera che matenne dal 1897 al 1900.  Nel marzo 1896 votò la fiducia al governo Di Rudinì,  giustificando questa decisione contraria alla scelta dei deputati socialisti come un avversione ai metodi crispini.

Si dimise dal partito nel febbraio 1897 per i dissensi insorti sulla questione delle alleanze. Si pronunciò a favore della spedizione Cipriani in appoggio alla rivolta di Candia contro l’Impero turco e partecipò all’operazione. Mentre si oppose al governo Pelloux, sino al punto di fare sparire le urne nel giugno 1899 onde impedire la votazione contemporanea di quattro leggi.

De Felice fece numerosi articoli contro la degenerazione della politica e denunciò delle connessioni tra mafia e potere politico in Sicilia. Nell’ottobre 1900 fu condannato a tredici mesi per un suo articolo sull’Avanti! Scrisse numerosi saggi su svariati temi tra cui, vanno ricordati:  Popolazione e socialismo (Palermo 1896), Mafia e delinquenza in Sicilia (Milano 1900) e Principi di sociologia criminale. Criminalità e socialismo (ibid. 1902).

De Felice individuò la nascita della mafia negli elementi economico-sociali di arretratezza della società siciliana con la ripartizione della proprietà fondiaria) e auspicò che il fenomeno si dovesse combattere con lo sviluppo di una solidarietà collettiva che favorisse le trasformazioni sociali. De Felice cominciò a concepire un’azione politica e sociale più moderata e dopo il governo Pelloux come alcuni settori socialisti pensò e si convinse che Giolitti fosse “… molto meno reazionario dei suoi predecessori”. Fu così che al rientro a Catania, proprio nel marzo 1901, si impegnò nella formazione di una lista unitaria e di un programma con la tacita complicità di Giolitti. Le elezioni amministrative del giugno 1902 furono un trionfo per la lista popolare che conquistò quarantotto seggi su sessanta e De Felice divenne sindaco e inaugurò un periodo che incise profondamente nella storia della città.

De felice si pose sempre alla guida di un blocco di ceti produttivi urbani: artigiani, borghesia, esportatori, burocrati per cogliere le opportunità poste dal processo di sviluppo capitalistico, di modernizzazione della città, di valorizzazione dei suoi traffici, di sostegno della sua economia sull’hinterland rurale”.

L’amministrazione De Felice fu caratterizzata da forte spinta innovativa e così si realizzò la municipalizzazione del pane, gli sgravi sui dazi d’entrata delle materie prime di uso industriale, la sovvenzione alle industrie di nuova installazione, con un frequente ricorso al referendum. Tutto ciò consentì un forte coinvolgimento popolare nella gestione del comune. Due autorevoli giudizi possono aiutare a comprendere il personaggio e il movimento da lui ispirato.

Anna Kuliscioff scrisse, in un’acuta lettera, a Turati nel 1899: “De Felice è la sintesi, l’espressione vera e genuina, delle qualità e dei difetti di quella immensa popolazione. Anzi, direi ch’egli come tipo dell’ambiente riassume in sé in modo esagerato le tendenze basse ed elevate; perché il bello e il brutto si toccano e si confondono là con un’armonia meravigliosa… De Felice è il vero viceré; i baroni e i principi lo ossequiano, i facchini del porto lo abbracciano, gli operai delle zolfare si rivolgono a lui come al redentore, le ragazze allegre lo festeggiano al suo passaggio”.

Dopo avere dato il suo appoggio alla guerra libica nel 1912 De Felice appoggiò la scissione riformista schierandosi con i socialriformisti di Ivanoe Bonomi e Leonida Bissolati. Alimentò una dura polemica con l’area socialista della Camera del lavoro che raggiunse toni aspri e insolubili. Poi negli anni successivi si accentuò con la linea interventista propugnata dal De Felice contrario alla linea nazionale socialista.

Nel dopoguerra continuarono i contrasti e il blocco sociale defeliciano non fu capace di rappresentare con efficacia le potenti pulsioni antilatifondistiche che affiorarono nel movimento contadino Catanese tra il 1919-1920. De Felice presentò un progetto di legge nel marzo 1920 assai moderato che andò direzione della formazione di una diffusa piccola proprietà contadina. La crisi sociale del dopoguerra con la galoppante inflazione e la penuria dei beni di prima necessità travolse l’amministrazione della città che non riuscì a controllare la vivace e a volte violenta protesta popolare.

A ciò si aggiunse la sua revisione ideale e politica che nella primavera del 1919 lo portò a ricomporre l’antica polemica con  con Carlo e Gabriello Carnazza. Si fece quindi un’alleanza del Blocco popolare con la destra e si sancì il riassorbimento da parte delle forze moderate dell’area di De Felice. Questa alleanza ebbe dal 1919 avversari i socialisti, i popolari e gli ex combattenti e sopravvisse ancora per poco per venire infine travolta dal fascismo. De Felice morì a Catania il 20 luglio 1920.

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