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Foibe, un eccidio dimenticato

by Rosario Sorace

Le foibe nel dopoguerra sono state una pagina di storia che per tanti anni è stata rimossa e occultata proprio per la precipua volontà della vulgata storiografica di voler nascondere le deportazioni, le violenze e lo sterminio delle popolazioni di confine.
In tal modo si è voluta accreditare per decenni  l’immagine falsa di Tito, presidente della Jugoslavia, come quella di un dittatore di un regime comunista illuminato e buono, che faceva parte dei paesi comunisti non allineati con il Patto di Varsavia e, quindi, per ragioni geopolitiche amico dell’occidente e della Nato.
Si tratta in realtà di quell’area geografica da sempre contesa e di confine con l’Italia anche per il ruolo ambiguo e solidale di appoggio al Pci che sostenne con il solito ascarismo antinazionale le ragioni degli slavi e manifestò tiepidezza verso tutto quello che accadde agli istriani e alle popolazioni di confine nell’area friulana.
In tale contesto un antefatto è sicuramente quello che avvenne nel 1945 con l’eccidio di  Porzus (Udine) dove furono trucidaci 18 partigiani della Brigata Osoppo, composta da cattolici e azionisti, ad opera di altri partigiani comunisti della brigata Garibaldi comandati da Mario Toffanin (Giacca) poiché si opponevano all’egemonia della forze di Tito sul movimento di resistenza presente in quella regione. Tra gli uccisi in due giorni vi furono Guido Pasolini, fratello del poeta Pier Paolo, e Francesco De Gregori, zio del cantautore.
Gli autori di questa ignobile strage vennero processati e condannati ma si sottrassero al carcere rifugiandosi in Jugoslavia e Cecoslovacchia. Poi i reati furono estinti da un’amnistia intervenuta nel 1959.
Tito pretendeva l’annessione dei territori di Trieste e del Friuli ma anche il fatto che le formazioni partigiane passassero sotto il dominio dell’esercito slavo. Ma i partigiani osovani si opposero e allora il gap, i nuclei comunisti per la guerriglia urbana, fucilarono 18 partigiani dopo aver ricevuto precise disposizioni da Palmiro Togliatti nell’estate del 1944 tramite Vincenzo Bianco, esponente del Pci per quell’area, di favorire in tutti i modi l’occupazione del territorio giuliano da parte delle truppe di Tito. Per anni la sinistra ha cercato con imbarazzo di rimuovere questa vicenda gravissima che avvenne il 7 febbraio del 1945 e che screditava le pattuglie partigiane dalla difesa degli interessi nazionali e si tentò di  addebitare maldestramente la strage a un’iniziativa personale del comandante dei Gap .
Dopo 70 anni l’Anpi, l’Associazione nazionale partigiani d’Italia, ha accettato di partecipare alle commemorazioni che si organizzano in memoria della strage.
Bisogna ricordare che quegli anni sono stati contraddistinti non solo dalla lotta tra fascismo e antifascismo ma in qualche modo sono stati anche segnati dalla contrapposizione all’interno del fronte resistenziale tra le formazioni comuniste e le componenti anticomuniste. Oggi finalmente si tenta di fare chiarezza in tutti i suoi aspetti su quest’eccidio che resta una pagina vergognosa e violenta su cui la vulgata della storia della resistenza non ha mai fatto piena luce.

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