L’ex Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Palermo, Roberto Scarpinato, ha parlato di fronte alla Commissione Regionale Antimafia presieduta da Claudio Fava sulla strage di via D’Amelio avanzando una serie di ipotesi esplosive a cui seguiranno sicuramente forti polemiche: “Il depistaggio è ancora in corso, Graviano scrive sotto dettatura. Borsellino fu ucciso perché aveva capito troppo”.
Su quel terribile attentato del 19 luglio, Scarpinato afferma che Paolo Borsellino “sapeva ci fossero entità esterne a cosa nostra, pezzi deviati dello Stato dinnanzi ai quali capisce di non avere scampo e annota nell’agenda rossa. Doveva essere ucciso in fretta prima che rivelasse il piano eversivo”.
L’ex Procuratore continua con convinzione, con alle spalle una lunga esperienza acquisita proprio affiancando Falcone e Borsellino nel pool antimafia di cui faceva parte: “Quel che mi angoscia non è solo ciò che è successo allora, ma ciò che succede ancora: il depistaggio è ancora in corso”.
La Commissione antimafia siciliana sta indagando sugli aspetti politico-istituzionali del depistaggio di via D’Amelio e proprio sul caso delle presunte rivelazioni di Maurizio Avola, il pentito che si auto-accusa della strage, in un libro scritto dal giornalista Michele Santoro, e parlando di questa pubblicazione Scarpinato nutre forti dubbi che sia la verità quel che oggi l’ex collaboratore di giustizia rivela: “Avola, adesso, dice che via D’Amelio sta dentro Cosa nostra e nient’altro che Cosa nostra. Ho letto il libro di Santoro e sono rimasto molto colpito: Avola è quello che sin dall’inizio della sua collaborazione ha rivelato di Enna (dove avvenne nel 1991 l’incontro tra ‘ndrangheta, Cosa nostra, massoneria e servizi segreti deviati, in cui si deciderà, secondo Scarpinato, la strategia di destabilizzazione attraverso le stragi, ndr), mentre nel libro parla di un altro incontro. Com’è possibile che non racconti quello che ha messo a verbale da sempre? La sua versione fuga ogni dubbio di interventi al di fuori di Cosa nostra, compresa la presenza di infiltrati, perché lui era lì travestito da poliziotto, quindi il cerchio si chiude. C’è da chiedersi: è un’operazione ingenua o qualcuno ha deciso di far suicidare processualmente Avola? Quello che colpisce è che questa storia non è finita”.
Sempre a proposito del depistaggio, secondo Scarpinato, anche nelle ultime dichiarazioni del boss Giuseppe Graviano: “Capisco voglia difendersi, ma perché si fa carico di Aiello (ex agente dei Servizi deviati ritenuto killer di Stato, ndr) e indica come possibili esecutori delle stragi soggetti morti, o parla dell’agenda rossa che sarebbe stata trafugata da un magistrato? Questa sembra la riedizione del Corvo, Graviano sembra scriva sotto dettatura dei servizi“, e, quindi, sono tanti gli interrogativi che il magistrato solleva di fronte alla Commissione, e nel contempo nell’audizione fornisce informazioni rievocando il contesto storico e politico in cui maturò l’attentato del 19 luglio 1992.
E questa sua audizione è durata più di tre ore con una ridondanza di fatti, dettagli e informazioni che sono appunto il frutto di una lunga carriera alla procura di Palermo, dove operò e rimase anche dopo il 19 luglio.
Chiese il trasferimento, ottenendolo alla Procura Nazionale Antimafia ma appena dopo la strage ritirò quella stessa richiesta “per restare lì dove si moriva”, diceva Scarpinato.
Il suo intervento riprende nei particolari tutto quel bagaglio investigativo che Scarpinato già aveva ipotizzato nell’inchiesta Sistemi criminali, che era stata archiviata nel 2001 e che rappresenta l’origine e la radice di tutte le indagini sulla Trattativa.
Scarpinato ha ricordato interrogatori, indagini e intercettazioni che partono persino dalla caduta del muro di Berlino e dalle protezioni di cui alcuni apparati dello Stato avevano goduto fino ad allora. Appena venute meno quelle, si sviluppò un gruppo, una “supercosa” come l’ha chiamata Riina, che era composta da ‘ndrangheta, Cosa nostra, massoneria, destra eversiva e servizi segreti deviati che avrebbe messo in campo un vero e proprio “War game”, all’interno del quale è rimasto risucchiato Paolo Borsellino.
La vicenda di Via d’Amelio mostra il contesto di un sistema che puntava a destabilizzare lo Stato per evitare il pericolo incipiente di un governo con la sinistra, e, quindi, secondo il magistrato, come Cosa nostra si fosse fatta braccio armato di altri interessi.
“Fino ad allora gli interessi di tutti convergevano, nel caso di Via D’Amelio manca invece l’allineamento degli interessi”, spiega Scarpinato. In quel momento, infatti, poi affiora com’è è noto “in Parlamento era prevalente una maggioranza garantista contraria a convertire in legge quel decreto (proprio il decreto antimafia voluto da Falcone che introdusse l’ergastolo ostativo) che scadeva il 7 agosto. Calò aveva comandato a tutti di stare ad aspettare, -continua Scarpinato-perché era probabile che il decreto non fosse convertito. Riina decide che non può attendere e che Borsellino deve essere ucciso prima”.
Quindi il progetto della strage di Via D’Amelio doveva essere realizzato urgentemente e subisce un’accelerazione improvvisa, di cui Riina si assume la responsabilità ma che non riesce a spiegare sino in fondo. Infatti, secondo Scarpinato, sta proprio in questa mancanza di forti moventi che è evidente come Cosa nostra si sia mossa per ordini provenienti da altri e di fatto contravvenendo ai propri interessi che consigliano prudenza e cautela. C’era una grande fretta di uccidere Paolo Borsellino prima del 7 agosto e Scarpinato spiega le motivazioni.
“Perché Borsellino aveva capito. E se avesse messo uno dietro l’altro le cose che aveva capito, lì scoppiava la bomba. Aveva capito tante di quelle cose. Se (Borsellino, ndr) –prosegue il magistrato- avesse detto, cosa sarebbe successo in Italia? Doveva essere ucciso in fretta prima che rivelasse il piano eversivo. Falcone, invece, poteva essere ucciso con facilità a Roma, mentre si preferì una strage molto più complessa, sempre per creare un clima di destabilizzazione”.
Proprio sulla strage di Capaci, secondo Scarpinato, l’omicidio di Falcone maturò perché il giudice “indagava su Gladio: il suo ufficio era sotto sequestro dopo la strage di Capaci, nella sua stanza al Ministero si introducono ignoti che accendono pc e guardano file, solo alcuni però, che riguardavano Gladio e l’omicidio Mattarella: posso testimoniare in prima persona che Falcone aveva concentrato attenzione su Gladio e sull’assassinio del fratello del presidente della Repubblica, ma anche di quello di Pio La Torre”.
Ritornando sulla “supercosa” Scarpinato dice che era fatta di “apparati dello Stato che si sono mossi in base a interesse non solo nazionali ma anche internazionali”, e, quindi, ha sottolineato il magistrato che dopo la caduta del muro di Berlino “si tratta di una difficile mediazione, difficile governare tutto questo, aprendo scontro interno con armi di ricatto molto potenti. Credo che Borsellino e Falcone siano rimasti vittime di un gorgo grande, di un War game”.
Proprio questo War game era stato compreso assai bene dal magistrato ucciso: “Sapeva ci fossero entità esterne a cosa nostra, pezzi deviati dello Stato dinnanzi ai quali capisce di non avere scampo e annota nell’agenda rossa”.
Infatti a rafforzare questa consapevolezza raggiunta da Borsellino è stato Leonardo Messina che era “a conoscenza di tutto il piano di Enna, tra i primi che lo illustra nei dettagli. E Messina ammette di avere rivelato a Borsellino nelle linee essenziali il programma di Enna”.
In tal senso la drammatica richiesta fatta da Borsellino alla moglie, di abbassare le tende “per non essere spiato da Castello Utveggio, sede dei servizi segreti, e come racconta Agnese avrà i conati di vomito, per avere saputo che Subranni (Antonio, ex comandante dei Ros,) era ‘punciutu’ (affiliato a Cosa nostra, )”.
E poi alla fine dell’audizione il magistrato ripercorre quella drammatica giornata del 19 luglio con lo scenario caotico di via D’Amelio, poco dopo l’esplosione: “Il capitano Arcangioli (indagato e poi prosciolto per non avere commesso il fatto, ndr) prende la borsa e percorre 60 metri fino a via Autonomia siciliana, quello che è inspiegabile è che ritorna indietro con la borsa, dalla macchina arriva un ritorno di fiamma, e rimette la borsa dentro, una volta spento il fuoco. Di certo l’agenda viene sottratta nei pochi minuti dopo l’esplosione con un coordinamento perfetto, ma non è un’azione protocollare dei servizi: c’era l’agenda rossa e quella marrone, per esigenze di Stato si prende tutto e poi si vede, mentre l’agenda marrone resta al suo posto”.