L’esercizio del potere gerarchico nella amministrazione pubblica può sfociare non solo in atteggiamenti autoritari ma molto spesso anche nell’abuso.
E’ questo quel che sarebbe successo in Campania, dove, Enrico Coscioni, braccio destro della sanità di De Luca “intimidì i manager di Asl Campania. Violenza privata” e secondo i giudici che lo hanno condannato a due anni “si è trattato di condotte dotate di rilevanza penale in quanto idonee — per il ruolo ricoperto dal soggetto attivo, per i toni usati, le modalità e i successivi accadimenti — a coattare significativamente la libera capacità di autodeterminarsi delle persone offese, tentando di costringerle (in un caso riuscendovi) a rassegnare le proprie dimissioni”.
Sono state pubblicate le motivazioni della sentenza relative al procedimento a carico di Enrico Coscioni, che è stato il massimo collaboratore in materia di sanità del governatore Pd della Campania, Vincenzo De Luca e che oggi ricopre la carica di presidente Agenas, l’agenzia nazionale dei servizi sanitari regionali.
Coscioni avrebbe minacciato gli ex manager delle Asl campane e i giudici della corte d’Appello di Napoli, presieduta da Maria Grassi, che hanno rovesciato in tal modo l’assoluzione dall’accusa di tentata concussione. E così Coscioni è stato condannato in secondo grado, non definitivamente, per tentata violenza privata.
Gli episodi descritti nel processo sono relativi al 2015 quando Coscioni era stato nominato a consigliere per la sanità di De Luca ed avrebbe esercitato pressioni non lecite verso tre commissari straordinari delle Asl campane.
L’obiettivo era quello di portare i manager alle dimissioni per poi sostituirli con persone più vicine al nuovo corso politico di De Luca, appena eletto presidente della Regione.
Nel caso in cui non se ne sarebbero andati, si sarebbe avvito nei loro confronti accertamenti e contenziosi legali come ritorsioni. Ci sarebbe stato un labile confine tra la legittima esigenza dello spoyl system e la commissione di un reato.
Secondo i magistrati il tono sarebbe stato proprio quello di una minaccia e, quindi, avrebbe superato il lecito. “De Luca non ti vuole”, ha affermato in udienza Agnese Iovino riferendo il colloquio intercorso con Coscioni. In quel momento la stessa manager non denunciò i fatti e si dimise da commissario Asl Na 2.
“Casillo non ti vuole, i sindaci non ti vogliono”, profferì invece Coscioni a Salvatore Panaro, commissario Asl Na 3. Quest’ultimo invece non assecondò la richiesta e rimase al suo posto.
Tuttavia nei confronti di Panaro venne resa efficace una delibera di sospensione dall’incarico che poi divenne una vera e propria revoca dell’incarico.
Panaro ha cosi denunciato tutto penalmente e si è costituito parte civile nel procedimento. Ora la sentenza gli riconosce un risarcimento per il danno che sarà stabilito in sede civile.
“Beninteso – affermano i magistrati nelle 19 pagine di motivazioni – non è qui in discussione la piena discrezionalità dell’autorità politica di nominare e revocare tali soggetti, atteso il carattere fiduciario dell’incarico, ma soltanto la condotta del Coscioni funzionale a intimidire le tre parti offese, servendosi di toni lesivi della loro professionalità (“stai qui per caso”) e prospettando loro conseguenze negative nel caso in cui non avessero accettato di dimettersi. Tali comportamenti integrano, a giudizio della Corte, il delitto di violenza privata essendo evidente la componente di intimidazione esercitata dall’imputato nei riguardi delle tre parti offese (la terza era Patrizia Caputo, commissaria dell’ospedale Cardarelli di Napoli, ndr) affinché si dimettessero contro la loro volontà e senza che vi fosse nessun’altra ragione giustificatrice, se non la volontà dei vertici di sostituirle con persone più vicine allo schieramento politico uscito vincitore dalle elezioni”.
I giudici hanno condiviso solo parzialmente l’impianto dell’assoluzione di primo grado che si fondava su un unico elemento: Il reato di concussione non sussiste, perché Enrico Coscioni non ricopriva la carica di pubblico ufficiale.
Mentre questa presupposta è stata in seguito letteralmente frantumata dai giudici d’Appello che si riferiscono invece a una visione più ‘moderna’ del pubblico ufficiale, che contempla anche questa nomina e il ruolo del cardiochirurgo di Salerno.
E quindi, secondo i magistrati, sarebbe stato commesso il reato di violenza privata perché per contestare una concussione si deve avere la prova che le parti offese fossero state costrette “a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità”.
Quindi Coscioni non avrebbe mai chiesto nulla per sé o per altri, e neanche avrebbe cercato di convincere i tre commissari della sanità a dimettersi al fine di procurarsi un avanzamento di carriera.
La Corte d’Appello ha deciso quindi una pena più lieve rispetto ai quattro anni chiesti dalla Procura generale. L’avvocato Gaetano Pastore, difensore di Coscioni ha fatto sapere che ricorrerà in Cassazione.