Dobbiamo sempre accogliere con gioia gli interventi carichi di passione e forza per ciò che si ama, per quello cui avvertiamo un legame indissolubile, oltre la materialità e la contiguità.
Riconoscere senza equivoci che, di questo specifico afflato verso la nostra Isola, gli interventi del direttore e dell’editore de L’Unione Sarda di domenica scorsa non sono di certo privi è per noi un dovere.
Per rendere un’iniziativa di tale portata e impegno, però, non è sufficiente infiltrare ciò che si argomenta con la passione, ma è necessario che l’argomentazione stessa non faccia acqua da tutte le parti, o almeno alcune.
Crediamo nell’onestà intellettuale del direttore e del suo editore, meno su chi ha fornito i dati e le prospettive in gioco a persone che, grazie alla loro capacità di comunicare e scrivere, cercano di erigere un muro concettuale.
La prima pagina del giornale di domenica L’Unione Sarda compie un assembramento di dati, non omogenei per tipologia, omettendone altri.
Fa effetto pensare a un cavo “guinzaglio” per l’Isola, come a relegarla a cagnolino addomesticato, parimenti è altrettanto fuorviante accomunare rigassificatori alle fonti energetiche rinnovabili.
In verità i cavi collegati con la Penisola italiana, che consentono alla Sardegna una condizione di sicurezza energetica sono già da diverso tempo due, in più vi è un terzo cavo, con il quale garantiamo noi la sicurezza alla Corsica.
Il quarto cavo in realizzazione, il Tyrrhenian Link, cui si attribuisce la funzione di “guinzaglio”, nei fatti aumenterebbe la sicurezza energetica e le potenzialità dell’Isola medesima.
Potenzialità cui imprenditori locali, come l’editore del giornale, avrebbero il compito di avvalersi per portare ulteriore beneficio economico in questa Terra, ferma alle edificazioni lungo le coste e alle industrie ad elevato impatto ambientale.
Il consumo del territorio attribuito agli impianti eolici e fotovoltaici, attuali e futuri, non è comparabile con lo scempio compiuto negli anni da imprenditori edili e industriali, cui nessuno ha osato porre freno, se non il Presidente Soru con un’iniziativa discutibile, cui era necessario un semplice perfezionamento, non certo l’abrogazione.
Impianti ad impatto ambientale nullo, una volta rimossi restituirebbero i siti su cui sorgono intatti e totalmente utilizzabili.
Per quanto riguarda invece le industrie a elevato impatto ambientale, con cui si ingenerano danni irreversibili sul territorio e di conseguenza nella popolazione, avremmo dovuto pretendere, da chi chiama alle “armi” gli abitanti dell’Isola, un’iniziativa ben più forte e duratura.
Su un punto concordiamo con l’editore, ovvero l’utilizzo di questa energia elettrica, prodotta da fonti rinnovabili, per ottenere idrogeno.
Questo aspetto però non confligge affatto con la necessità di installare impianti fotovoltaici ed eolici, quanto con l’idea folle dei rigassificatori, varati dalla presidenza Pigliaru, nonché con la produzione di gas petrolifero liquefatto (Gpl), distribuito nell’Isola dai camion che escono dalla SARAS.
Capiamo che un salto di paradigma, per quanto riguarda lo sfruttamento delle fonti energetiche, le modalità di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica, ingeneri un rigetto.
Il tipico rigetto di ciò che ancora non si conosce, lo stesso rifiuto apposto al mutamento di qualunque corso, indipendentemente dal fatto specifico.
Questo salto di paradigma dovrebbe invece costituire la via per recuperare, sul piano industriale e lavorativo, ciò che si è perso nei decenni passati, in cui ci si è attenuti sempre e solo al modello industriale ottocentesco, che sopravvive sull’Isola tra minacce e finanziamenti pubblici determinati dalle emergenze.
Negli anni novanta quest’Isola era citata nei quattro angoli del pianeta e non solo per la sua bellezza, ma grazie ad una iniziativa imprenditoriale con cui abbiamo scoperto internet.
Intorno ad essa stava sorgendo un mondo di laboratori informatici, unici in Europa, che attirava professionisti del campo, dalle parti più avanzate del Globo.
Abbiamo perso quell’opportunità, che avrebbe potuto permetterci di convivere con la bellezza della nostra Isola, senza dover rinunciare a una professione e al reddito necessario, per vivere bene il breve tempo a disposizione.
Nei confronti di quell’iniziativa, tanti politici e imprenditori ottocenteschi, abituati ad esser nutriti dai finanziamenti regionali hanno posto le barriere, sollevato barricate, non diversamente da ciò che alcuni vorrebbero fare oggi.
Non vi è alcun “S.O.S. Sardegna” carissimo Emanuele Dessì e gentile Sergio Zoncheddu, almeno non in merito all’argomento per cui è stato paventato il soccorso.
La vera emergenza della nostra Isola, oltreché intellettuale, per quanto riguarda onestà e indipendenza, è relativo all’inquinamento di siti industriali avvelenati e persi per sempre, che continuano a mietere vittime sul territorio.
Un S.O.S. dovrebbe essere lanciato per la povertà che genera depressione e violenza, cui non la produzione elettrica in sé, con l’eolico o il fotovoltaico, potrebbe scongiurare, quanto lo sviluppo di una economia industriale, capace di essere partecipe di questa medesima produzione, nella sua realizzazione e mantenimento.
In ultimo non possiamo dimenticare l’emergenza generata dalla fuga dei nostri figli, che una volta istruiti nelle scuole e nelle università dell’Isola, non trovano spazi per poter vivere dignitosamente a meno di non asservire questo regime feudale ancora in piedi.