La Consulta dovrà prendere una decisione assai delicata che deroga al regime carcerario dei boss mafiosi al 41-bis poiché è stato presentato un ricorso alla Corte Costituzione da un detenuto che voleva avere colloqui via Skype con la figlia di 5 anni.
Potrebbe essere l’ennesimo colpo mortale al regime del carcere duro e il 9 Marzo sarà trattato in udienza pubblica dopo il rifiuto di potere avere contatti video con la bambina deciso da Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria. Il regime carcerario del 41-bis è stato istituito proprio per eliminare ogni contatto con l’esterno e ora la Corte Costituzionale è chiamata a stabilire se i boss di mafia possono vedere la famiglia via web.
Infatti, tali conversazioni via Skype sono stati introdotti nelle carceri con l’emergenza Covid per consentire la diffusione del contagio e al tempo stesso per garantire il diritto del detenuto al mantenimento delle relazioni affettive. Però la Polizia penitenziaria aveva denunciato la difficoltà a controllare i detenuti, durante le chiamate via Skype, parlassero davvero solo con i figli minori o anche con altre persone.
Le norme previste da un decreto del maggio 2020 non chiariscono se lo stesso diritto spetta ai detenuti sottoposti al regime del carcere duro e pertanto i giudici reggini dubitano della loro costituzionalità, dubbi che investono anche lo stesso articolo 41-bis della riforma penitenziaria, visto che non prevede che i colloqui sostitutivi con i figli minorenni possano essere autorizzati a distanza, in alternativa a quelli telefonici, con modalità audiovisive.
I giudici sollevano una disparità di trattamento dei figli minorenni dei detenuti sottoposti al regime del 41-bis rispetto a quelli dei detenuti comuni, e nella lesione dei loro diritti inviolabili, come quello di mantenere il rapporti affettivo con il genitore in carcere, a tutela del corretto sviluppo della loro personalità e del loro benessere psico-fisico.
I giudici, quindi, denunciano la violazione di una serie di norme della Costituzione (articoli 2, 3, 30 e 31) oltre che dell’articolo 27, poiché ritengono fondamentale per il recupero sociale del reo il mantenimento dei rapporti familiari e soprattutto genitoriali.
In tal senso si fa presente che sarebbe leso anche l’articolo 117 della Costituzione, con riferimento agli articoli 3 e 8 della Carta europea dei diritti dell’uomo, che vietano pene inumane e degradanti e garantiscono il rispetto alla vita familiare. Allora la decisone che dovrà prendere la Consulta rischia di dare un colpo mortale all’intero 41bis.
Tale regime carcerario aveva subito un pesante colpo già nel 2019 quando la Corte Europea dei Diritti Umani e poi la Consulta definirono illegittimo l’articolo 4 bis, comma 1 dell’Ordinamento penitenziario. Tale legge è stata ideata personalmente da Giovanni Falcone nel 1991 e si definisce come ergastolo ostativo quale preclusione prevista per tutti i detenuti al carcere a vita condannati per fatti di mafia e terrorismo.
Infatti se non hanno mai offerto alcuna collaborazione alla giustizia non possono accedere a permessi premio e altri benefici. Mentre per la Consulta, però, quella norma era incostituzionale perché ha affermato che impediva “ogni verifica in concreto del percorso di risocializzazione compiuto in carcere dal detenuto, rischiando di arrestare sul nascere questo percorso”.
Tale esternazione è stata ribadita nella relazione annuale del 2020 sull’attività della Corte, che nella parte dedicata al carcere e all’esecuzione penale, definisce di “speciale rilievo” la sentenza sull’articolo 4-bis.
Ironia della sorte vuole che a firmare questa relazione era l’allora presidente della Consulta, Marta Cartabia, che oggi riveste la carica di ministro della Giustizia del governo Draghi.