Parlare di musica non è mai semplice. La musica va ascoltata, in silenzio, e resta l’unica forma d’arte invisibile che può trasmettere le sue emozioni anche a occhi chiusi.
La musica è arte che non trova sempre il giusto e meritato spazio, un paradosso data la sua eterea consistenza e dal momento che la si può mettere ovunque e che le sue vibrazioni possono penetrare fin sotto la pelle.
In Italia la musica ha un valore storico, dall’antichità dei suoi poeti più famosi alla creazione dell’opera lirica, fino a giungere a quel panorama di cantautori che hanno ricucito un immaginario di tradizioni e di identità a cui tutto il paese si riferisce prima ancora che alle date storiche o alla sua letteratura. È un arto del linguaggio e della lingua stessa, in quanto attraverso di essa si manifesta l’urgenza espressiva altrimenti relegata alla stretta convenzione, ai clichés frutto della pressione sociale corrente, o all’impedimento che fattori contingenti ci pongono di fronte lungo la storia che non sempre lasciano l’uomo parlare ed esprimersi liberamente.
Con la musica è come avere a disposizione più punteggiatura, più parole. È una capacità estensiva del linguaggio che lascia immaginare attraverso il suono cosa si nasconde dietro i suoi verbi e i suoi aggettivi. È espressione di libertà allo stato puro.
La storia del cantautorato italiano si è arenata da qualche tempo e non sono colpevoli i festival della tv ma l’abuso dell’immagine, che si sostituisce a quella invisibilità di cui la musica è proprietaria e che richiede paziente ascolto per scoprire cosa si celi al di là di ciò che vediamo soltanto con i nostri occhi. La musica si ascolta con il cuore, giunge fino allo stomaco e delizia il nostro cervello.
Oggi l’immagine viene utilizzata come mezzo per formulare qualsiasi giudizio a priori, prima ancora di avere gli strumenti di conoscenza che permettono di giudicare la realtà nella sua difficile complessità compositiva. La musica si incontra, come le persone e spesso guida. Quando non si sa dove andare è lei che ci chiede di seguirla, lei sa. Chiede solo silenzio in cambio per potersi esprimere e giungere a destinazione.
Negli ultimi giorni è stato riproposto nelle sale un film ripescato dagli archivi da un documentario di Walter Veltroni, di un vecchio concerto del 3 gennaio del 1979, “Fabrizio De André e Premiata Forneria Marconi. Il concerto ritrovato”. Il concerto fu offerto all’epoca dal Centro ligure di cultura Filippo Turati all’interno della Fiera Internazionale di Genova. Non sono molte le occasioni in cui la politica sposa la musica e quel concerto fu una di queste. Quel concerto del 1979 fu organizzato dai socialisti nel milieu storico fra i più contraddittori. Moro era stato ucciso l’anno prima ed erano quelli gli anni di piombo. Il nostro governo era in crisi e due anni dopo sarà Craxi a salire al potere.
Il club del Centro culturale Filippo Turati, di cui Antonio Bettanini ai tempi ne era il segretario, ospitava incontri con personaggi come Norberto Bobbio, Carmelo Bene, Margareth Von Trotta e tanti altri. Nonostante la paura del flop, il concerto richiamò ben diecimila persone. Fu come se per scendere nella profondità di certe parole, come quelle del grande Faber e per citare uno dei pezzi più struggenti “Amico fragile”, si fossero tutti riuniti intorno a lui perché la sua musica potesse risuonare ancora più lontano.
Distrarsi è un lusso, ma la distrazione della musica aiuta talvolta a ritrovare certa concentrazione. Per la dolce chitarra mandolinata di De André la PFM produsse nuovi arrangiamenti in una rivoluzione tutta sperimentale. Un innesto inedito quanto spettacolare. Nel chiasso di quel periodo di storia, il rock progressive incontra De André per sfondare il muro del suono comunicativo. Un disco da riascoltare, un film da vedere. Nell’assordante assenza musicale di oggi questo documentario viene riproposto perché anche i più giovani possano ascoltare quelle parole di poesia che in molti già conosciamo. L’interpretazione che fu data alle parole di Fabrizio De André con i nuovi originali arrangiamenti rende alle sue poesie quella psichedelia necessaria ad amplificarne il costrutto compositivo e nei suoi momenti più strumentali la vastità del significato delle canzoni del grande cantautore diviene immensa. Il rock progressivo è una fusione di stili e approcci di genere e coinvolge il formalismo con l’eclettismo. L’evento fu abbastanza significativo per risolversi in un contesto dove anche la politica stava cambiando, una politica che nell’intento di mantenere vive le proprie radici esplora altri linguaggi e tenta di espandersi.