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Dal Covid-19 una mutazione e un’accelerazione inarrestabile per il lavoro

by Maurizio Ciotola

Il Covid-19, in quanto precedente senza confronti, ha sbaragliato nell’ambito lavorativo i conservatorismi che imbrigliano la dirigenza della p.a., il mondo sindacale e una vasta area politica trasversale.

Dalla fermata totale del Paese di questo febbraio si è passati, con una rapidità inaudita, all’utilizzo del lavoro agile o smart working nella p.a., in tutte le aziende fornitrici di servizi, nella scuola e nella porzione delle funzioni non strettamente legate alla presenza, in quelle aziende indispensabili per i servizi essenziali.

Abbiamo visto la desertificazione di strade, porti, aeroporti, stazioni ferroviarie e città, con tutto ciò che ha comportato sul piano economico, in merito all’arresto del flusso di spesa su cui la nostra economia si regge.

Sono rimasti i movimenti essenziali, contingentati, volti a assolvere alle necessità primarie dei cittadini e al raggiungimento dei luoghi di lavoro, ove render disponibili i servizi per i bisogni primari della società.

In questa esperienza priva di precedenti e comunque non comparabile per le dimensioni assunte dall’attuale contesto economico e sociale, abbiamo sicuramente rilevato, e come noi i gestori delle grandi aziende private, che le grandi concentrazioni in grandi edifici possono trovare una valida alternativa.

Una soluzione per il futuro, che è già presente, in cui potranno essere alleggeriti gli oneri aziendali dal mantenimento di grandi infrastrutture edili, in parte già semivuote, cui il costo è divenuto insostenibile e incomprensibile.

Oneri alleggeriti anche per gli stessi lavoratori non più costretti a movimenti forzati e improrogabili oltreché costosi.

Ma lo smart working non è un banale telelavoro, esso comporta modalità e impegno non legati al tempo classico, cui la presenza dei lavoratori (operai/impiegati/dirigenti)negli uffici di mega-edifici, cadenzava attività e retribuzione.

Il “lavoro agile”, cui gli effetti sono già stati raccolti nelle aziende di primaria importanza, fa emergere una maggiore professionalità e l’effettiva capacità del singolo lavoratore.

Nello stesso tempo si corre il rischio di uno sfruttamento indecoroso, capace di soggiogare ulteriormente il medesimo lavoratore.

E’ assente una regolamentazione soddisfacente in merito a questa tipologia lavorativa, verso cui convergerà sempre più il mondo del lavoro.

Gli edifici oggi dedicati ad accogliere migliaia di persone per svolgere il proprio lavoro, non avranno più alcuna utilità, almeno così come sono stati concepiti e mantenuti.

Ovviamente vi saranno momenti necessari di incontro e interazione diretta, ma questi potranno essere contingentati, come nei fatti lo sono di già, e per i quali si renderanno necessari spazi pari a un decimo di quelli attuali.

E’ doveroso comprendere che se un’azienda deve comprimere i costi di esercizio, oggi questo è ancor più vero e evidente nel bel mezzo di una crisi epocale, è altresì auspicabile che i tagli partano dal mantenimento di queste strutture edili oramai obsolete e avverse al miglioramento dell’efficienza aziendale. 

La politica e il sindacato devono compiere un salto, quello che non hanno mai voluto fare in questi ultimi vent’anni, per tutelare il lavoratore che si troverà immancabilmente a svolgere la sua attività con modalità e tempi differenti.

Modalità avulse a quelle cui il paradigma del lavoro di matrice ottocentesca, ma ancora in vigore,  costringe milioni di lavoratori e che per altro non risulta adottato da altrettanti lavoratori, nei fatti privi di una effettiva tutela. 

Abbiamo contratti collettivi non più rispondenti al lavoro attuale e che nella progressiva loro ridefinizione, avvenuta a ogni rinnovo contrattuale, hanno ceduto per quel che riguarda le tutele e la remunerazione in cambio del cosiddetto “posto di lavoro”.

Modalità applicative che comportano effetti la cui distorsione umana e del diritto, incidono sulla salute pubblica, cui gli oneri generali dello Stato è chiamato successivamente a soccorrere gli stessi cittadini/lavoratori.

Il salto di paradigma che inequivocabilmente il mondo del lavoro imporrà, cui la vigente normativa non è in grado di tutelare, può essere accompagnato mutando i parametri e gli stessi ambiti di definizione normativa.

Un impegno cui politica e sindacati insieme ai datori di lavoro, devono saper avviare nel rispetto dei diritti primari, non eludibili, del cittadino/lavoratore, piuttosto che a tutela di un “posto di lavoro”, di cui non è più possibile definire i contorni.

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