Le difficoltà dell’esecutivo Meloni sono sempre più evidenti e a questo punto è lecito domandarsi quali siano le sue prospettive, in poche parole quanto possa tirare avanti.
Eppure all’indomani delle scorse elezioni politiche la coalizione di centro destra ha ottenuto numeri tali in grado di garantire la maggioranza in entrambe le camere.
Di conseguenza la premier ha formato in tempi rapidi il nuovo governo con i suoi alleati di governo, Lega e forza Italia, che almeno nei numeri avevano le potenzialità per essere un esecutivo di legislatura, vale a dire destinato a durare per tutti i 5 anni.
Ma appunto dopo poco più di un anno tutto lascia presupporre che l’aspettativa della premier e dei suoi sodali potrebbe restare tale e non concretizzarsi.
E si perché, nonostante i numeri siano in apparenza rassicuranti, la navigazione del governo è sempre più incerta e l’orizzonte non lascia presupporre nulla di positivo.
La lettura più ottimistica non può negare che il governo sia incerto nei suoi passi, anzi a dirla tutta come si dice in gergo “tiri a campare” ma in realtà la situazione è ancora più preoccupante.
Infatti, fermo restando che poco o nulla di quanto promesso in campagna elettorale sia stato realizzato perché piaccia o meno, un conto è fare opposizione ed un conto è governare.
Le difficoltà che vive il governo sono in gran parte attribuibili a se stesso: nel corso di poco più di un anno l’esecutivo Meloni è riuscito da solo a complicarsi la vita da solo anche senza un’opposizione organizzata che in un anno non è quasi mai riuscita a mettere all’angolo premier e ministri.
Tanto per capirci, restando all’ultimo episodio in ordine di tempo ovvero la mancata approvazione del MES il governo ha fatto una continua melina arrivando all’ultimo momento con un nulla di fatto.
Ora, senza fare una discussione di tipo ideologico circa l’opportunità o meno di questa decisione, è fin troppo evidente che il comportamento tenuto nei confronti dei partner europei avrà delle conseguenze per la credibilità del governo.
Laddove sarebbe stato molto più semplice procedere all’approvazione ma vincolando il ricorso al MES al voto favorevole delle camere, perché ci sarebbe stato poi modo per vanificare le possibili conseguenze per il nostro Paese non esponendosi inutilmente ad una gogna.
Errore altrettanto imperdonabile è stato vincolarne l’approvazione all’ottenimento di presunte migliorie circa il nuovo patto di stabilità che in ogni caso non sono arrivate, perché si tratta di due partite differenti da giocare.
Tanto più che in questo modo si è legato ad un tema fondamentalmente “ideologico” una battaglia sacrosanta per i Paesi economicamente più deboli dell’unione, in quanto il rigore esagerato è destinato ancora una volta a creare depressione e non benessere.
Per non parlare poi del PNRR che al di là delle frasi di circostanza e delle acrobazie dialettiche del ministro Fitto è destinato ad essere l’ennesima occasione persa del nostro Paese.
Certo, va detto, l’Italia sconta a livello di programmazione europea gravi mancanze e inadeguatezze che portano a non spendere una buona parte dei fondi ma nel caso specifico non sarebbe stato sbagliato un maggiore realismo.
Nel senso che sarebbe stato molto meglio, una volta constatati i difetti della macchina organizzativa, rinunziare a parte dei fondi che, se spesi male, andrebbero ad aumentare inutilmente il nostro pesantissimo Debito Pubblico.
L’Autolesionismo della maggioranza è ancora più evidente se pensiamo al progetto di riforma istituzionale del “premierato” che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio.
Per il momento siamo ancora nella fase iniziale ma si caratterizza per la mancanza di chiarezza e promette di essere foriero di problemi per la Meloni che immemore del suo predecessore Matteo Renzi rischia di giocarsi soprattutto il suo futuro politico, per una riforma che è tutt’altro che approvata.
E si perché nelle more del (probabile) referendum l’azione del governo sarà inevitabilmente complicata dalle critiche e dai veleni della campagna elettorale e da rapporti inevitabilmente tesi con il capo dello stato che rischia una sensibile riduzione del suo ruolo.
Ora non è che l’esito negativo sia scontato ma in passato chi voleva introdurre drastici cambiamenti è sempre stato punito dagli elettori.
Al contrario, invece, sarebbe molto meglio sfruttare questa occasione di instabilità puntando su una legge elettorale finalmente decente che sia in grado di garantire la governabilità del Paese.
Intanto senza tanto clamore, un po’ in sordina diciamolo, avanza il tema dell’autonomia differenziata; cavallo di battaglia leghista che dovrebbe attribuire competenza esclusiva in alcuni ambiti alle regioni Lombardia e Veneto ed in futuro a chi lo richiederà.
Senza entrare nel merito, è fin troppo evidente che un progetto così strampalato e dannoso possa minare irrimediabilmente la coalizione di governo.
Sino ad oggi la riforma è stata presentata come parte di un pacchetto del Presidenzialismo, destinato a cambiare le sorti del nostro Paese, ma non è un obiettivo di entrambi i partiti di maggioranza ed ecco perché, infatti, è inevitabile che lo scontro tra Lega e Fratelli d’Italia.
Il il governo si è trovato, si trova e, comunque, si troverà in difficoltà grazie alle sue errate valutazioni e al mancato buon senso.
Non si tratta del classico “tirare a campare” ma semplicemente di calibrare differentemente la propria azione politica in un momento complesso.
In altre parole anche questa volta non sarebbero i fantomatici poteri forti a far cadere il governo ma i suoi errori che lo porteranno in un terreno minato che, volendo o nolendo, dipende inevitabilmente dai risultati economici.
Vale a dire la congiuntura economica a livello mondiale tende al peggio e in un quadro di recessione generale gli scenari della crisi del 2011, che portarono alla fine dell’ultimo governo Berlusconi, potrebbero ritornare.
Ma in quel caso, conoscendo gli attori, anche se si parlerà di colpo di stato o di “poteri forti”, la situazione attuale ci porterà ad un ulteriore aumento del Debito e ad uno spread che probabilmente tornerà ai livelli dell’ultimo governo Berlusconi.
Chi è causa del suo mal pianga se stesso, meglio chiarirlo per tempo. Oltretutto parliamo di alibi poco solidi che, anche se servissero ad assolvere la Meloni, non riuscirebbero a nascondere il suo grande fallimento.