Claudio Martelli denuncia le omissioni nella protezione di Paolo Borsellino

L’ex Ministro della Giustizia, Claudio Martelli interrogato per un’ora e mezza a Palermo, dalla Commissione regionale Antimafia, presieduta da Claudio Fava, rivisita alcuni anni della sua permanenza al Governo nel periodo delle stragi e in questa audizione l’ex guardasigilli ha accusato chi aveva precise responsabilità non proteggendo adeguatamente il giudice Paolo Borsellino, nonostante fosse noto il fatto che era in pericolo di vita, affermando senza giri di parole: “Borsellino non fu protetto. Su questo non è mai stata aperta un’indagine. Si omise anche di fare controllare la casa della madre-denuncia Martelli- dove si sapeva che si recava con regolarità”.

Claudio Martelli si è soffermato a lungo sulla mancata protezione di Paolo Borsellino rivelando cose in parte note e altre meno: “Io sono ancora turbato da ciò che è stato omesso di fare da tutte le autorità dello Stato a Palermo nonostante tutte le segnalazioni avute da me e dal ministro Scotti (Vincenzo, capo del Viminale all’epoca delle stragi, ndr) in ordine alla protezione da mettere in atto nei confronti di Borsellino. Omissioni sulle quali non è mai stata aperta alcuna indagine”.

Martelli ha raccontato il suo punto di vista e la sua versione dei fatti ed ha riaffermato che “Si omise anche di fare controllare la casa della madre, dove si sapeva che si recava con regolarità. Come ci si può sorprendere che ci siano stati depistaggi se c’è stata già questa mancanza: una forma di omertà o di omissione più o meno consapevole”, ha affermato Martelli.

Questa necessità di proteggere il giudice Borsellino non fu presa nella giusta considerazione neanche dal magistrato Giovanni Tinebra quando lo stesso Martelli sottolineò questo aspetto e ha detto in Commissione testualmente: “Tinebra rispose come se si fosse trattato di un dettaglio trascurabile”, facendo un rivelazione clamorosa e nuova anche senza possibilità di replica perché Tinebra è morto.

Sottoposto a continue domande Martelli si è soffermato diffusamente e fava gli ha posto una precisa domanda: “Com’è stato possibile, secondo lei, che mentre la procura di Caltanissetta chiedeva a Bruno Contrada di indagare, quella di Palermo indagava lo stesso Contrada: come mai due procure così vicine seguivano strade così opposte?”.

E così Martelli ha risposto con una verità sin troppo evidente: “La storia della magistratura inquirente degli ultimi 50 anni è talmente piena di episodi analoghi, reciproche smentite quando non reciproche guerre. La particolarità dell’episodio non è nella conflittualità della magistratura ma semmai nella vittima (Borsellino, ndr)”.

Claudio Fava ha posto una domanda circa i contrasti tra Pietro Giammanco, capo della Procura di Palermo e Paolo Borsellino e il presidente della commissione regionale antimafia chiede come mai “non è mai stato ascoltato: com’è possibile una simile omissione in un’indagine secondo lei?”.

L’ex Ministro risponde prontamente che “Non si ha idea dei guasti che sono provocati dai contrasti e dalle opposte ambizioni o visioni, all’interno della magistratura”. Poi fa riferimento anche alle torbide vicende, agli ostacoli vissuti alla procura di Palermo da Giovanni Falcone e ricorda uno dei motivi per cui scelse il grande magistrato, “se non ci fossero stati questi contrasti e se Falcone non fosse stato attaccato dai corvi e poi da coloro che lo denunciarono… Se non fosse stato questo il clima a Palermo non ci sarebbe stato bisogno che io chiamassi Falcone a Roma”.

E poi continua con un durissimo affondo nei confronti dell’ex presidente della Repubblica Scalfaro: “Credo di essere stato sempre inviso al presidente Oscar Luigi Scalfaro, e credo lo fosse altrettanto Vincenzo Scotti”, sottolinea Martelli. Martelli etichetta anche Scalfaro in “quella schiera di politici prettamente democristiani, ma non solo, che riteneva che Scotti e io avessimo turbato se non quella pax mafiosa, quella ‘coabitazione’: alcuni pezzi dello stato – politici, magistrati, poliziotti – condividevano l’assunto ‘quieta non movere’, altrimenti succede il peggio”.

Martelli si sofferma anche sulle deposizioni di Mori nel processo sulla trattativa, quando il colonello dei Ros riferisce la conversazione avuta con Ciancimino, al quale chiese di evitare il “muro contro muro: credo che in quel caso Mori abbia trattato per sé, lo Stato non tratta, non esiste, e anche quando a Conso (Giovanni, ministro della Giustizia dopo Martelli, ndr) gli si chiese perché avesse ritirato il 41 bis, lui rispose: volevamo dare un segnale di disponibilità all’ala moderata di Cosa nostra ai fini di evitare ulteriori stragi”.

Martelli, quindi, esemplifica la sua idea sulla sulla trattativa: “Non capisco perché ci si sia arrovellati in processi, quando la verità è in queste dichiarazioni. Io ho pensato sempre più a un cedimento dello Stato, che non ad una vera e propria trattativa”.

Alla fine dell’audizione viene posta a Martelli una domanda dalla consigliera regionale del M5s, Roberta Schillace, che gli chiede un parallelismo con le lotte intestine della magistratura di adesso e Martelli va giù duro contro l’Associazione nazionale magistrati, definita come la “principale minaccia all’autonomia dei magistrati. La funzione dell’Anm non era quella di difendere gli interessi dei magistrati, ma di difendere l’autonomia della magistratura. In questo momento invece è il maggior pericolo per la sua indipendenza”.

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